The scarlet letter di Elisabetta Sancino | We have a secret. We are alive: Hilda Doolittle e il furore ricostruttivo della parola 

 

“Ho iniziato a scrivere poesie schizzandomi l’inchiostro sui vestiti per sentirmi libera”, scrive Hilda Doolittle a Williams Carlos Williams nel 1903: parole che metterà in pratica per tutta la vita, riaffermando la propria idea di poesia, femminilità, sessualità al di là di qualsiasi etichetta o conformismo.

Nata nel 1886 a Bethlehem, Pennsylvania, Hilda Doolittle è una delle voci poetiche più originali del Modernismo: la sua produzione letteraria attraversa tutto il Novecento, anche se molti la collegano soprattutto all’Imagismo, movimento letterario che vede tra i fondatori Ezra Pound, al quale è legata sin dall’adolescenza da un sentimento profondo, che si interromperà quando lui si avvicinerà al fascismo.

Nel 1911 Hilda Doolittle si trasferisce a Londra, dove ritrova Ezra Pound che, insieme a Richard Aldington (futuro marito di Hilda), T.E. Hulme e atri artisti, frequenta il ristorante Eiffel Tower a Soho e la sala da tè del British Museum: è proprio qui che prende il via l’Imagismo, inteso come reazione all’artificiosità della poesia tardo-romantica e vittoriana. E sarà Pound a inviare nell’ottobre del 1911 alcune poesie di Hilda alla rivista americana “Poetry”, firmandole semplicemente “H.D., imagista”: da quel momento in poi Hilda sarà per tutti HD.

La sua prima raccolta, Sea Garden (1916), è unanimemente considerata uno dei più perfetti esempi di poesia imagista:  testi caratterizzati da una lingua nitida, essenziale, talvolta dura e tagliente,  che tende a presentare in modo preciso l’oggetto (“la curva esatta delle cose”), anche se nel suo caso, a differenza di quanto accade in Williams (si pensi alla celebre “Carriola Rossa”) più che le cose sono gli elementi naturali i protagonisti dei suoi testi, spesso attraversati dalla violenza degli elementi. Fiori sbattuti dai venti, rami strappati, mari turbinosi che diventano, per citare Eliot, il “correlativo oggettivo” del proprio tormento interiore, coincidente col bisogno di affermare la propria creatività e femminilità, in aperto contrasto con il moralismo della società americana e vittoriana. Così scrive HD nella poesia “Sheltered Garden” (Giardino Protetto), con un chiaro riferimento al senso di soffocamento e oppressione che pervade il giardino-mondo famigliare dal quale ben presto fugge:

 

Ne ho avuto abbastanza.

Mi manca il respiro.

(…)

Non c’è odore di resina

in questo posto,

né sapore di corteccia, di ruvide erbe,

aromatiche, astringenti –

solo bordi su bordi di garofanini profumati.

(…)

Oh cancellare questo giardino

dimenticare, trovare nuova bellezza

in qualche luogo terribile

torturato dal vento

HD vive sulla propria pelle l’esperienza devastante della Prima e della Seconda Guerra Mondiale: durante il primo conflitto perde il fratello, arruolatosi e morto in Francia e il padre, che muore di crepacuore dopo la scomparsa del figlio mentre il marito, il poeta Richard Aldington, decide di partire volontariamente per il fronte cambiando radicalmente la sua vita. HD prende il suo posto a capo della rivista Egoist (che sarà diretta in seguito da Eliot) e fa del proprio meglio per riaffermare ad ogni costo l’importanza della poesia, in contrasto con l’atteggiamento ormai totalmente disincantato del marito, che in un momento di rabbia scaglia a terra un volume di poesie di Robert Browning trovato nella casa londinese danneggiata dai bombardamenti, a sottolineare l’inutilità della parola poetica di fronte alle atrocità della guerra.  In HD, invece, accade l’opposto:  l’orgia di distruzione e i quotidiani moniti di morte rivitalizzano la sua forza creativa, che parte da un lavoro sul proprio nucleo inviolabile per arrivare a costruirsi un involucro capace di proteggersi dal male e riuscire a generare la parola-perla:

 

A mio modo io so

che la balena

non può digerirmi:

rimani ferma nella tua piccola orbita

statica, limitata

e la mascella-squalo della circostanza esterna

ti sputerà fuori

sii indigesta, dura, inflessibile,

cosicché, restando viva all’interno

genererai

(…)

la perla preziosissima

 

Questi versi appartengono a Trilogy, il lungo poema iniziato nel 1942, durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale su Londra, e pubblicato nel 1946: un testo potente e visionario che per molti critici merita di essere  accostato a quello dei più noti poeti modernisti, quali Eliot, Williams e Pound.  Malgrado ciò, l’opera di HD resta ancora poco conosciuta dal pubblico italiano, anche a causa del numero esiguo di traduzioni attualmente disponibili nella nostra lingua.

Trilogy è un poema complesso, che si presta a molteplici letture e interpretazioni: giustamente molti studiosi hanno sottolineato la volontà dell’autrice di affermare la potenza creatrice della donna, in contrapposizione a una polarità maschile spesso distruttiva. Una forza che HD ha testimoniato sia con le sue scelte di vita anticonformiste (ricordiamo il poema è dedicato alla scrittrice Bryher, con la quale ebbe una relazione appassionata durata moltissimi anni) che con la sua poesia:

non è fantasia poetica

ma realtà biologica,

è un fatto: sono un’entità

come l’uccello, l’insetto, la pianta

o la cellula d’alga;

io vivo; io sono viva;

sta attento, ignorami,

rinnegami, non riconoscermi,

evitami; perché questa realtà

è contagiosa – estasi.

 

Il poema, suddiviso in tre parti, si configura come un’incarnazione della parola divina pronunciata non da un Dio ma piuttosto da una Dea-Creatrice, allo scopo di mostrare il cammino all’umanità torturata dalla guerra. Per questo l’autrice chiede al lettore di venerare la sua voce e figura di donna  in quanto poeta, profeta e divinità.

HD cammina per le strade di una Londra spettrale, cercando di trovare uno spiraglio di vita che ancora tenacemente si ostina a pulsare e a crescere anche sotto le macerie perché, nonostante tutto, “siamo vivi, entro le mura dei nostri corpi, per il momento”. Il compito del poeta è infatti quello di ignorare il nichilismo materialista per provare a definire quella realtà inaccessibile alla scienza o alla ragione sterile, affidandosi al potere del Logos, consapevole di fare un gesto considerato da molti assurdo e ridicolo:

 

i poeti sono inutili

ancora peggio

noi, autentiche reliquie,

portatori di saggezza segreta

(…)

non solo siamo  “non funzionali”

siamo “patetici”:

questa è la nuova eresia

ma se non sapete nemmeno il significato delle parole

come pretendete di esprimere un giudizio

su ciò che le parole nascondono?

eppure gli antichi codici rivelano

che siamo tornati agli inizi

 

Contro la logica della spada, a prevalere e a restare impressa per l’eternità è la forza della parola, che dai tempi antichi ci accompagna: Mercurio, Hermes, Thoth hanno inventato una scrittura “impressa indelebilmente sull’atmosfera da qualche parte, per sempre”, mentre il potere della violenza è transitorio:

O Spada

tu sei il fratello giovane, il secondo nato

il tuo Trionfo, per quanto esaltante

un giorno dovrà finire,

in principio

era il Verbo

 

E poiché tutte le guerre sono una sola guerra, tutte le catastrofi una sola catastrofe, in Trilogy, così come nella Terra Desolata di Eliot,  il passato e il presente sono continuamente giustapposti, rinunciando a ogni principio di consequenzialità logico-temporale ad affermare la frammentazione come unico principio strutturante e unificante. Per questo, ad esempio, la descrizione della città violata e delle abitazioni squarciate dalle bombe, che mettono impietosamente a nudo la verità fisica e psichica dei propri abitanti, viene alternata al riferimento alle vetrine dei musei che espongono oggetti di uso quotidiano delle civiltà scomparse alla curiosità del pubblico. Le rovine di Londra, allo stesso modo delle rovine d’Egitto o di Pompei, dunque, non sono più solo oggetti ma diventano reliquie del nostro inconscio e svelano le nostre angosce più profonde:

 

noi passiamo oltre

verso un altro scantinato, un altro muro sbrecciato

dove i miseri utensili si mostrano

come rarità in un museo:

Pompei non ha nulla da insegnarci,

noi conosciamo la fessura del vulcano

il lento flusso della terribile lava,

la pressione sul cuore, i polmoni, il cervello

sul punto di scoppiare dalla sua fragile scatola

(cosa può sopportare la testa!)

su di noi, il fuoco dell’Apocalisse

 

E sotto quel fuoco soprannaturale gli uomini  “rotolano, ubriachi/per via di un nuovo stordimento/stregoneria tormento”: persone fisicamente disorientate ed emotivamente turbate dalla perdita delle proprie certezze, malgrado la fragile struttura del corpo si riveli talvolta sorprendentemente forte e riesca comunque a sopportare lo shock e gli orrori e a sopravvivere.

Con la capacità profetica espressa dalla figura di Tiresia nella Terra Desolata, HD legge il duplice mistero nei geroglifici impressi sulle rovine: terrore e magia, distruzione e forza della parola per ricostruire a partire dalle macerie, grazie a quello che lei definisce “the power of word over the sword”. E così, in mezzo al frastuono delle bombe, si ode una voce più potente malgrado in apparenza “più flebile/ di un sussurro”. Solo coloro che hanno la sensibilità per udirla possono condividerne il messaggio di speranza:

 

il pericolo, stranamente incontrato, stranamente sopportato

ci segna;

noi ci conosciamo

attraverso simboli segreti

sebbene remoti, muti,

noi ci passiamo accanto sui marciapiedi

sulla curva della scala

anche senza scambiarci una parola

ci soppesiamo attentamente

(…)

noi conosciamo il nostro Nome,

noi iniziati senza nome

nati da una sola madre

compagni

della fiamma

 

Seguendo quello che Eliot aveva definito “metodo mitico”, ossia un modo per “controllare, ordinare, dare forma e significato all’immenso panorama di futilità e anarchia che è la storia contemporanea” anche Trilogy si appoggia costantemente al passato per parlare al presente, sintetizzando la sapienza scritturale giudaico-cristiana, incluso lo gnosticismo, con le tradizioni greche ed egizie. Si attua così quel passaggio da una poesia soggettiva e lirica implicante una sicura presa sull’oggetto della stimolazione emotiva (si pensi alla “recollection in tranquillity “di Wordsworth) a una poesia costruita, fin dalla sua intuizione iniziale e poi nei suoi nessi espliciti e impliciti, su altri testi allo scopo di tentare un’organizzazione testuale del caos. In Trilogy, dunque, HD non fa mai alcun accenno diretto alla propria sofferenza personale né descrive in modo dettagliato il panorama di morte e distruzione che quotidianamente ha sotto gli occhi ma lo guarda da una certa distanza, traendo spunto da esso per comporre un’opera universale e senza tempo contro l’assurdità di ogni guerra. Come dice Eliot, del resto, la poesia moderna “non è un libero sfogo dell’emozione ma una fuga dall’emozione, non è l’espressione della personalità ma una fuga dalla personalità”. Eppure, solo coloro che “hanno personalità ed emozioni possono sapere cosa significhi voler fuggire da esse”.

 

Nonostante Trilogy sia un poema nato durante la guerra, il messaggio che porta è pieno di speranza: le differenze tra i popoli, specialmente quelle religiose, sono spesso alle origine dei conflitti. Trilogy mostra però come le differenze siano anche delle affinità che possono accendere l’amore invece della guerra, la creazione invece della distruzione, la resurrezione nel mezzo dell’Apocalisse:  come dice HD, abissi e scismi devono essere superati “perché ciascuno di noi è proprietario di un tesoro”. Un tesoro che però va custodito e trasmesso con amore, perché attraverso la conoscenza si possono abbattere barriere e promuovere la concordia. Custodire non solo la parola ma anche i libri e, ci verrebbe da dire pensando a quello che sta succedendo in questo momento, lottare contro ogni forma di censura, diventa allora un atto imprescindibile per arrivare alla verità:

 

sebbene i nostri libri siano un pavimento

di cenere ardente sotto i nostri piedi

sebbene il rogo dei libri sia

il gesto più perverso

e meschino

della meschina natura dell’uomo

dateceli – loro ancora gridano –

dateci libri:

folio, manoscritti, vecchie pergamene

basteranno come bossoli

 

(Le traduzioni in italiano dei testi, ad eccezione di Sheltered Garden, a cura di Giorgia Sensi, sono di Elisabetta Sancino)

 

   


 

Hilda Doolittle (nota come HD) nacque nel 1886 a Bethlehem (Pennsylvania) e studiò letteratura greca al Bryn Mawr College, lasciando ben presto gli studi a causa dei continui insuccessi scolastici. Nel 1901 conobbe Ezra Pound (di cui si innamorò) e Williams Carlos Williams, che frequentavano la University of Pennsylvania. Trasferitasi a Londra nel 1911, entrò a far parte del gruppo dei poeti Imagisti. Sposò il poeta Richard Aldington ed ebbe in seguito numerose relazioni sia etero che omosessuali, tra cui quella con lo scrittore DH Lawrence e con la romanziera Annie Winifred Ellerman, nota come Bryher, che conobbe nel 1918 e che le rimase accanto tutta la vita. Nel 1930 conobbe Freud nel 1930 e ne divenne amica e paziente, sviluppando un profondo interesse per la psicanalisi.

HD fu la prima donna a vincere la medaglia dell’American Academy of Arts and Letters nel 1960. Morì l’anno successivo, a Zurigo, il 28 settembre.

La produzione di Hilda Doolittle, autrice quasi sconosciuta in Italia e riscoperta a partire dagli anni Settanta quando divenne un’icona del movimento femminista, è vastissima: tra le opere poetiche ricordiamo Sea Garden (1916),  Hymen (1921), Heliodora and Other Poems (1924) Red Roses for Bronze (1932) e il  postumo Hermetic Definition (1972). In prosa ha scritto  Asphodel (1922) a Palimpsest (1926), da Kora and Ka (1930) a Bid me to live (1960). Durante la Seconda guerra mondiale scrive Trilogy, ovvero The Walls do not fall (1944), Tribute to Angels (1945) e The Flowering of the Rod (1946). Per le traduzioni in italiano ricordiamo Trilogia, a cura di Marina Camboni, Salvatore Sciascia Editore, 1993 e Poesie Imagiste, a cura di Giorgia Sensi, Interno Poesia.