A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Continuare per anni a credere in questa cosa inutile, che è la pura bellezza del linguaggio, alcune domande a Massimiliano Damaggio sulla sua traduzione al libro di Paulo Leminski DISTRAÍDOS VENCEREMOS / DISTRATTI VINCEREMO (e cinque poesie)
La prima cosa che mi colpisce di questo libro è la frase di Leminski posta in esergo: “La poesia è una specie di eroismo. Continuare per anni a credere in questa cosa inutile, che è la pura bellezza del linguaggio, è quasi una modalità di santità”; L’hai scelta per quale motivo? introdurre il lettore nello spirito dell’opera?
In tre parole, l’idea che Leminski aveva della poesia: inutilità, bellezza, linguaggio. Aggiungerei “sacrificio”, accessorio “santo”. Amici di Leminski mi raccontano che era solito dire: “Non basta l’ispirazione. Ci vuole il sudore”. E allora, come lo inquadri uno che “sacrifica” la \sua intera vita all’inutilità della bellezza del linguaggio? È un matto. Perché, attenzione: non è una dichiarazione di “poetica” ma di “vita”. E di libera scelta. Leminski aveva programmato la sua vita in modo da avere tempo per le cose che amava fare: arte, amore, amicizia, pane (poco) e vino (molto). Lavorava part-time. Frequentò un anno di università e poi abbandonò. Probabilmente la scelta fu dovuta anche al problema di doversi alzare presto la mattina. Ma tanto non sarebbe mai potuto diventare un accademico. Nonostante le sue vaste letture, la sua grande cultura, credo che in fondo la biblioteca che più sentì sua fosse la vita in sé.
Roba dell’altro mondo! È quello che penso quando leggo, all’inizio della tua prefazione, che “Toda poesia”, l’opera che raccoglie la produzione completa di Leminski, ha venduto in breve tempo sessantacinquemila copie. È da ascrivere alla fama del poeta? o ad una predisposizione di massa alla poesia? Come va letto questo dato?
Ad oggi “Toda poesia” ha venduto 350.000 copie fra Brasile e Portogallo. Il perché è complesso e, come scrivo nella prefazione, si compone di più perché. Anzitutto l’argomento, o meglio il “non argomento” dei testi di Leminski. Questo poeta ha portato all’estremo una delle caratteristiche di sempre di tanta poesia brasiliana: la leggerezza e l’ironia. Per “leggerezza” intendo proprio il rifiuto della scrittura come pensiero. Leminski ha aperto al massimo la forbice fra poesia e pensiero facendo della prima un modo di esprimere la propria forza vitale, animale. Se è il linguaggio che davvero ci distingue dagli altri animali, allora Leminski fonda la nostra tipicità e unicità sul linguaggio. L’uccellino canta. L’uomo parla. E la libertà del linguaggio è libertà di essere profondamente (e unicamente) umani. La realizzazione in poesia di questo “istinto canoro” sembra aver intercettato qualcosa nel sentire della gente – che non si sofferma più di tanto sul “significato” e sul “senso” ma li percepisce come parte integrante di una creazione, o meglio una creatura composta in parti uguali di suono, senso, significato, immagine. Un corpo vivo. Non un esercizio stilistico.
Bellissimo è quanto scrive a proposito della poesia: “Il recupero della poesia come pura allegria d’esistere”. Ritieni che un tipo di pensiero simile possa essere stimolante per la poesia in genere e per quella italiana in particolare?
Così Leminski descrive la poesia fatta negli anni ’70 dai ragazzi della cosiddetta “generazione mimeografo”, i “marginali” della poesia che si stampavano da sé libri, fogli, locandine con il ciclostilato, e poi distribuivano la propria poesia per strada, allo stadio eccetera. Tutti ragazzi giovanissimi che reagivano così alla dittatura e al sistema editoriale. Una cosa molto anarchica, di sovversione e rifiuto del potere. La poesia come pura esplorazione di realtà alternative; come superamento di uno sterile impegno politico a “parole”: “disimpegno” impegnato nella rivolta della fantasia. “Una risata vi seppellirà”, pare dicesse Bakunin. Un modo di concepire la scrittura, ancora una volta, tipicamente brasiliano: leggerezza, ironia, musicalità. L’esatto contrario della poesia italiana, che sembra avere come motto: “Seppelliremo la risata”. E il canto.
Molto creativo anche il verso iniziale della poesia Senza buddismo: – Un buon poema finisce zero a zero – e ancor più quello finale: – ma solitario –. Indica la strada della perfetta gratuità e libertà della poesia?
Uno degli aspetti interessantissimi del Leminski traghettatore (= traduttore) di una visione “tao” orientale in un mondo occidentalissimo come quello brasiliano – quinta essenza del capitalismo americano – tramite lo haiku. Un 無爲 (wu wei) poetico e filosofico di cui ho ampiamente parlato nell’introduzione. Un “agire senza agire” che non interrompe il flusso naturale delle cose, così che le parole si aggreghino fra loro secondo migliaia di possibilità: sonore, di senso, di attrito, etimologico. In uno dei suoi molti articoli, il baffone a un certo punto scrive: “Per fare una poesia, mi bastano un paio di parole. Il resto viene poi da sé”. E quindi sì: libertà. Che non porta a niente se non a sé stessa. Fulcro della poesia e dell’arte, uniche opportunità che abbiamo di cercare, costruire e vivere la libertà, contro ogni canone e costrizione: puro regno della fantasia.
Anche tu, come Leminski, coltivi una propensione e una passione per le lingue. Hai individuato e scoperto altre affinità?
Se io, lavapiatti del verbo, potessi avere qualche affinità con Leminski, sarei al settimo cielo. Uno spirito così libero, così profondamente convinto della propria (difficile) strada non può che essere un esempio, di vita nell’arte. L’unica vera vicinanza che sento è la lettura tramite la traduzione. Credo che tradurre sia anzitutto leggere, molto attentamente. Con questo atto del tutto gratuito (chi traduce poesia non becca una lira), ci si affina nella lettura. E la lettura è la più bella delle arti che hanno a che fare con la scrittura. Dice bene il poeta greco Yfandìs: “Il poeta non è uno che ha la mania di scrivere. È uno che ha la mania di leggere”. La parola greca per “lettura” è “ανάγνωση”, che contiene la parola “γνώση” (gnosi), la conoscenza. I latini quando leggono “raccolgono” e i greci “(ri)conoscono”. Entrambe cose difficili, perché per raccogliere e (ri)conoscere bisogna saper vedere. E vedere è sapere. E saper vedere è difficile perché ci mette davanti alle nostre mancanze: di tempo e di comprensione. Il tempo, prima di tutto. Non si può leggere un libro di poesia in un giorno. Occorre lentezza, concentrazione, rispetto. E la comprensione, il più grande dei problemi. Intendo dire: ci troviamo spesso davanti a testi che non rispettano – questi insubordinati – i nostri canoni di scrittura e pensiero. Spesso non sono il brodino cui siamo abituati. In questi casi, umiltà alla mano, dobbiamo prima di tutto imparare come funziona questo nuovo essere che ci troviamo davanti: come respira, dove sono le braccia, se ha i capelli, come si nutre, come ci nutre. Dobbiamo capirlo, comprenderlo. E accettarlo per quello che è. Lettura è quindi una specie di esercizio al rispetto della libertà altrui.
Quali sono le maggiori difficoltà incontrate durante la traduzione? e quali le felicità
Io sono un traduttore della domenica per il quale ogni giorno è domenica. Faccio parte del vasto sottobosco di traduttori dilettanti, periferici e oscuri che – nessuno capirà mai il perché – s’ingobbiscono curvi sopra le altrui calligrafie. E a volte questi impenitenti amanti in attesa si disperano per cercare di traghettare mondi da una parte all’altra del mondo, come se qualcuno stesse aspettando il loro lavoro. In realtà, nessuno aspetta niente. Che tu finisca o no, non cambia niente. Non succede assolutamente nulla. Probabilmente non succederà nulla nemmeno se pubblicherai le tue traduzioni. Ma è qui che entra in gioco la bottiglia per i naufraghi. Quello ha scritto un biglietto e l’ha infilato nella bottiglia. Perché a qualcuno domani potrebbe servire. Tu quel biglietto lo devi tradurre e lanciare in mare un’altra bottiglia. Proprio lo stesso lavoro che fai quando scrivi una poesia. È questa la felicità – che non vivrai mai. Vivi un’ipotesi di felicità, che ti rende felice. La difficoltà sta ovviamente nel riuscire a scrivere il biglietto. Leminski, questo gran figlio di una buona donna, mi ha fatto sudare per quattro anni. Giusto un mese prima che il libro andasse in stampa è miracolosamente uscita la traduzione di “Ragion d’essere”, il suo “manifesto”. La cercavo dal 17. È arrivata nel 21. (E’ un lungo lavoro carsico.) Perché tradurre Leminski, e quelli come lui, significa soprattutto una cosa: ricreare in un’altra lingua l’effetto di partenza. Che non è solo senso e significato (affare semplice, in fondo), ma forma, immagine e suono. E che tutto questo stia in piedi nella lingua di arrivo. Cercare di capire da che parte pende maggiormente l’originale e seguire la stessa strada. Suono e ritmo? Immagine? In che vestito? Bisogna essere fedeli? In genere sì ma – si sa – qualche bugia bianca a volte è d’obbligo. “Sarebbe bello”, mi suggerisce adesso adesso Angela, “aggiungere anche una cosina che mi sembra bella e sulla quale riflettevo proprio ieri: la traduzione è un’istantanea, uno scatto fotografico. È soggetta al momento in cui il traduttore sta traducendo, quel momento e non un altro. Se piove, se nella sua stanza fa freddo, se il caffè che ha bevuto era buono… Tutto può muovere i fili invisibili del suo lavoro. La traduzione è una specificità, una lava che scorre ma poi pietrifica e forse di questo il traduttore si rammarica perché una buona traduzione non è mai abbastanza buona per chi ci ha sudato sopra. A distanza di tempo, forse di anni, il traduttore ricomincerebbe tutto da capo, perché l’opera non è più la stessa ai suoi occhi e i suoi occhi non sono più quelli di allora”.
“La funzione della poesia è la funzione del piacere nella vita umana. Chi vuole che la poesia serva a qualcosa non ama la poesia. Chi vuole contenuti vuole che la poesia produca un lucro ideologico. Il lucro della poesia, quando vera, è il sorgere di nuovi oggetti al mondo. Oggetti che significhino la capacità della gente di produrre nuovi mondi”. Mi sembra un’affermazione semplice, comprensibile, e insieme profonda, degna di essere oggetto di discussione.
Se penso a come la scuola dell’obbligo riesce ad elevare a potenza la noia quando tocca la poesia. Se penso a come l’accademico infila il bisturi nella poesia in cerca di non si capisce bene cosa se non – mi sa – di un lavoro e di un potere. O forse solo perché l’essere umano soffre di un’imbarazzante monomania catalogatrice. I Waorani che vivono nell’Amazzonia occidentale, da migliaia di anni in simbiosi con la foresta, non hanno alcun nome per le centinaia di alberi e piante con cui convivono. E questa è la differenza fra trattare la poesia come una tecnica di scrittura e invece viverla in quanto tecnica di filtrazione e conoscenza, di “lettura” quindi del mondo. Se penso che un amico un giorno si è sentito dire che la poesia “è una cosa seria”, quando non si capisce cosa ci sia di serio nelle effimere cose che una creatura effimera come l’uomo può fare. Afferriamo un poco d’aria ogni giorno. Siamo fatti di un gas veloce. Bruciamo in fretta. In fretta ci spegniamo. Chiunque dovrebbe avere presente di essere breve, brevissimo, istantaneo. Come ciò che facciamo oltre respirare, mangiare e defecare: il resto è puro accessorio. La poesia, cosa fra le tante che si possono fare in attesa che il sole inghiotta il pianeta Terra, lo è. Chi vuole, come scuole università e studiosi, che la poesia serva a qualcosa cerca un qualche genere di “lucro”. Un posto di potere per “passare alla storia”, senza pensare che anche la Storia passerà. Insomma, Leminski sembra dirci che considerata nella sua essenza, la poesia non è altro che una possibilità per liberare la nostra capacità comunicativa, esplorandone ogni possibilità. Ed essere fecondi anche in questo senso, oltre che sessualmente. Ed essere fecondi è l’imperativo della Natura, che ci ha installato il programma del piacere per riprodurci. E quindi, vista così, la poesia ha proprio la funzione di creare piacere. La poesia è sexy.
Sem budismo
Poema que é bom
acaba zero a zero.
Acaba com.
Não como eu quero.
Começa sem.
Com, digamos, certo verso,
veneno de letra,
bolero. Ou menos.
Tira daqui, bota dali,
um lugar, não caminho.
Prossegue de si.
Seguro morreu de velho,
e sozinho
Senza buddismo
Un buon
poema finisce zero a zero.
Finisce con.
Non come voglio io.
Comincia senza.
Con, diciamo, verso
certo, veleno di lettera,
bolero. O meno.
Togli qui, metti lì,
luogo, non binario.
Prosegue di per sé.
E va piano
e va lontano:
ma solitario.
*
Como abater uma nuvem a tiros
sirenes, bares em chamas,
carros se chocando,
a noite me chama,
a coisa escrita em sangue
nas paredes das danceterias
e dos hospitais,
os poemas incompletos
e o vermelho sempre verde dos sinais
Come abbattere una nuvola a fucilate
sirene, bar in fiamme,
auto che si scontrano,
la notte mi chiama,
la cosa scritta a sangue
sui muri dei locali
e degli ospedali,
le poesie incomplete
e il rosso sempre verde dei semafori
*
Desencontrários
Mandei a palavra rimar,
ela não me obedeceu.
Falou em mar, em céu, em rosa,
em grego, em silêncio, em prosa.
Parecia fora de si,
a sílaba silenciosa.
Mandei a frase sonhar,
e ela se foi num labirinto.
Fazer poesia, eu sinto, apenas isso.
Dar ordens a um exército,
para conquistar um império extinto
Scontrarii
Ho detto alla parola di rimare
ma lei non m’ha ubbidito.
Parlava di mare, di cielo, di rosa,
in greco, in silenzio, in prosa.
Sembrava fuori di sé,
la sillaba silenziosa.
Ho detto alla frase di sognare
e s’è persa in un labirinto.
Fare poesia, mi sa, questo e basta.
Dare ordini a un esercito
per conquistare un impero estinto.
*
o pauloleminski
é um cachorro louco
que deve ser morto
a pau a pedra
a fogo a pique
senão é bem capaz
o filhadaputa
de fazer chover
em nosso piquenique
il pauloleminski
è un canepazzo
meglio se l’ammazzo
a mazzate e pietrate
col fuoco a bastonate
sennò può fare
il figliodicane
diluviare
sul nostro picnic
*
Razão de ser
Escrevo. E pronto.
Escrevo porque preciso,
preciso porque estou tonto.
Ninguém tem nada com isso.
Escrevo porque amanhece,
e as estrelas lá no céu
lembram letras no papel,
quando o poema me anoitece.
A aranha tece teias.
O peixe beija e morde o que vê.
Eu escrevo apenas.
Tem que ter por quê?
Ragion d’essere
Scrivo. La cosa è questa.
Scrivo perché ho bisogno,
bisogno perché gira la testa.
E altra gente non c’entra niente.
Scrivo perché in cielo schiarisce
e le stelle rassomigliano
alle lettere sul foglio,
quando la poesia m’imbrunisce.
Il ragno si tesse la rete.
Il pesce bacia e morde ciò che vede.
Io scrivo, e questo è.
Ci dev’essere un perché?
*
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