Sogni di Emanuela Rambaldi | Tre. La tempesta

 

– Giornata uggiosa. Siete stata coraggiosa, Giselle, a raggiungerci in terrazza – dice Robert.
Si volta verso di lei, che è appena scivolata nella sedia a sdraio accanto alla sua, al solito posto. Le legge sul volto il tentativo di decifrare il suo tono. Sincerità o ironia. Ma è un attimo. Giselle sceglie di sorridergli.
Poi la vede sporgersi un po’ oltre, superandolo con lo sguardo, verso l’altro uomo seduto di fianco a lui.
– Niente passeggiata oggi, Marcel?
– Troppo vento. Mi si riempivano gli occhi di sabbia.
– Ma la vera eroina è Ruth, che è metereopatica. – aggiunge Robert.
Ruth non sorride, ma annuisce. Alza gli occhi al cielo.
Ha un modo particolare di fissare le cose, come se non dovesse smettere mai più di farlo. I suoi occhi mutano colore ad ogni mutare della luce. Riflettono il colore del cielo e oggi sono grigi.
Tiene i folti capelli ramati sempre raccolti e si è stretta attorno alla testa il cappuccio del piumino. Malgrado questo, il vento è così forte che alcuni ciuffi sono sfuggiti e mischiati alla salsedine finiscono per appiccicarsi alle guance, infastidendola.
– Julie è in ritardo per la sigaretta. Avrà avuto da fare in cucina.

 

Le nuvole si abbassano pesanti, cariche di pioggia, soffocanti. In giornate come queste il cielo sembra precipitare, trascinandole con sé. Il mare all’improvviso diventa verde.

 

Ruth prende dalla tasca un foglio piegato in quattro.
Il suo modo di muoversi dà l’impressione che sia sempre sul punto di andarsene. Come se finalmente cedesse alla tentazione di inseguire il desiderio di assentarsi da se stessa.
Al contrario, la sua voce dà l’impressione che le parole che pronuncia siano destinate a rimanere per sempre in coloro che le ascoltano.

– Vi leggo il mio sogno – dice.
– Te lo sei preparato. – si stupisce Marcel.
– E’ uno dei tanti. Non potevo raccontarne uno allegro, in una giornata come questa. Ogni giorno ha il suo sogno.
– D’altra parte, non tutti hanno la mia memoria e la mia capacità di improvvisazione. – ironizza bonario lui.
– Comincia, Ruth – taglia corto Giselle, con la solita dolcezza imperiosa, alla quale nessuno sceglie mai di replicare.
– Il racconto può sembrare breve, ma il sogno è lungo.
– Nessuno conosce la lunghezza dei sogni. – interviene Robert.
– Nel mio ricordo il sogno è lungo. Quindi, dato che dei sogni possediamo solo i ricordi, posso affermare che il sogno è lungo.
Ruth ritrova il suo tono fermo, ma suadente, che usava con gli alunni quando insegnava al liceo “Jean Renoir”.
– Touché.

– Arrivo alla spiaggia da un sentiero nella pineta. E’ estate e il parcheggio è pieno di motorini. I bar sono gremiti di gente.
La troppa vicinanza degli ombrelloni gli uni agli altri costringe ad una convivenza forzata che non amo. Cerco un po’ di spazio. E’ una giornata senza sole. Il cielo ha un colore malato, lattiginoso. Sono nervosa. A cosa serve una giornata con un cielo così?
Decido di allontanarmi, di andare a riva. Mi accorgo solo ora che si trova giù, molto più in basso della zona in cui sono, che è all’apice di una specie di enorme duna.
Scendo a fatica affondando i piedi sulla sabbia. Arrivata in fondo mi ritrovo in riva al mare.
Di fronte a me onde gigantesche, altissime, come quelle di un violento tsunami, che si susseguono senza sosta e minacciano di assalirmi. E tutte le volte mi ritrovo sul punto di essere travolta.
Mi guardo intorno. Sono sola. Mi assale la paura delle scelte irreparabili.
Sono scesa per allontanarmi dalla folla e ora sono intrappolata. Dietro di me c’è la collina che so che non avrei la forza di risalire.
Ma la cosa che mi spaventa di più, che mi schiaccia il petto, è l’accorgermi che il cielo non è più infinito, ma è una cupola d’acciaio che imprigiona il mondo e tutto ciò che il mondo contiene.
Comincio a tremare, pervasa da brividi che corrono come fili elettrici lungo tutto il corpo, ai quali mi abbandono, come in preda ad una febbre gelata.
Poi, d’improvviso, capisco. Basta aprire gli occhi e sarò salva, perché questo è un sogno.
E allora lo faccio. Apro gli occhi e vedo il buio. Totale. Finale. E’ stato facile. Ora devo solo scendere dal letto, accendere la luce, andare in cucina, bere un bicchier d’acqua. Ma non riesco a muovermi. E allora il terrore mi assale di nuovo. Perché capisco che gli occhi sono ancora chiusi. Sto solo sognando di cercare disperatamente di svegliarmi. E di non riuscirvi.

 

Il cielo è diventato così scuro che è certo da un momento all’altro rovescerà pioggia sui nostri sogni, imputridendoli. Il freddo ci aggredisce con cattiveria.

 

Nessuno parla, come se il racconto di Ruth imponesse un silenzio ossequioso.
– Avevi ragione Ruth. Era un sogno adatto. Abbiamo tutti perso l’appetito e ci è venuta davvero voglia di farla finita. – sdrammatizza Marcel.
Ruth, fragorosamente, scoppia a ridere.
– Julie non verrà. Sta per piovere. Tra poco ci dovremmo arrendere anche noi e rientrare.
A quel punto, Giselle dice qualcosa di inaspettato.
– Lo sapete, Julie ha perso un amore.
– Succede a tutti, di perdere gli amori.
– Sì, ma lei.
La frase rimane sospesa per un attimo.
– Non a tutti succede così.

 

Non tutte le tragedie vengono annunciate da giornate di tempesta.
Alcune sono traditrici. La loro malvagità risiede nella scelta di non colpire quando tutti se le aspetterebbero. Perciò arrivano in giornate di sole, quando il cielo è compatto, di un azzurro senza sbavature. Fa parte del loro immenso furore.

 

***continua***