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Questo vento
scheggia l’aria del lago
esplode dettagli
sferzate sugli occhi:

a palpebre serrate
la luce si fa strada nel respiro
e porta nel petto
il suo paesaggio.

 

*

Sull’acqua sbattuta con le vele
una, bianchissima, chiama
a forza il fuoco dell’iride

il contorno vibra, si scompone
va in pezzi
fra i gabbiani in picchiata.

 

*

Chi legge il mondo su assi cartesiani
trascura la diagonale della vela
smarrita nel fileggio,
che sbatte e si ritorce
inarca e si distende
libera

e tutta esposta al vento.

 

Camilla Ziglia è nata e vive a Brescia, dove si è laureata all’Università Cattolica del Sacro Cuore (Premio “A. Gemelli”), insegna Discipline letterarie, Latino e Greco in un liceo. Suoi inediti hanno ottenuto il primo posto in alcuni concorsi letterari (“I colori dell’anima”, “Il Sublime di Lerici”), riconoscimenti da parte della giuria (Premio speciale “Ossi di seppia” ediz. XXV, Menzione d’onore al Premio “L. Montano” 2019). Compare nelle antologie cartacee di diversi premi, su Atelier online e altri siti o blog, nell’ebook iPoet, lunario in versi. Tredici poeti italiani (LietoColle 2019), nell’agenda poetica Il segreto delle fragole (ivi 2019). Ha partecipato a numerose letture, condotto eventi e presentazioni di poeti contemporanei. Rivelazioni d’acqua è il suo libro di esordio; con il titolo Fotogrammi, la raccolta è risultata finalista a “Bologna in Lettere”, “Beppe Salvia – Opera prima” e Menzione speciale al “Lago Gerundo” 2020.

Nell’impressionismo disvelante di Camilla Ziglia si avverte l’energia riposta di un’attitudine tensiva che scoperchia la realtà nelle sue componenti meno immediate ed evidenti, attraverso l’utilizzo di immagini epifaniche, spesso interamente giocate sul piano sinestesico dello scorcio visivo e uditivo. Nelle tre poesie qui riportate tratte da Rivelazioni d’acqua (Puntoacapo 2021), la poetessa offre la propria personale dissezione anatomica della luce, inquadrata e scomposta nelle infinite parti frattali di un caleidoscopio sensitivo che si muove sullo sfondo di un paesaggio marino, d’estate, pervaso dalla motilità di correlativi (s)oggettivi (le vele, i gabbiani, il vento etc.). L’esito finale della lettura è quasi straniante, un po’ come accade in certi film di Michelangelo Antonioni: il dettaglio si elefantizza e si fa phainomenon, finché il significato sotteso si slabbra definendo l’esatta misura di un quieto e gentile smarrimento, di una composta e non stucchevole vertigine .