A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Non c’è scampo allo splendore ai feroci richiami del giorno (note di lettura a Le stelle sopra Rabbah, di Isabella Bignozzi, transeuropa edizioni 2021)
Trascrivere la realtà, tradurla in forma di parole si rivela sempre impresa ardua e fallimentare, perché la realtà è troppo mutevole e veloce rispetto alle parole, che peccano di approssimazione per difetto, non centrano il bersaglio, possiedono il carattere aleatorio delle ombre proiettate sul muro.
Inoltre chi avverte l’urgenza di scrivere non sempre è in sintonia col mondo, scrive nella maggior parte dei casi nel tentativo estremo di rimediare a un deficit sintonico, scrivere è un salvagente per cercare di non affogare nei gorghi della realtà, una terapia per sanare il dissidio.
Allora quale migliore effetto terapeutico di costruire una realtà alternativa, che tuttavia di quella che attraversiamo conservi le suggestioni, i ricordi, ma sia altra, sia capace di comporre la frattura, recuperare gli spazi bianchi con i trattini delle parole, chiudere i silenzi con la voce della poesia.
Così Isabella Bignozzi, al suo esordio pubblico con Le stelle sopra Rabbah, dopo un avvio all’insegna di una vivacità cromatica, – il bianco che trafigge lo sfarzo dei fiori, le lucertole schiacciate di luce, – disegna un nuovo mondo dove angeli malinconici, dall’alto delle città deserte, scendono a posare la fronte alla nostra tempia, a parlarci all’orecchio:
In fondo al cerreto
c’è una casa antica
una ragazza coi capelli raccolti,
le mani sottili
dal piano estrae perle d’acqua
la melodia è vapore che scioglie nell’aria.
Nei cieli sopra le città deserte
tra i sepolcri abbandonati
sugli scogli neri
di nebbia dell’oceano
ci sono angeli mesti
con le ali raccolte.
Nel fondo degli occhi
hanno il nostro dolore.
Ci guardano
dai pinnacoli
con il viso
basso e buono.
Nelle albe assorte e silenziose
dalle guglie
scendono
ci si siedono accanto
posano la fronte alla nostra tempia
ci parlano all’orecchio.
Quando aprono le ali
sentiamo una musica
che esiste solo in sogno.
Non credo sia degno di fede il pensiero di chi vuole che la poesia salvi il mondo. Le illusioni possono sembrare strumenti promettenti, ma si trasformano in grosse delusioni non appena si scopre che il salvagente è sgonfio. Ma non credo neanche nella veridicità del verso della Cavalli “Le mie poesie non cambieranno il mondo”. Se si parla delle strutture economiche, politiche, ebbene nessuna poesia avrà mai il potere di cambiare niente. Tuttavia la poesia nel suo complesso, non certo quella di un singolo autore, e tutta l’espressione artistica nella sua totalità, hanno la grande missione di affinare la sintonia empatica col mondo e i suoi grovigli, di fare la punta alla matita della sensibilità individuale e collettiva, e soprattutto di provare a tenere tesa la corda dell’immaginazione. Se non riusciamo a immaginare un mondo nuovo sarà difficile costruire qualcosa che non sappiamo progettare. E qui viene in soccorso la poesia, che fa dire a Isabella Bignozzi: “Quando si alzerà / un vento grigio / battendo alle imposte / scuotendo l’uscio…/ avrò cura del fuoco”. In questa grande promessa, in questa assunzione di responsabilità sta tutta la dimensione umana dell’autrice, la cui consapevolezza è in questo verso: “galleggiamo su un globo che pende nel vuoto”.
A volte ci si chiede se tutti i linguaggi possibili possano avere libero accesso alle vie della poesia. Questo libro dimostra, e non è il primo e neanche il solo, che termini appartenenti al linguaggio tecnico – scientifico possono efficacemente circolare all’interno dei versi. Isabella è odontoiatra e apprendiamo dalle sue note biografiche essere autrice di numerose pubblicazioni scientifiche internazionali e inoltre che ha collaborato come ricercatrice con prestigiose università.
Ecco apparire nei versi i nocicettori, “sepolti negli organi come mine”, che risalgono le vie mieliniche, e i brevi polimeri inconsapevoli, e l’acido nucleico dire all’universo ti proteggerò, mi somiglierai, e avvertire così nella lingua l’eco del tempo presente, e renderla ricca e foriera di curiosità e conoscenza, e celebrarla ampliandone gli orizzonti.
Non salverà forse l’universo mondo, e tuttavia la poesia conforta e salva chi ne produce e chi ne fa buon uso, così:
Sei di nuovo tu, caro dolore
io ti conosco da gran tempo
lo so che vuoi giocare ancora con me
non ti dirò la mia paura
non pregherò la tua parte nobile di bestia
mia bellissima tigre bianca
Il dissidio con la realtà toglie la fame, il povero all’angolo e il bottegaio pazzo e la ruota insanguinata torneranno a trovarci e quel garbo stanco che sente e raccoglie il dolore degli altri, e dalle nicchie occhieggiano creature esangui. Tuttavia sono ancora possibili miracoli minimi, c’è ancora vita da ubriacarsi, e ogni battito è un miracolo che si aggrega:
Miracoli minimi
I miei anni puliti
distesi su orizzonte bianco
li guardo venire a me e tengo il fiato
quanta danza di arcobaleni e uragani ancora
arrivano come una prima di teatro
sul basso della cattedrale sonora pulsante
fabbrica di scambi gassosi che dice vai vai
Dalle grotte di miocardio viaggia il succo rosso
va a portare un fremito alle periferie
a ogni minuta, dimenticata periferia di me
dice loro c’è ancora vita da ubriacarsi
ancora c’è febbre e bufera
respirate fino all’ultima meraviglia di tempesta
ogni battito è un miracolo che si aggrega.
Questa raccolta ha il merito di istituire un perfetto equilibrio tra lo sconforto, la disillusione, l’angoscia di vivere in un mondo in cui è la competizione la norma che regola i rapporti umani, con la conseguente marginalizzazione degli individui più fragili, più esposti, e però contemporaneamente con la vita da ubriacarsi, con le minime gioie del quotidiano, col frastuono bianco col quale l’alba, ogni alba, ci afferra come fionda, tende l’elastico e ci scaglia, inermi, nel giorno, nel miracolo della vita.
Ogni mattino rinasciamo armati e atterriti, a riscoprire il povero all’angolo e il grido nero del cuore livido, i lupi e la pioggia, e però, come accade nella vita, tendiamo a bere il sole in alto, “dove tutto gronda di verde e oro”, in un dosaggio equilibrato tra luci e ombre, piaceri e dolori.
Altra caratteristica di Le stelle sopra Rabbah è la capacità di accelerazione. Non so se l’ordine in cui i testi si susseguono rispecchi la cronologia compositiva, e quindi la maturazione poetica dell’autrice. La progressione di potenza sembrerebbe suggerirlo. Ricorda uno di quei bolidi celebrati dalla pubblicità capaci di raggiungere i cento e più chilometri all’ora in dieci secondi netti, a volte otto, addirittura sette. Così avanzando nella lettura del libro si assiste a una sorta di accelerazione che passa per il respiro più ampio del verso, per la forza evocativa, per il coinvolgimento più intenso del lettore.
Scrive molto bene Elio Grasso nella postfazione al libro: “Queste poesie sono piene di rimbombi e voci, di sentieri selvaggi e tersi, di visioni che ci fanno chiedere dove sia veramente la realtà e in ogni caso come fare a preservarla”.
Diagramma
C’è una matematica sotto questo cobalto
una cremagliera a raggio infinito
dove tutto funziona senza nostro merito
il tuo corpo magico, le mie astruse parole.
Questo diagramma ci ha presi bambini
ci ha scelto con la violenza dell’azzurro
ci ha abbagliato di una grazia efferata
che ancora non ci abbandona.
Guardiamo inebetiti il dono spaventoso
ancora incastriamo le mani
verrà poi il tempo a riprendersi la carne
ma il resto, il resto rimane nostro.
Margine
Considera l’attimo
l’aria che intaglia le cose
il profilo in ombra di una madre
considera l’acqua
le sue vie calcaree
le sue furie di sale
somiglia alla grazia
questo suo scavare gelido
molle di luce
dici
non c’è scampo allo splendore
ai feroci richiami del giorno
il dolore è margine di bellezza
e noi qui
nell’eterno nitore di settembre.
Isabella Bignozzi (Bologna, 1971) è medico odontoiatra, autore di numerose pubblicazioni scientifiche internazionali. Ha pubblicato racconti e contributi critici su varie riviste letterarie, e il libro Il segreto di Ippocrate, romanzo storico a memoriale, uscito per La lepre edizioni nel febbraio 2020. Alcune sue liriche sono apparse su Inverso – Giornale di poesia. Le stelle sopra Rabbah è la sua prima silloge.
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