Osservatorio poetico di Sonia Caporossi | Matteo Persico

 

I.

Che a ventisei, discutere di previdenza
complementare e fondi pensione
ci sembra la morte stia già lì, rapace
dietro l’angolo, pronta a rapirci. O magari
è l’ombra dell’illimitato possibile
che sopravvaluta il ciclo di vita, un retaggio
degli studi umanistici: non ama fermarsi
alle polverose logiche di risparmio. Invece,
dovrei sbloccarmi rispetto ai valori aggiunti
e smettere di ancorarmi al non-si-addice;
che davanti ad un Caffè Mauro – assunto
alle spalle di un’alba usa e getta – di cosa
dovrei mai parlare? Calcio e pensione:
cardo e decumano, in logiche ferree.

*

II.

Almeno non ci facciamo chiamare per nome, morte e stupore
nelle chiamate di Teams non possono coesistere. La ciurma
si divide – il fracasso stanca – le mura delle case
e dei contratti bloccati fanno il resto: soffocare in pace
nella culla di tutte le morti disonorevoli.
Il fuoco del mondo ci interessa poco: stanchi
della carbonella sotto al culo e dell’amaro in bocca,
lo sforzo di tranciare i denti se l’infezione già buca
le gengive; la Xylella buca gli ulivi, che non muovono una foglia.

Almeno non ci lamentiamo: una mandorla
in più o in meno potrebbe farci esplodere il cuore, il jogging
in città scommette sulle neoplasie polmonari
e il mare, il mare diviso in corsie non è mai stato
più malato di così. Sono lontani
dalle nostre salme
i nomi di ventura da raccontare ai nipoti
e di cui fregiarsi nella palude che viviamo e che siamo
moscerini, mosche; dicerie pronunciate
da nullità senza nome.

*

Salsa Ranch

L’enfasi che dilaziono sta sugli alberi caduti
e tutti i toni muti delle stanze d’albergo, su richiesta
non vengono mai disturbati. Pago per un servizio
e pretendo il mio torto giornaliero: fosse
una colazione continentale, nel vassoio si sente
il contorno concorrere a gregario. In aggiunta,
contorcersi di salsa ranch: dicono che solo così
si suonano le note di sapore, sulle masse
delle tante teste; misteri sul perché illuderci
calpestate erbe di campo
da cani così prolifici e profondi.

 

Matteo Persico (Roma, 1994). Dopo la laurea in filosofia, conseguita presso l’Università di Pavia, torna a Roma dove attualmente vive e lavora. All’età di vent’anni pubblica la sua prima raccolta di racconti, dal titolo Sogno e Incubo (Cavinato editore, 2014). È presente, con alcuni testi inediti, nella raccolta del premio Il Club dei Poeti (2015) e nel Quaderno Poetare del concorso Poetare (2021), indetto dalla Scuola di Editoria e dalla Samuele Editore. Alcune poesie inedite sono apparse su diverse rubriche cartacee e webzine letterarie, tra cui Il Simposio della Poesia, Il Visionario – blog di poesia, IlDetonatore.it, La Repubblica – Roma (Bottega di Poesia di Gilda Policastro), Poeti Oggi, Inverso – Giornale di poesia, Poetry Factory, Critica Impura, Poesia Ultracontemporanea e LaRosainPiu. Un suo testo è stato tradotto in spagnolo sulla pagina del Centro Cultural Tina Modotti.

 

I testi di Matteo Persico utilizzano tutti gli espedienti di una poesia che sorge dal cuore del discorso: il primo testo si avvale dell’incipit in medias res e quasi riesce ad avvolgere il tema della morte e della precarietà dell’esistenza col profumo di caffè emanantesi da quell’immagine sinestesica centrale che apre alla percezione sensoriale; la seconda poesia utilizza il pronome di prima persona plurale che consente l’autoidentificazione in un destino comune, composto di screzi e intoppi, in quello stupore della morte che sospende il giudizio sul senso delle cose e lascia intendere che le occorrenze quotidiane che compongono le nostre vite siano in perpetua ricerca di una significazione abile a travalicare l’asfissia della banalità; nel terzo, infine, il riferimento alla salsa ranch che si pretende compresa nel servizio di una ristorazione esistenziale, anch’essa sinestesicamente epifanica, fa comprendere come l’indagine poetica di Matteo Persico si concentri sulla meraviglia improvvisa di oggetti d’uso che assumono valore solo quando entrano in contatto col soggetto percipiente, in un cortocircuito referenziale che mi permette di definire questa poesia nei termini di un originale e riuscito soggettualismo esperienziale.