A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Giungo da un sogno altrui (note di lettura a Opera incerta, di Anna Maria Curci, L’arcolaio editrice, 2020)

 

 

Opera incerta è il titolo dell’ultimo libro di Anna Maria Curci edito dalla casa editrice l’Arcolaio. Nella nota introduttiva l’autrice spiega di aver mutuato il titolo dall’opus incertum, antica tecnica di costruzione romana “che si caratterizza per il suo mettere insieme elementi diseguali”.

Il libro raccoglie poesie scritte nell’arco di poco più di un decennio, “il titolo risulta quanto mai calzante per questo mosaico di ritmi diversi e in cui la liscia superficie rimanda al retro della medaglia che il lettore è chiamato a capovolgere” come con sguardo ricco di acume scrive Francesca Del Moro nella bella postfazione.

Ci troviamo dunque di fronte a tempi differenti, come anche a temi e ritmi e visioni diverse, che trovano la loro coerenza essenziale nella varietà delle molteplici direzioni che prende l’attività umana, intellettuale e poetica di Anna Maria, e rispecchiano la ricchezza dei suoi interessi e delle sue abilità.

Sono questi materiali differenti in certo modo diseguali che motivano la scelta e la funzione del titolo, avvertire il lettore che incrocerà tempi e visioni che potrebbero anche non collimare, tematiche diverse.

Come a volte accade, la funzione del titolo scavalca le intenzioni dell’autore e apre squarci impensati prima, offre la visione di un presente ormai preda dell’incertezza a livello soggettivo e collettivo, una realtà che negli ultimi anni ha visto sgretolarsi tutto quello che forniva solidi appigli e riferimenti certi: crisi economica e sociale aggravate e rese estreme dalla crisi sanitaria causata dalla pandemia, restrizioni alla libertà di movimento, ossessioni mediatiche e paura generalizzata, dunque quell’aggettivo “incerta” afferra la realtà per i capelli e ne svela tutta l’evidenza.

“Ascolta, su, porgi l’orecchio
dirama la conversazione
traduci e chiedi, leggi e annota,
discerni e associa sotto il cielo.”

Esattamente questa vocazione all’ascolto fa sì che la lettura del presente agevoli la previsione del futuro, che questo “discerni e associa sotto il cielo” consenta di calarsi nella realtà più proficuamente e profondamente attivando la visione poetica e che l’intelligenza emotiva non consista in altro che in un dispiegamento di antenne ricettive, in un’attivazione di quella sensibilità empatica che consente di decifrare la realtà porgendo l’orecchio, leggendo e annotando, così è già a partire dal titolo che possiamo agevolmente sintonizzarci con lo spirito di questo libro.

Ha scritto efficacemente Bifo nel suo saggio sulla poesia Respirare. Caos e poesia: “Il ritmo è la vibrazione più intima del cosmo, e la poesia è un tentativo di sintonizzarsi con la vibrazione cosmica, con la vibrazione del tempo che viene e ritorna”

Ecco allora come l’anelito contenuto nella poesia, la sua aspirazione a trascendere il limite del significato convenzionale, rende possibile questa sintonia:

“In bilico su toni e fenditure,
cerca il prodigio il varco quotidiano
senza i sipari i tuoni le tribune.
Tu prova a decifrare
linee forme colori.
Della sciarada resta
l’anelito, l’attesa.”

Il libro pur nella diversità e varietà dei temi è tutto illuminato da un brillio di gentilezza, “Come un giardino pensile a Babele / il tuo sorriso mi è venuto incontro”, che si dispiega lungo due significativi versanti: il primo è costituito dal ritmo, dall’incedere colloquiale a volte, altre più sincopato e come scrive Francesca Del Moro “conferma la fiducia nelle strutture della tradizione utilizzando spesso endecasillabi e settenari”. Una gentilezza che è abito mentale e attenzione nei confronti non solo dell’argomento prescelto ma anche attenzione nei confronti del lettore, che viene invitato a sostare negli stessi luoghi dove la poesia trova origine, e ad assumere lo sguardo che i versi assumono:

A Gramsci

E qui mi fermo sempre
                     penso ai tuoi scritti
                     al tempo ad altre soste

Anni addietro lasciammo i nostri segni
                     scansate foglie
                     sospese le parole.

Il secondo versante invece accende il fuoco delle parole, le frulla vorticosamente, nella ricerca di nuovi accordi lessicali, accostamenti inediti, realizza la vocazione primaria della poesia, una festa patronale della lingua con luminarie lungo le strade e intrattenimento pirotecnico, bancarelle che offrono parole da gustare, con la santa patrona, nostra madre lingua, portata in trono per la devozione di noi fedeli, così eccoci alle “scapole ciarliere”, all’”epigrafe sonante”, “l’ingombro stantio delle intenzioni”, e versi che accendono una luce prima insospettata, “tu rannicchiati dentro l’anagramma / cerca lo schermo, cerca il nascondiglio”, dove l’invenzione, l’eccesso di senso, la forzatura linguistica, sono ricerca di uno spazio nuovo, di una libertà da conquistare, una prova muscolare che frantumi la banalità della lingua usurata, mercantile, dello scambio comunicativo e inauguri territori nuovi: “Distendo le narici rattrappite / da frenesie di smerci afrori spicci.”

Così accade che “leggere versi all’alba / salutare maestri” includa nei festeggiamenti il tributo giusto ai poeti oggetto delle traduzioni, che sono davvero tanti e danno la misura della vocazione ad ampio spettro della poesia di Anna Maria, del livello delle sue frequentazioni.

L’attenzione rivolta ai maestri, ma anche alle figure parentali che più volte ricorrono nei versi, sempre insieme alla fierezza del riconoscersi “giunta da un sogno altrui”, sempre con la gratitudine sulla punta della lingua: “l’eucalipto piantato da mio padre / per tutto il condominio. Fu una festa / con il mare nel naso / e noi bambini fieri”.

Dalla memoria spunta anche un nonno, – dal dicastero di distorte case -: “Era ambulante nonno / il padre di mio padre”. Ed è anche una festa della memoria, con ricordi che spingono e premono: “Mi hai raccontato tante volte, madre”, e lo sguardo si allarga su eventi impressi nella memoria collettiva, “di fronte all’orologio, all’ora fissa”, e Sant’Anna di Stazzema, e Birkenau, lì dove si sono consumati gli orrori della storia.

Dunque materiali apparentemente non omogenei, e tuttavia resi coerenti e soprattutto compatibili nella luce della sensibilità dell’autrice, nel suo vocabolario dal respiro ampio, nelle sue frequentazioni alte. Memoria e futuro duettano come duetta l’ombra con la luce.

Di tanto azzurro

Non so se sono ancora la bambina
che facevi volare nel mattino
nitido e freddo al sole di dicembre.

La casa, poi il mio asilo e la tua scuola
dove da trafelata ti mutavi,
lingua-madre diventava il francese.

So che di tanto azzurro mi rimane
un fiocco, il cielo in testa e l’occhio desto,
pegno d’incanto, balzo, testimone.

 

Nata a Roma nel 1960, Anna Maria Curci insegna lingua e cultura tedesca in un liceo statale. E’ nella redazione della rivista “Periferie” diretta da Vincenzo Luciani e Manuel Cohen; per il sito “Ticonzero” di PierLuigi Albini ha ideato e cura la rubrica “Il cielo indiviso”. Ha tradotto, tra l’altro, poesie di Lutz Seiler (La domenica pensavo a Dio / Sonntags dachte ich an Gott, a cura di Paola Del Zoppo, Del Vecchio 2012), di Hilde Domin (Il coltello che ricorda, a cura di Paola Del Zoppo, Del Vecchio 2016) e i romanzi Johanna (Del Vecchio 2014) e Pigafetta (Del Vecchio, di prossima pubblicazione) di Felicitas Hoppe.
Ha pubblicato i volumi di poesia Inciampi e marcapiano (LietoColle 2011), Nuove nomenclature e altre poesie (L’arcolaio 2015), Nei giorni per versi (Arcipelago itaca 2019).
Insieme a Fabio Michieli è direttore, caporedattore ed editore del lit-blog “Poetarum Silva“.