Osservatorio Poetico di Sonia Caporossi | Lorenzo Pataro

*

I rovi tra la neve troveranno un’altra luce
un bastone di pastore a scavare gli anemoni
e le bacche marce nella terra

a furia di urlare il mio nome si scheggia
la tua voce o si affila come la punta di ghiaccio
che pende sottile dalla casa diroccata –

allora tu dammi un altro luogo
in cui inselvatichirmi, una pelle di ghiro
mentre dorme nel rifugio fra le travi del pagliaio

chiamami col verso dei falchi o delle volpi
donami le orme del lupo, gli occhi dei piccoli
che cercano la madre e la sua bocca

feroce quando afferra il nuovo nato dalle zampe
e il sangue che sgorga si fa pietra nel gelo,
ossidiana – rovescio del bianco nel bianco.

*

Lo schianto della ghianda sulla terra
il fuoco nella casa di campagna

le ossa esposte al sole come una reliquia
tu che getti le scapole sfibrate

nel baule antico del pagliaio, un vecchio
cappotto appeso a un chiodo veste
il freddo delle mura – si muove fra le travi

il grido e poi l’ala di qualcosa.

*

Cerchia la parola la parola disarmata
alla fine della strage sulla linea che segna
la frontiera. Autunno-dire, inverno-sentire.
La casa è nuda. Tu fai tana nella soglia.
Si sgola la distanza e si ammanta
la preghiera di fonemi involontari.
Ti mando a brillare sulla neve.
Azzurro bene non visto che perdura.

 

Lorenzo Pataro è nato a Castrovillari nel 1998 e vive a Laino Borgo (CS). È studente di Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Salerno. Bruciare la sete è il suo libro d’esordio (Controluna, 2018). Vari suoi inediti sono stati pubblicati sui principali siti di poesia.

La poesia di Lorenzo Pataro è ricolma di un’atmosfera bucolica, di cura dei dettagli paesaggistici e oggettuali legati alla dimensione rurale che però sottintendono un sentimento tutt’altro che classicistico. La natura qui non è trattata come puro e semplice non-io esterno al soggetto, bensì come sostrato di autoidentificazione primaria in un correlativo oggettivo che protende verso il lettore le falangi tese di una tensione comunicativa di sostanza estetica e che lo avvolge in un alone magico, quasi alla Pavese. Le immagini dolenti si affastellano alla coscienza come luci diafane di un’illuminazione interiore, scrostando la tradizione del naturismo di maniera in direzione di una svecchiatura che si mantiene lirica nonostante e anzi, in virtù dell’epoca post-poetica che stiamo attraversando. Si tratta di una poesia che “cerchia la parola disarmata alla fine della strage”: sul discrimine dubbioso che separa lirismo e sperimentalismo, Pataro sembra tentare un recupero del sentimento puro che si dà alla rappresentazione come la parola, analogicamente, si concede di volta in volta al suo senso più riposto.