Settembre. Questo spazio di Note Psicopoetiche ospita oggi i versi preziosi, le foglie dorate che giungono a noi con la musica del vento, dall’Ovest. La voce che ascoltiamo è quella di Naomi Ruth Lowinsky, analista junghiana e poetessa. Naomi vive e lavora in California, a Berkeley. Ebbi la fortuna di incappare in un suo saggio alla fine degli anni Novanta, mentre stavo lavorando alla mia Tesi di Laurea in Psicologia, una ricerca sul tema dell’androgino al femminile tra icone letterarie e scritti delle femministe operanti nel campo delle differenze di genere, tra opere psicoanalitiche e biografie di antiche alchimiste. Mi colpì molto il suo libro, un volume che Lowinsky dedica alla linea materna. The Motherline è spazio dinamico che si rivela al contempo psichico e carnale, genetico e simbolico, è filo rosso del Femminile come principio che abita in ognuna di noi. The Motherline è l’area di connessione tra tutte le donne, è il significato primigenio e immaginale del riprodurre in sé stesse la vita. Dopo quasi trent’anni dalla scoperta della sua produzione letteraria in lingua inglese, mai tradotta in italiano, svelai di questa feconda autrice il lato poetico. Durante il lockdown del 2020 le scrissi una mail, invitandola a connettersi online con me e con Wilma Scategni, a sua volta analista molto attiva in area junghiana. La traduzione della poesia Anasazi woman è la realizzazione di una piccola promessa fatta a Naomi in quella occasione. Il testo apre la porta alle antenate, all’operoso creare e ricrearsi, girare e rigirare la materia vitale in una cucina-fucina del Sé, rimescolamento e cottura nel grembo, nel Vas immaginale. L’ava che culliamo dentro l’anima sa produrre il futuro utilizzando come strumento ritmico il proprio pollice sapiente, e respira il respiro della stessa Puella vitale che pulsa nel nostro DNA. La donna Anasazi (la vecchia gente) intenta a curare il centro della stanza circolare, il Kiwa, è la Madre delle Madri che respira in me, in te, in tutte le persone. La chiamavano Trina, l’Una, la Trinità lunare, scrive la poetessa. Non è abbastanza per dirla, il numero tre, e io non aggiungerò altre parole. Solo note emotive, per ora. Tracce che bussano al sentimento. Melodie per riflettere, intuendo la linea materna che vibra nella Madre Terra, filo d’oro dei nostri giorni, nonostante tutto…
La poesia Anasazi woman è stata pubblicata su Psychological Perspectives – A Quarterly Journal of Jungian Thought.
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Traduzione dall’inglese: Valeria Bianchi Mian
Versione inglese: 13-Anasazi woman
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A Mesa Verde Dan raccolse un coccio. Mi mostrò il modello, i rilievi creati da un pollice umano. Donandomi il manufatto domandò: Chi ha fatto questo?
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Toccare quel che la sua mano ha creato
ottocento anni fa
una donna
come mia madre, come me.
La percepisco seduta
nelle mie ossa, a girare
e rigirare la sua pentola
il suo pollice
ritmico.
Così saldamente piantata
nel cerchio di terra, lei è
come la Yucca
i suoi pensieri sono
tanto spinosi quanto operosi.
Solo per un attimo nell’oscurità del Kiwa
nell’ignoto del suo grembo
tempo, lei
Madre delle madri
lascia alla paura il fiorire.
Cosa nascerà
e cosa morirà
nella successione delle stagioni
al prossimo ruotare di quel pollice?
È stato preso troppo
e non abbastanza restituito?
Quale erosione oscura
si diffonde dentro i suoi sogni?
Nella cucina di mia madre, io
alla stessa altezza del tavolo
guardando il suo pollice
tornitura e tornitura
di coltello.
Girelle
di cetriolo a scivolare
nella ciotola come
lune pallide.
È sopravvissuta
ai tanti morti
alle frammentazioni
la paura abita la nostra casa
come un parente in visita
che parli troppo.
La chiamavano Trinità
come per imbrigliare
la potenza degli ultimi dèi
che abitano questo luogo
e sulla sacra rossa
Nuova terra del Messico
hanno costruito
il loro miracolo:
materia trasformata
in energia
ha distrutto l’atomo
ha spezzato l’Asse
ha fatto fiorire le nuvole di funghi
sul deserto.
Il popolo di mia madre, distrutto
ha gioito
fino a quando
il vento si è levato.
Alcuni
con i piedi per terra
una donna
ha perso il suo bambino
ha iniziato la conta
degli aborti
i nati morti
i feti mostruosi, estinti
nel cancro
in ogni famiglia
la gente domandava:
Quali dèi sono arrabbiati?
Nella mia cucina
c’è il caldo. Una figlia piccola
alta quanto il tavolo
mi guarda fare la torta. Io formo
creste
sul bordo della crosta
il mio pollice
ritmico.
Mangeremo
e dormiremo.
La casa è sicura
i bambini stanno bene
una generazione senza contare
nessun decesso prematuro
E allora perché è così difficile
mantenere la fede?
Volta e giravolta
nella notte
un incidente d’auto
la gente si imbestialisce.
Soffia un vento cattivo
da Chernobyl.
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To cite this article:
Naomi Ruth Lowinsky (1988) Anasazi woman, Psychological Perspectives, 19:1, 112-116, DOI: 10.1080/00332928808408775.
To link to this article: https://doi.org/10.1080/00332928808408775
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