A 700 anni da Dante | Il gabinetto dantesco del museo Poldi Pezzoli, un gioiello nascosto nel cuore di Milano. A cura di Elisabetta Sancino

 

Nel pieno centro di Milano, a due passi dal quadrilatero della moda e dalla Scala, c’è un luogo dove il tempo è sospeso e la luce dolce del pomeriggio filtra attraverso le vetrate che si affacciano su un giardino inaspettato, portando pace e bellezza e un silenzio perfetto per leggere e pensare. Questo luogo è lo Studiolo dantesco del Palazzo Poldi Pezzoli, una meravigliosa casa-museo voluta da Gian Giacomo Poldi Pezzoli per custodire le sue collezioni più preziose e i suoi oggetti più cari: un progetto che comincia nel 1849 e continua sino alla morte, avvenuta nel 1879.

Dai libri rari alle armi antiche, passando attraverso i quadri del Rinascimento lombardo, veneto e toscano, ai vetri di Murano, ai mobili, ai gioielli, alle porcellane e ai tessuti preziosi: l’interesse collezionistico di Gian Giacomo spazia in ogni campo ed è volto non solo ad una fruizione privata ma alla condivisione con gli amici (tra i quali vi sono importanti artisti e critici d’arte) e con i cittadini, ai quali decide di lasciare la sua raccolta grazie al testamento redatto nel 1861, molti anni prima della sua morte. Nel 1881, in occasione dell’Esposizione Nazionale di Milano, la casa-museo Poldi Pezzoli viene aperta al pubblico per la prima volta, e in concomitanza con l’apertura al pubblico, nasce anche la Fondazione Artistica Museo Poldi Pezzoli.

Oltre all’acquisto delle opere che più lo affascinano, Gian Giacomo decide di costruire una serie di ambienti adatti a contenerli e ad esaltarli, rivolgendosi ad alcuni tra gli artisti più in voga del momento, Giuseppe Bertini e Luigi Scrosati. Il risultato è una sequenza di ambienti ispirati a diversi stili del passato: si passa dalla neogotica Sala delle Armi al magnifico scalone in stile barocco alla sala nera ispirata al primo Rinascimento, per citare solo alcuni degli ambienti più suggestivi del palazzo.

Lo studiolo dantesco è preceduto dalla Sala dei Vetri di Murano, un tempo camera da letto di Poldi Pezzoli: delle bellissime decorazioni neobarocche si sono salvate solo le porte intagliate, dato che questo e altri ambienti della casa furono molto danneggiati dai bombardamenti che colpirono Milano nell’agosto 1943. Lo studiolo dantesco, invece, si salvò  miracolosamente: andarono distrutti solo il camino e alcuni arredi, ma la volta resistette proteggendo buona parte degli oggetti d’arte e delle decorazioni. Esso rimane dunque ancora oggi uno dei primi esempi europei di revival storicista nonché seconda testimonianza europea di casa-museo dopo l’Hotel de Cluny di Parigi.

Lo studiolo è un ambiente rettangolare concepito come luogo ideale per la lettura delle opere del grande poeta, la cui attenta riscoperta è in linea col revival medievale che caratterizza fortemente il gusto dell’epoca: “una sala per leggere Dante con savonarole, leggii e finestre a cul di bottiglia”, come scrive Alberto Savinio nel suo celebre libro Ascolto il tuo cuore città, dedicato a Milano, a suo avviso “la più romantica delle città italiane”.

Al tempo stesso, il riferimento a Dante coniuga un preciso intento patriottico di ascendenza familiare in ricordo del nonno materno, il celebre collezionista e dantista Gian Giacomo Trivulzio, con la presa di posizione apertamente antiaustriaca di Poldi Pezzoli nell’ambito delle lotte risorgimentali.

Per quanto riguarda il Trivulzio, in particolare, ricordiamo che era riuscito ad entrare in possesso dapprima di un eccezionale codice tardo trecentesco del De Vulgari eloquentia e successivamente ad aggiudicarsi un preziosissimo esemplare della Divina Commedia del 1337, incluso nella collezione del pittore Giuseppe Bossi. Oltre a pubblicare i suoi commenti critici sul poema, egli cura un’edizione del Convivio e della Vita Nuova, che gli valgono la nomina a membro dell’Accademia della Crusca.

Per gli intellettuali italiani del primo Ottocento Dante costituisce un precursore degli ideali patriottici e uno degli aspetti che concorrono alla sua celebrazione è indubbiamente la sua travagliata vicenda biografica, che riprende da vicino tematiche care alla sensibilità del periodo: l’esilio da Firenze per motivi politici e la traccia che tale evento lascia nella Divina Commedia, trovano terreno fertile nell’Italia percorsa dai moti risorgimentali. Come già nel 1842 aveva detto Mazzini, “La Patria s’è incarnata in Dante. La grande anima sua ha presentito, più di cinque secoli addietro (….) l’Italia”.

In Lombardia, in particolare, Dante diventa simbolicamente il gioiello italiano da contrapporre all’oppressore austriaco, contro il quale lo stesso Gian Giacomo decide di schierarsi, finanziando generosamente l’esercito lombardo e piemontese e partecipando alle Cinque Giornate di Milano del 1848. Una scelta che lo costringe alla fuga in Svizzera dopo la sconfitta dell’agosto 1848 e al pagamento di una multa di ben 600000 lire (una fortuna per l’epoca) per poter rientrare in possesso delle sue collezioni, confiscategli dagli austriaci. E’ proprio dopo il suo  ritorno a casa da esule che Gian Giacomo decide di far costruire questo studiolo come tributo ad un altro esule, Dante, padre dell’identità italiana.

I lavori iniziano nel 1853 sotto la guida di Giuseppe Speluzzi, Luigi Scrosati e Giuseppe Bertini, per concludersi nel 1856: sarà proprio Bertini a chiamarlo “Gabinetto Dantesco”, per sottolinearne lo stile neomedievale che, al di là della presenza di altri importanti riferimenti artistici anche coevi, caratterizza in modo marcato questo ambiente.

Il primo nucleo dello studiolo dantesco è costituito dalla vetrata intitolata “Il trionfo di Dante”, una versione in scala ridotta di quella, sempre progettata da Giuseppe Bertini, per essere esposta al Crystal Palace di Londra durante la Great Exhibition nel 1851, dove ottiene un grande successo di critica e pubblico aggiudicandosi il primo premio per le arti applicate. Contribuisce al successo anche l’allestimento all’interno di un grande tabernacolo nero, realizzato appositamente per potenziare l’effetto dei colori dell’opera, senza elementi decorativi a distogliere l’attenzione del visitatore. Importante ai fini dell’effetto scenografico è anche la scelta del materiale, un vetro traslucido che riproduce l’aspetto della pittura ad olio perché assorbe anziché riflettere la luce, creando così un effetto simile a quello delle fantasmagorie. L’iconografia della vetrata viene dettata a Bertini dal critico Pietro Selvatico.

Prima di essere spedita a Londra, la vetrata viene esposta per tre giorni nello studio milanese di Bertini, sempre aperto al pubblico: le cronache dell’epoca raccontano che ci fu un vero e proprio pellegrinaggio di cittadini entusiasti all’idea di vedere celebrato Dante, eroe nazionale vinto ma non sconfitto e per questo modello per i patrioti reduci dalla Cinque Giornate e pronti a nuove sfide. Un eroe che sarà stato celebrato anche dai molti esuli italiani costretti alla fuga in Inghilterra per aver partecipato ai moti risorgimentali. 

La vetrata è caratterizzata da chiari riferimenti all’arte medievale, per via della sua forma ogivale  e della suddivisione delle scene in riquadri a motivi archiacuti. L’opera,  il cui titolo originale era “Dante and some of his ideas”, ci mostra il poeta, seduto su un trono gotico, con un’espressione pensosa e malinconica, che richiama sia il “Dante in exile” del pittore preraffaellita Frederic Leighton che la figura femminile della celebre “Desolazione” di Vincenzo Vela, raffigurante l’Italia desolata appena uscita sconfitta dalla prima guerra d’indipendenza del 1848-49. Una scultura che si avvicina, a livello iconografico, alle allora numerose raffigurazioni patriottiche della malinconia.

Dante è affiancato da Matelda (simbolo della purificazione) e Beatrice (simbolo della fede),  le guide femminili della Divina Commedia che lo accompagnano nel viaggio dal Purgatorio al Paradiso. Una targa sottostante reca la terzina di Inferno II, 7-9 («O Muse, o alto ingegno, or m’aiutate; / o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, / qui si parrà la tua nobilitate»). A sinistra, sullo sfondo del giardino del Paradiso terrestre, la giovane Matelda, canta e coglie fiori; ai suoi piedi è riportato il verso «una donna soletta che si gia / e cantando e iscegliendo fior da fiore» (Purgatorio XXVIII, 40-41); a destra Beatrice, sullo sfondo del campanile fiorentino di Giotto, si allontana da Dante, rivolgendo al poeta uno sguardo nascosto; ai piedi i versi «Madonna Mia».

Nella zona superiore, l’opera presenta invece episodi tratti dall’Inferno e accompagnati dai relativi versi: Dante nella selva oscura si spaventa all’apparire delle tre fiere; a sinistra Flegias traghetta Dante e Virgilio per la palude stigia verso la fiammeggiante città di Dite. Uno spazio maggiore è dedicato ad uno dei temi danteschi più popolari nell’Ottocento,  ossia l’episodio di Paolo e Francesca: le due anime sono colte nel momento in cui si allontanano da Dante e il poeta sviene per il forte senso di pietà che lo assale dopo aver ascoltato Francesca narrare la loro storia d’amore. La vetrata culmina con la gloria della Vergine, circondata da angeli adoranti; nella cornice sono riportati i versi di Par. XXXI, 116-117: «Tanto che veggi seder la Regina / cui questo Regno è suddito e devoto». A proposito dell’organizzazione compositiva della vetrata, Camillo Boito scrisse che “tutti questi varii soggetti sono legati con mirabile artifizio, e condotti con quello stile casto, forte e gentile, che bisogna all’incarnazione dei sommi versi danteschi”.

Di fronte alla vetrata, il Gabinetto presenta un fastoso camino bronzeo i cui motivi decorativi si ispirano al Candelabro Trivulzio del Duomo, donato dagli antenati di Poldi Pezzoli alla cattedrale nel XV secolo. Colpisce  in particolare la raffinata caminiera in bronzo decorata con fitti racemi; gli stessi motivi sono riprodotti sulle pareti in bassissimo rilievo di gesso dorato, in linea con il profilo delle porte e del camino: essi richiamano le illustrazioni tratte dal saggio “The seven lamps of architecture” eseguite da Ruskin per l’edizione del 1849, che codifica alcune delle idee fondamentali alla base  del revival gotico.  Negli affreschi sopra le porte, a sinistra e a destra, si vedono gruppi di figure sedute e vestite secondo la moda trecentesca. Nel gruppo di sinistra si nota un Dante insolitamente rappresentato di tre quarti anziché di profilo e abbigliato con la tunica rossa, la divisa da speziale con la quale è solitamente raffigurato e che è anche simbolo di carità.

Gian Giacomo muore stroncato da un infarto proprio nel Gabinetto Dantesco la sera del 6 aprile 1879, mentre legge circondato dalle oltre cinquecento opere che più amava e accompagnato  dallo spirito del grande poeta che, a distanza di secoli, continua ancora oggi a ispirare  e ad affascinare anche noi grazie alla potenza dei suoi versi e al suo  messaggio universale.