Ilide Carmignani, Storia di Luis Sepúlveda e del suo gatto Zorba (Adriano Salani Editore, 2021). Recensione di Marisa Cecchetti
È una favola quella di Ilide Carmignani, dove la vita dei gatti del porto di Amburgo, tutti quelli che abbiamo conosciuto nella Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, e la vita della stessa gabbianella Fortunata, ormai in volo su mari e terre, si intreccia con quella di Sepúlveda.
Si sviluppa attraverso un ricco e divertente dialogo di lui con Diderot, il gatto bibliotecario del bazar di Harry, che lo aggiorna su tutto, mentre si vede Sepúlveda battere sui tasti della Underwood di Hemingway, dialogo che sembra una seconda puntata della storia della gabbianella Fortunata. Ma apre anche sulla vita reale, quella che Ilide ha raccolto dalla voce di Sepúlveda e da un’enorme quantità di materiale accumulato in quasi tre decenni, che sembra confondersi con la favola, una vita inimmaginabile, quasi surreale.
Mentre ritroviamo gli amici gatti nella loro vita sul porto, e Zorba, il grande gatto nero realmente esistito, è ricordato da tutti con rispetto e ammirazione, scopriamo un uomo che ha lottato per la giustizia e la libertà, ha corso enormi rischi e ne ha pagato le conseguenze, senza arrendersi mai. Quando non è ricorso ad azioni concrete ha usato le storie per diffondere le sue idee in difesa di uomini, animali, ambiente.
Figlio di un cuoco amante del tango e di cavalli, “un uomo ricco di sogni belli che rendevano meno triste la vita”, madre infermiera, nato il 3 ottobre 1949 in una stanza d’albergo dopo centinaia di chilometri percorsi dai genitori in macchina diretti a nord di Santiago, fin da piccolo ha vissuto nella capitale cilena affidato ad una anziana vicina quando i genitori andavano a lavorare, un bambino tranquillo che amava comunque viaggiare per le strade del mondo con l’immaginazione.
I nonni paterni: lei, Susana, cattolica di buona famiglia; nonno Gherardo mangiapreti anarchico che con i suoi compagni esuli repubblicani copriva d’insulti il generalissimo Franco. Nato in un paesino bianco sulle colline nel sud della Spagna, arrivato in Cile nel 1907, gli ha insegnato l’amore per i libri e soprattutto non a lottare per essere un uomo libero, ma per non dimenticare di essere un uomo libero!
Notato per i suoi testi fin dalle scuole superiori – “scrivere mi piaceva molto, sentivo che dava il potere di conservare intatti i sogni, di non dimenticarli”- continuerà per tutta la vita ad inventare storie “che però dicano la verità”. Ancora adolescente ha bussato alla porta della redazione di un noto quotidiano di sinistra, e gli hanno dato i pezzi di cronaca nera. Ha scritto radionovelas ispirate ai romanzi rosa per guadagnarsi da vivere. Innamorato della Patagonia, a quattordici anni si imbarca come mozzo su un battello diretto a Punta Arenas.
Del resto il nonno materno veniva di laggiù, dalla Araucanía del popolo Mapuche, che copre un pezzo di Cile e uno di Argentina, “terra di mare e di montagne, di fiumi e di foreste d’arauacarie, di condor e di puma”. Aveva sposato Angela Masetti, emigrata da Livorno con i suoi fratelli ed arrivata attraverso la Cordigliera alla “fine del mondo” dove incontrò il gigante mapuche.
Risoluto a diventare scrittore, la sua vita cambia quando entra nel partito comunista a quindici anni: con i compagni legge tutto Marx, organizza manifestazioni contro la guerra in Vietnam e cortei a favore delle lotte operaie. Volevano “costringere la Storia a fare i conti con i poveri d’America”.
Dopo un modesto inizio in poesia viene preso per mano dallo scrittore Pablo de Rokha che lo educa alla letteratura e alla vita: “la battaglia per la vita la perdiamo nel momento stesso della nascita, eppure il vero eroismo è affrontarla, vivere disposti a vincerla”.
Simpatizzante di Che Guevara, espulso dal partito comunista perché ritenuto troppo libero e irriverente, sceglie l’Esercito di Liberazione Nazionale, una frazione del partito socialista ispirato a Che Guevara, vive i mille giorni duri ma felici del governo di Allende, sposa per la prima volta Carmen Yáñez nel ’71.
I giorni felici finiscono l’11 settembre 1973 con il golpe di Pinochet, quando Sepúlveda viene preso dai militari e finisce in carcere “chiuso in un buco immondo, così piccolo che non potevo sdraiarmi né stare in piedi. E non fu facile nemmeno sopportare le sedute di tortura né le finte fucilazioni”.
Salvato da Amnesty International vive in clandestinità, viene di nuovo arrestato e condannato con un processo farsa, finché la pena detentiva viene commutata in esilio. Lascia il Cile per trovare, dopo lunghe peregrinazioni, un po’ di pace e lavoro in Ecuador.
Quando aderisce ad un progetto dell’Unesco sulla biodiversità in Amazzonia in mezzo agli indios shuar, conosce “un vecchio che leggeva romanzi d’amore” come antidoto all’esilio ed alla vecchiaia. Nasce così il romanzo che l’ha reso subito famoso.
Dopo aver combattuto per la libertà del Nicaragua, stanco, con l’aiuto di Medici senza Frontiere arriva in Germania nel 1979. Il suo impegno continua a fianco di Greenpeace, per ottenere una moratoria alla caccia alle balene, o per bloccare le navi cariche di armi nucleari nei mari del Nord.
“Zorba, fa dire la Carmignani a Sepúlveda, era entrato nella nostra vita proprio quando nasceva Sebastian -avuto dalla seconda moglie, dopo che si era separato da Carmen – e crebbe sano e forte insieme ai miei figli”. Pesava undici chili, amava passare le ore sul davanzale della finestra a osservare il viavai del porto, di notte esplorava i tetti della zona. E miagolava d’amore per la gatta bianca e nera di casa, Bouboulina.
Era stato un guscio d’uovo trovato sul terrazzo, la presenza di Zorba e l’abitudine a inventare storie per i suoi bambini alla sera, a far nascere La storia della gabbianella.
Con Carmen Yáñez, sposata una seconda volta, questo cileno errante ha trovato quiete nelle Asturie: “La nostra casa è nei dintorni della città, davanti al mare. L’abbiamo battezzata La Croce del sud, come la costellazione più splendente dell’emisfero australe”.
Muore durante l’epidemia pandemica del 2020 questo uomo intrepido, gigante buono, “l’uomo più famoso e più amato dai gabbiani e dai gatti del porto di Amburgo e di tutti i porti dove miagolano gatti e volano gabbiani”.
“La prima volta che ho incontrato Luis Sepúlveda è stato ventisette anni fa e potrei raccontarvi dell’ansia che mi tenne compagnia durante tutto il viaggio dalle colline toscane a Milano, perché nessuno scrittore aveva mai chiesto d’incontrarmi[…] Potrei dirvi del batticuore che quella sera mi prese nella hall dell’Hotel Manin quando dall’ascensore uscì un uomo robusto con barba e capelli neri, uguale preciso alla foto pubblicata su Linea D’Ombra con scritto sotto “Luis Sepúlveda”,[…] e dall’abbraccio da orso con cui mi sollevò da terra mentre mi ringraziava per avergli prestato la mia voce davanti ai lettori italiani”. Così scrive Ilide Carmignani nella postfazione di questo libro, la compagna di strada, non semplice traduttrice.
Le ha tenuto compagnia sempre, a tradurre le sue storie dalla mattina alla sera, “venticinque libri, un buon numero di poesie, due sceneggiature e non so più quanti articoli”, legando insieme la loro vita, perché lei gli era vicina, “in macchina, sul palco di qualche festival, o in mezzo a una libreria, a passeggio, al ristorante, al telefono, a casa sua a Gijón, a casa mia a Lucca”, dove lui mangiava un piatto di pasta al ragù come primo e uno come secondo e raccontava, raccontava, sorseggiando un bicchiere di rosso, sotto il nespolo del giardino”. Per volontà dell’autore i suoi libri uscivano prima in italiano che in spagnolo.
La moglie di Lucho – così voleva essere chiamato – Carmen, dedica all’uomo che ha amato questi versi di apertura: “Si stancherà uno di questi giorni/ di vagare con lo sguardo assente,/ senza meta/ illuminato da lampioni di lune tonde/ cercando i giorni perduti/ e verrà finalmente/ dal lato ingenuo della mia pena./ E mi dirà sorridendo: vieni qua, sciocchina!/ Leggimi la tua ultima poesia…”
Ilide Carmignani, Storia di Luis Sepúlveda e del suo gatto Zorba, Adriano Salani Editore 2021, pag. 208, € 14,90
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