Reportage fotografici di Virginia Farina | La materia della memoria: l’immagine della guerra che abbiamo scordato
Albert Einstein
Sono passati quasi dodici anni dal viaggio che feci in Kosovo e Bosnia Erzegovina nell’estate del 2010. Andavo a cercare, insieme a un gruppo di artisti, giornalisti ed educatori di Bologna, di capire le radici e i frutti di una guerra combattuta pochi anni prima proprio sulla soglia di casa nostra.
Oggi ritorno spesso al ricordo di quelle strade. Ci ritorno come ognuno ritorna all’esperienza più vicina alla condizione che stiamo vivendo. Per cercare di capire. Per non smettere di interrogarci su cosa genera un conflitto, e su quali vie abbiamo ancora per uscirne.
Allora, viaggiando per quei territori mi sono domandata continuamente come fosse possibile che persone vissute per anni fianco a fianco improvvisamente diventassero nemici e cercassero di sterminarsi vicendevolmente. Non ho trovato risposta, solo altre domande che non possono non coinvolgere i meccanismi con cui ognuno di noi si relaziona all’altro, o meglio all’immagine dell’altro. Perché non combattiamo mai un altro uomo, ma l’immagine che di lui ci portiamo dentro, un’immagine che sempre e comunque è solo una parte della verità della sua esistenza. Per uccidere l’altro, per arrivare ad annullarlo dobbiamo deumanizzare chi abbiamo di fronte, solo così possiamo cancellarlo. Rimuoverlo. Non solo come corpo, ma come memoria.
Tra le tracce più evidenti del conflitto, accanto alle case sventrate e alle menti ferite, ho trovato allora proprio le immagini. E sono queste oggi vorrei ricordare, immagini dove sia i vincitori che i vinti sono come fantasmi, dove non c’è un confine netto tra buoni e cattivi, tra giusti e criminali. Dove emergono uomini, donne, storie di corpi e di nomi, vite falciate e cancellate anche dopo la loro morte. Queste immagini non sono una teoria della guerra, non hanno la pretesa di spiegare, di chiarire. Vogliono soltanto ricordare, restituire dignità a quella memoria che ci permette anche ora, anche davanti all’atrocità di questo momento, di dire l’assurdità e l’incapacità di ogni guerra nella risoluzione di un conflitto.
Eccoli qui, i vinti, nelle vecchie fotografie tombali dei serbi sepolti nel vecchio cimitero di Peja-Pec, deturpate da alcuni albanesi per cancellare anche l’ultima memoria della loro presenza sul territorio.
Ed ecco i vincitori, nelle immagini degli albanesi scomparsi nei campi di concentramento, nelle fosse comuni disseminate per il paese, appese alla cancellata dell’ONU a Pristina per chiedere una qualche giustizia e slavate dal tempo, dalla pioggia e dal sole che hanno continuato a scorrere sull’assenza.
Sono immagini contrapposte eppure complementari, dove le due parti, i vincitori e i vinti, finiscono per incontrarsi proprio nella vulnerabilità, nella mutevolezza di una memoria che sfaldandosi nel tempo ritorna al mondo come la più nuda e fragile materia.
25/03/2022 alle 09:07
Bellissimo, questo intervento!