A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Io vorrei rinascere asino, si asino, di quelli che hanno ali e crini turchini (note di lettura a Amare essere amati, di Vincenzo Lisciani Petrini, peQuod edizioni 2022)
Vincenzo Lisciani Petrini con Amare, essere amati (peQuod 2022) tenta il più complicato dei percorsi, affronta il tema più scivoloso e infido che esista, e lo fa in piena consapevolezza, citando addirittura in un suo verso il poeta portoghese che affermava che tutte le lettere d’amore sono ridicole, e facendosi ammonire nella prefazione dalla lezione di Rilke, che in una lettera a un giovane poeta aveva dato siffatti consigli: “Non scrivete poesie d’amore; evitate all’inizio le forme troppo correnti e abituali: sono esse le più difficili, ché occorre una grande e già matura forza a dar qualcosa di proprio dove si offrono in gran numero buone tradizioni, anzi splendide in parte”.
Le poesie d’amore sono bucce di banana, sono il terreno sdrucciolevole per eccellenza. Riesce a tenersi in equilibrio Vincenzo sul pavimento bagnato? e in che maniera? Direi che il primo corrimano cui si tiene ben saldo è un incedere tranquillo, e soprattutto musicale, come se un piano di sottofondo arginasse ogni possibile disequilibrio, e scopro, o ricordo forse, che nella sua biografia ci sono gli studi di pianoforte al conservatorio e quindi mi riesce facile intuire in che armonica cornice musicale vadano incastonate certe sequenze dall’andamento misurato, calibrato nelle giuste note:
Il sole svanisce
nella sua quotidiana gloria sopra i corni e le vette
e dabbasso sul vocio degli uomini dissolti
nelle vie centrali. Le voci si accalcano alle voci
nelle case – e spingono e si intralciano.
In tutta la raccolta si avverte riconoscibile a occhio nudo, o forse meglio a orecchio nudo, la stella polare della musica, o meglio della musicalità, del ritmo tenuto saggiamente da redini sicure, anche dove Vincenzo tenta il contrappunto, o la frammentazione del verso, o scarti improvvisi di ritmo, sempre, dietro, c’è una padronanza che sa dosare perfettamente il movimento, la progressione del verso.
Leggo che la composizione e organizzazione di questo libro ha richiesto un decennio circa. Dunque all’inizio Vincenzo era un giovane uomo che nell’arco di questo tempo ha potuto, anche in virtù di questo lavoro, raggiungere e consolidare la propria maturità. Direi che questo spirito più maturo si palesa lungo la lettura dei versi, e costituisce un altro, solido puntello a che la poesia non deragli, non scivoli nel sentimentalismo bieco, non banalizzi il suo percorso, in definitiva si regga salda sulle gambe e proceda spedita:
Ma nella notte io solo ho amato camminare
e colloquiare con la mia infida coscienza.
E infine mi perdo e le domando
così, in generale, quale sia la strada migliore.
[…]
Chiediamoci perdono, per ogni dimenticanza.
Per tutto. Per tutto. Sei qui per un motivo, dico.
Per nulla. Per nulla. Per tutto, ripeto.
Ruzzoleremo nel mondo e scopriremo
l’assoluta perfezione nel volo destinato.
Maturità che riscontro e si misura anche sulla base della qualità e dello spessore degli autori citati negli esergo delle diverse sezioni che compongono il libro, e che vede, tra gli altri, Osip Mandel’stam, Montale, Saffo, Gozzano, Kobayashi, Leopardi, autori che testimoniano anche dell’ampiezza degli interessi letterari di Vincenzo e di una certa solidità di appiglio, che corrobora l’idea di una padronanza che investe anche gli aspetti tecnici del fare poesia.
In contrapposizione, o forse invece come corollario di questa raggiunta maturità, sta l’effetto Chagall, un guizzo di surrealismo che riaffiora nei versi e si sostanzia in alcuni casi nella citazione diretta di questo autore: Davanti a un quadro di Chagall, per esempio: “Animali. / Eccoli che si avvicinano.” e più avanti:
Anime! L’avresti detta tanta fortuna?
Milioni di felicità serrate nei cassetti
del cuore, folli corse lanciate
in un salto senza fine.
In altri casi invece con citazioni indirette, per esempio qui, con l’asino che vola:
Intanto – non c’entra molto lo so, ma lo dico –
un asino credendosi gallo ragliava
alla riva di quel primo mattino.
D’un tratto si mise a volare.
Un asino. Ci credereste?
Figura, questa dell’asino volante, che riappare più in là, insieme ai galli che invocarono l’aurora, in un’immagine ispirata ancora una volta alle atmosfere dei quadri di Chagall:
«Mi amerai di nuovo in quel tempo
quando volerai insieme agli asini, alle rose
e ai galli tutti che invocarono l’aurora?»
E sbocchi di creatività li ritrovo nella scelta felice di alcuni titoli: Mia nonna è un’astronauta; Solitudine e maestà dell’asino volante; Traversata notturna a fumetti; Penelope è una camera inquieta; Sinfonia del giorno semplice. Si tratta di evidenze creative a testimonianza che sì, una certa maturità è raggiunta, ma siamo nel campo dell’invenzione, del rovesciamento degli schemi, e quindi veloci incursioni nei fumetti, nella concezione popolare dell’arte, dentro un soffio inventivo che consente di volare insieme agli asini e alle rose, senza tralasciare i galli che invocarono l’aurora. Forse è proprio questo il messaggio implicito dell’intera raccolta, l’ambizione al volo, al distacco immaginifico dalla terra che ci lega.
Scrive Gabriele Dadati nella prefazione: ”Amare essere amati è un canzoniere affettivo, o meglio ancora una partitura affettiva, ragion per cui accoglie via via l’amore che affiora, in chi ne ha già fatto esperienza e in chi lo trae per la prima volta dall’anatomia del suo sentire; l’amore favoloso che fa volare gli asini; l’amore inteso anche come condivisione di sofferenza con gli altri (accade nella parte di ambientazione più propriamente romana, “Palinsesti per adulti mancati”); l’amore che è giocoso ormai solo nella memoria; il distacco dolente ma pacificato dall’amore. Ognuna di queste fasi non è monolitica. È tutta rigata di andate e ritorni, di contraddizioni.”
– E tu che preferisci? –, mi chiedi. – Che animale saresti?
– Io, ti confesso, non aquila, non leone o coccodrillo
non pecora, cane o armadillo, io vorrei rinascere
asino, sì, asino, di quelli che hanno ali e crini turchini
di quelli che volano accanto alle finestre delle scuole
e degli asili e i bambini li guardano incantati
mentre infuriano i tuoni delle maestre,
e quelli niente, non si girano mica,
e li guardano senza fatica mentre girano in cielo
in un cielo di cobalto
sempre più in alto, più in alto, più in alto!
e si sorridono e si parlano come tra poeti
e si dicono qualcosa di bello, di stupendo,
ma chissà poi che cosa, che scemenze, che indicibili
segreti…
(Solitudine e maestà dell’asino volante)
Vi sono ancora alcuni elementi a fare da appiglio contro il rischio di eventuali scivolate, perché pur trattandosi di un canzoniere d’amore, tuttavia il percorso di lettura diverge da quello che comunemente va sotto il nome di canzoniere d’amore, qui s’indovina persino in trasparenza lo scheletro di una trama, una sorta di struttura narrativa che prende le mosse dalla luce dei tinelli di casa, dalle tavole apparecchiate, dalla piccola di famiglia, da atmosfere decisamente casalinghe e con una speciale connotazione affettiva, e poi si dipana lungo traiettorie che ricomprendono l’amicizia, l’amore, il desiderio, e si allargano alle situazioni lavorative, alle traversie legate al pendolarismo, alla grande città che stordisce e affascina, per poi ritornare a parlare d’amore e ad offrire alcune possibili soluzioni che si pongono in alternativa tra di loro. Inoltre l’amore di cui si parla è abbastanza onnicomprensivo, non è soltanto l’amore per la donna amata, che a questo proposito si presenta sotto vari nomi e quindi non abbiamo soltanto la Laura mitica o la Beatrice standard a fare da stella polare dei versi e imprescindibile figura di riferimento, qui il discorso si allarga e diventa anche accettazione da parte della società, percorsi lavorativi stressanti e frustranti, insomma lo sguardo si fa generazionale e la voce è la voce di quella generazione sfortunata cui non sono state offerte garanzie né sicurezze, ma soltanto quella deludente precarietà che fa da sfondo a tante biografie.
Infine un breve cenno alla leggera ironia che si affaccia tra i versi e li rende a volte scintillanti, così come le invenzioni che scoppiettano e rivelano uno sguardo disincantato e poco incline all’auto commiserazione. L’andamento stilistico è sempre improntato a una sana sobrietà, ad un efficace controllo del verso, il lessico appare ancorato alla tradizione ma con un occhio strizzato al linguaggio di uso corrente, con evidenti venature ironiche.
Scrivo e sono triste, contento di scrivere cose tristi.
Un paio d’occhiali neri sulla scrivania, chiavi,
libri, penne e matite, evidenziatori (servono?).
La pipa, accenti respiri, gli addii.
Ho tutto quel che serve di orpelli comuni
ed effetti personali. Posso scriverti la mia lettera.
Bella struggente bella appassionata bella ridicola,
come tutte quelle d’amore, dice il portoghese.
Prima o poi leggerai. Ma anche no, anche no,
e sarebbe meglio, anzi no, sarebbe bello.
(Appunti per una missiva e stralcio della medesima)
Vincenzo Lisciani Petrini è nato a Teramo nel 1984. Dopo la maturità scientifica ha completato gli studi di pianoforte all’I.M.P. “Gaetano Braga” di Teramo (2007). Nel 2008 si è laureato in Lettere Classiche presso l’Università D’Annunzio di Pescara-Chieti con una tesi in Storia della musica sul pianista canadese Glenn Gould. Nel medesimo ateneo, nel 2011, si è laureato in Filologia linguistica e tradizioni letterarie del mondo antico con una tesi in Letteratura Latina sul Satyricon di Petronio Arbitro. Nel 2017, presso l’Università La Sapienza, ha conseguito il dottorato in Letteratura Italiana. Finalista di numerosi concorsi, ha vinto la sezione under 25 del Premio di poesia “David Maria Turoldo” (SN) nel 2009, e secondo classificato al premio Francesco Graziano (CS) 2012 nella sezione silloge edita (Liriche, Giovane Holden Edizioni, 2009). Ha pubblicato la raccolta Quarti di sole e luna (Giovane Holden Edizioni, 2010). Ha vinto il Premio Valerio Gentile XV edizione (Fasano, BR), nella sezione prosa inedita con la silloge di racconti Il breve sogno (Schena editore, 2013). Nel 2013 ha vinto il premio Dialogare (Ticino,Svizzera italiana) con il racconto autobiografico Mio fratello e Roger Federer.
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