Osservatorio Poetico di Sonia Caporossi | Fabrizio Morlando

 

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Si dona la vita e si dona sconforto,
talvolta un guado, sigillato
nell’ambra gialla del tempo:
comici, inefficaci, incolpevoli
rappezzi di cielo.

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Assolto con formula vuota:
leggerezza ribelle,
immagine e visione allo zero assoluto,
serbatoi colmi di colpe a buon prezzo.
Mani legate a punto croce.
C’è del romantico nello sparpagliare carte
sul tavolo, dare nomi nuovi a cose vecchie,
una mano di bianco su pensieri diroccati,
calchi di gesso dentro la bocca.

È così commovente in fondo
perdere e tentare
di riacciuffare il tempo
nella danza claudicante del mondo.

*

L’aquilone non vola più nel prato.
Le notti di ieri mancano già,
quei segni intatti che sovrastano
l’uragano, panni stesi al sole ad
asciugare sull’orlo dei millenni
da qualche parte dentro il cuore
dove il destino bagna il fiume:
arriverà la vita senza essercene accorti.

 

Fabrizio Morlando, nato a Spilimbergo (PN) il 15-01-1984 e residente a Capua (CE) in Via Gneo Nevio 8. Dopo la laurea in matematica consegue il dottorato di ricerca in matematica presso l’Università di Roma Tre. Lavora come ricercatore presso il centro italiano di ricerca aerospaziale (CIRA). Nel 2017 ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie Caramelle dagli sconosciuti per LietoColle Editore, collana Erato.

 

 

Mentre la seconda poesia rimane incentrata su un’autoauscultazione interiore dell’io che procede per immagini e frasi nominali, al contrario nella prima e nella terza poesia di Fabrizio Morlando che qui vengono presentate la compartecipazione all’umano destino, alle idiosincrasie e alla quieta presa di coscienza individuale di sogni e figurazioni in contrasto con la nuda realtà si realizza attraverso un uso apparentemente tradizionale del referente pronominale generico, dapprima il “si” impersonale che sottintende un’indefinita comunanza, e poi quel “noi” scopertamente collettivo e avvolgente, che nel verso finale ribalta il pessimismo che ci aspetteremmo (perché anch’esso tradizionale, se tipicamente volto in chiusa), in un’accettazione valoriale di quanto ha da impartirci, di volta in volta, la vita.