Lanterna Magica di Antonella Sica | Taras di Marco Esposito
La videopoesia è un oggetto controverso soprattutto quando si realizza utilizzando testi scritti per essere solo letti, ossia testi che non nascono già in fase progettuale per essere messi in relazione con un tessuto video-sonoro dal poeta che li ha composti. Dico “controverso” perché spesso la videopoesia è intesa oggi come una sorta di oggetto promozionale per il poeta e non una creazione artistica che mette in relazione il testo con le immagini creando nuovi spiragli di senso.
Le videopoesie che realizzo mirano a creare nuove suggestioni rispetto al testo di partenza, lavorando con le immagini sui versi per analogia. Per realizzare i video utilizzo immagini di alta qualità libere da diritti che scarico da internet e rielaboro in fase di montaggio e post produzione. Ho scelto la strada della banca dati perché mi interessa sperimentare con immagini già girate per un altro uso e piegarle a un nuovo senso, come accade alle parole nella scrittura poetica. AS
In questa nona puntata di Lanterna Magica propongo un lavoro su testo realizzato dal poeta Marco Esposito. Si tratta della videopoesia Taras diretta e realizzata dall’autore.
Taras
1
Guardo la mia cetra,
dismessa nell’angolo di sbratto,
che solleticavo al canto
delle acque copiose del golfo,
tra due cosce di terra
che fasciavano di tempra la mia gente
come il cuoio il mio polpaccio
di muscoli bruni.
Ora mi ergo
dinanzi a una giungla di obelischi
orlati da anelli di intermittenze e fumi caldi,
bianchi quando è il mio turno,
rossi al mattino.
E muoio giorno per giorno
per continuare a vivere,
ché se chiudono i battenti
mangio solo polvere –
almeno così
ho anche il pane e un figlio
che perde cellule di pelle.
Non posso immaginare
una vita senza musica,
non riesco a pensare
a quando non mi accorgerò
che finirà.
2
Non ci sono più delfini,
nei perimetri di nylon
ho domato il dorso di un barracuda
che divorò i resti di mio padre
e di tanti altri gettati in mare
dopo l’ultimo giorno in fabbrica,
ché non c’era più la previdenza,
non c’era più
risorsa alcuna.
Eccoli, gli occhi dei sottomarini
ergersi dall’acqua
discreti e silenti,
si dice fossero un tempo ciminiere
di un grumo gigante di arterie di ferro
caduto in una faglia.
Le mie dita sulla riva
sbrogliano note nell’acqua,
un’immensa cetra è il mare
e vibra e dipana
il canto delle mie gambe dorate.
Intervista a Marco Esposito sulla videopoesia Taras
Il video di Taras mi ha affascinata fin dalla prima visione; è un lavoro che nasce chiaramente da un’esigenza che va oltre quella di promuovere la tua raccolta poetica. Puoi raccontarci perché hai scelto di reinterpretare il testo scritto attraverso il linguaggio audiovisivo?
R: La scelta di mettere in connessione più linguaggi, alcuni a me più consueti – dati i miei trascorsi da musicista – è mossa dal desiderio di corredare la mia produzione di altri dettagli interpretativi, che vadano oltre il mezzo della parola: rompere l’approccio immaginifico del destinatario, di per sé libero nella fruizione del solo verso poetico, creando suggestioni corali. Una forma espressiva a cui tendevo da tempo.
Come mai hai deciso di realizzare un video con il testo di Taras e come hai affrontato l’utilizzo di un nuovo linguaggio per metterlo in dialogo con il testo?
R: La scelta di questo componimento è motivata da un proposito poetico civile.
Figurando tra i passi per me più significativi della silloge, questo risulta essere anche l’unico con una connotazione geografica ben precisa e dichiarata, estremamente familiare, nella narrazione disparata di paesaggi e scorci afflitti da flagelli ambientali. Da qui il desiderio di caratterizzarlo maggiormente. A ciò è seguita la scelta di materiale visivo che, pur avendo originariamente carattere documentaristico, ho editato e montato con l’obiettivo di significazione distante da una narrazione didascalica, e legata a una lettura più evocativa.
Nella tua videopoesia l’aspetto più originale è senza dubbio la trama sonora; l’utilizzo di musica e voci in contrappunto al testo. Puoi raccontarci la gestazione di questo lavoro e le sue finalità espressive?
R: Il processo di realizzazione si è sviluppato su parziale improvvisazione, preceduta da alcune linee strutturali che avevo appuntato. Per la resa di questa fase ho operato a tratti come si fa nella stesura di una colonna sonora: una volta assemblata una parte del contributo video, l’ho visionata ripetutamente delineando i temi di chitarra con cui far dialogare l’immagine. Le parti vocali hanno avuto una gestazione slegata dalle immagini, e precedente al loro intervento. L’intento espressivo, nel rispetto dei due nuclei narrativi del testo – testimonianze di due voci differenti e unite da sorte simile –, e con una precisa sequenza di immagini (da campo lungo a riprese sempre più ravvicinate del referente) è la decodifica di uno stato d’animo di oppressione, oltre che di stretto legame tra inesorabile condanna e necessità, convivenza e connivenza, normalità quotidiana intrisa di immobilità sociale. Il punctum non è tanto l’elemento ingombrante della ciminiera, quanto i restanti che vi convivono, apparentemente inanimati (i caseggiati a ridosso dell’industria) ma di fatto protagonisti vivi e conflittuali (il mare come esempio di vita che inghiotte il mostro per crearne di nuova).
Nella prima parte del video e nell’ultima la poesia diventa canto; perché questa scelta?
R: Il mezzo musicale/canoro si colloca in apertura e chiusura del progetto con l’intento di traghettare gradualmente il destinatario dal mezzo poetico a quello visivo, con pathos crescente – al principio – e decrescente – sulla dissolvenza visiva in coda -.Le parti canore, dilatate e sobriamente armonizzate, alludono rispettivamente alla rinuncia (del padre) e al recupero (del figlio) di un sogno, libero dalla condanna del passato. La scelta, quindi, di affidare al canto i versi in questione (all’interno dei quali si richiamano già in origine segni “sonori”, quali la cetra e il canto delle mie gambe dorate), sposa meglio l’idea del mito e della sua rinascita, diversamente dallo sviluppo più narrativo del nucleo centrale. Inoltre, le melodie vocali e le incursioni chitarristiche si contrappongono volutamente, nella loro scarna tessitura, all’incombenza claustrofobica di uno scenario industriale.
Hai in progetto di continuare a realizzare videopoesie con i tuoi testi?
R: È la cifra stilistica a cui mi sento di appartenere maggiormente in questo momento. Quindi, l’intento è di proseguire con stimoli analoghi, come d’altronde ho già fatto, realizzando altre due opere videopoetiche, la prima antecedente a “Taras”, e la seconda di recentissima pubblicazione. In questi altri progetti, a loro volta ispirati alle liriche della mia silloge “Prima di spegnersi”, il lavoro si è articolato ulteriormente con collaborazioni preziose e significative: quelle di due noti illustratori italiani, Andrea Serio e Marco Cazzato, e di una valente compositrice pugliese, e amica, Grazia Bonasia. Attualmente sto pianificando un nuovo progetto con l’impiego di liriche inedite.
Marco Esposito opera nello spettacolo svolgendo il lavoro di tecnico del suono e attività di musicista e autore. Nel corso degli anni ha annoverato alcune partecipazioni a pubblicazioni discografiche. Ha sempre scritto liriche, soprattutto correlate al suo percorso musicale. Nell’ottobre del 2020 pubblica la sua prima silloge, Prima di spegnersi, per Eretica Edizioni. Alcuni suoi componimenti sono stati pubblicati su Poesia Ultracontemporanea, Avamposto, Atelier Poesia, La Repubblica – Bottega della Poesia, L’Altrove – Appunti di poesia, Centro Cultural Tina Modotti.
Nell’ottobre del 2021 partecipa alla prima edizione del Premio Rilke – Duino Aurisina, figurando tra i cinque finalisti per la sezione Inediti.
Alcuni suoi inediti sono stati selezionati per l’antologia della nuovissima poesia pugliese, intitolata I cieli della preistoria, di imminente uscita per Marco Saya Editore (giugno, 2022).
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