A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Carlos non aveva mai visto la neve (Alcune domande a Max Mazzoli su Fragili consonanze, puntoacapo editore 2024)
“Ma probabilmente, il più particolare e il più efficace dei nostri tratti come esseri umani è che crediamo nella finzione. Ci fidiamo della finzione. Viviamo e prosperiamo su cose e concetti che non sono semplicemente immaginari, ma anche del tutto fittizi, come nelle bugie. Non sto parlando di Amleto o Macbeth, o Ulisse o Harry Potter, James Bond, Robin Hood. Basta pensare al modo in cui usiamo il denaro. Crediamo e confidiamo che qualsiasi banconota da dieci sterline rappresenti un vero valore di interscambio. Pensi alla finzione dei nostri stipendi nei nostri conti bancari. Sono solo una sequenza di numeri digitali che cambiano continuamente: vanno su e giù. Sono lì per rappresentare qualcos’altro. Sono in realtà metafore. E non ciò che sono letteralmente”
(da Fragili consonanze, pagina 159)
- Ho letto diversi tuoi libri scritti in lingua inglese e italiana. In che lingua sono nati questi racconti? E in base a quale meccanismo scegli la lingua da utilizzare?
Scrivo principalmente nella lingua che mi circonda e nella lingua che parlano le persone con cui interagisco.
Questi 20 racconti sono tutti nati in inglese, eccetto quello che qui compare come il penultimo, perché era destinato per un’antologia italiana curata dalla casa editrice Epika.
Tutti gli altri sono nati in inglese per quattro ragioni principali:
- Li ho tutti scritti in Inghilterra (eccetto l’ultimo, scritto in Italia ma sempre in inglese) perché vivevo fisicamente in Inghilterra a Cambridge.
- La mia lingua principale è stata ed è da circa trent’anni l’inglese. Ancora oggi in famiglia parliamo principalmente inglese perché mia moglie e i nostri figli sono inglesi.
- Essendo la mia prima lingua, la lingua madre, l’italiano, era per me una sfida, volevo sottopormi alla operazione della scrittura con un più alto coefficiente di difficoltà.
- Volevo più compiutamente mettere in atto, durante il gesto stesso della scrittura, quello che i racconti mettono in luce come sottotesto: ovvero misurarmi con quello che la lingua ci offre come strumento e come abilità appresa. Come sostiene il noto linguista americano Noam Chomsky, la prima lingua (la lingua madre) “non la apprendiamo”, ma ci capita e si sviluppa spontaneamente senza necessità di meccanismi razionali o spiegazioni. Una seconda lingua invece, appresa dopo l’infanzia, è più propriamente – nel bene e nel male – uno strumento aggiunto che per il bisogno di razionalità più che di spontaneità, offre maggiori occasioni di riflessione sul dono della capacità di parlare, ascoltare, comunicare, leggere e scrivere.
Il fatto che poi abbia tradotto questi miei racconti in italiano mi ha dato un’ulteriore possibilità di indagare più a fondo su quello che significhi l’usare la lingua come strumento di comunicazione. Inoltre, volevo che fossero prima di tutto per un pubblico di lettori italiani. Idealmente, come faccio per la poesia, metto i due testi italiano e inglese a fronte, ma in questo caso sarebbe stata un’operazione troppo complicata dal punto di vista editoriale.
- Tu scrivi che il confine tra prosa e poesia è molto labile. Intendi forse che la prosa è soggetta alle stesse tecniche della poesia? ne condivide il respiro?
Immagina di vedere un buon film. Poi immagina di assistere ad una buona drammaturgia in un teatro. Ci sono in entrambi i casi un’infinità di differenze, ma anche un’infinità di similitudini. Lo stesso avviene tra prosa e poesia. Ci sono testi di prosa infinitamente poetici e ci sono poesie che raccontano una storia.
La poesia è più esoterica, più intima. È spesso un “vaneggiamento” personale sul quale può risultare più ostico sintonizzarsi, proprio perché compito della poesia è di costruire (poiesis) qualcosa che vada oltre al linguaggio comune, quello cioè di creare una nuova entità che non esisteva prima.
La prosa – in un racconto o in un romanzo – può essere più comprensibile perché si muove su parametri più comuni. Ma un buon racconto (in prosa) necessita almeno tre qualità: deve essere coinvolgente, toccante e non banale. Ebbene non forse questi anche i requisiti necessari per una buona poesia? Per questo dico che i confini tra prosa e poesia possono anche essere visti come labili. Poesia e prosa non sono solo i due estremi della gamma della letteratura, sono piuttosto adiacenti e complementari.
Prendiamo per esempio il nostro poeta per antonomasia – Dante: la sua Divina Commedia è pura poesia, per tecnica e invenzione, con tanto di metrica rigida, rima e pathos poetico. Ma la Divina Commedia è anche un romanzo in versi e anche come tale va letta e come tale raggiunge la sua grandezza.
È stato comunque un mio intento in questi racconti di:
- avvicinare prosa e poesia;
- di combinare narrazione e analisi critica di ciò che è letteratura;
- di fare riflettere attraverso storie su quello che è il produrre, il ricevere e l’interpretare opere letterarie;
- di produrre trame e intrighi che suscitassero, da una parte un’introspezione psicologica e filosofica, ma che accompagnassero anche semplici riti quotidiani,
- e dall’altra di produrre un’indagine che provocasse una riflessione su ciò che possa significare l’essere, il divenire, la coincidenza, il caso, il libero arbitrio, l’innamorarsi, la perdita, la rassegnazione e la speranza.
- Quanto di autobiografico è presente nei tuoi racconti? Ci sono esperienze dirette che ti hanno ispirato?
Se dovessi essere lapidario direi che l’autobiografico è un 15%. Ma poi mi rendo conto che non è così. Qui si ripresenta il dilemma dicotomia prosa e poesia.
Ci sono storie che sono tutte interamente inventate, ma inevitabilmente la mia interpretazione, il mio taglio non può che passare attraverso il mio vissuto. Allora anche l’inventato ex-novo è pur sempre contagiato dall’autobiografico.
Ci sono qui storie che partono da vicende totalmente autobiografiche ma poi assumono aspetti del tutto fittizi. E qui credo che, come narratore, abbia dato il meglio.
Altre storie hanno personaggi che tralasciano l’io narrante in prima persona, ma che attraversano vicende che sono veramente successe a me.
- Leggendo i tuoi racconti si ha l’impressione che esistano tre diversi livelli di lettura: il primo è quello della trama, dello sviluppo della storia; il secondo attiene a un senso più profondo, di coinvolgimento esistenziale, per dirla banalmente, il messaggio; il terzo livello infine ha a che fare con la parola, con la celebrazione della lingua. È così?
Le tue domande mi dimostrano chiaramente che hai capito tutto di questo libro. Questo mi conforta, anche perché non è mai facile cogliere sino in fondo le intenzioni dell’autore. (Anche se poi Roland Barthes sosteneva nel suo saggio del 1968 “La mort de l’auteur” che il significato dell’opera lo attribuisce il lettore).
Più che di “messaggio” preferirei dire “riflessione” o “condivisione”.
Quindi, sì, certamente è così: la trama, l’introspezione esistenziale (il “soul searching” si direbbe in inglese) e infine l’analisi della lingua in sé – il metanarrativo: la lingua che parla della lingua e racconti che parlano del raccontare sono tutti elementi fortemente presenti in questo libro.
Spesso in questi racconti c’è una storia all’interno della storia, quasi come se si viaggiasse su due linee parallele. La mia intenzione era di creare storie che fossero coinvolgenti, toccanti, stimolanti e provocatorie. Storie dove, oltre ai personaggi, i veri protagonisti fossero anche la lettura di lettere, la scrittura di diari, l’interpretazione di romanzi, o di singoli fogli sperduti trovati per caso, le leggende orali passate a noi dagli antenati, il suono di parole proferite da altre persone o dalla radio e da noi ascoltate e fatte nostre.
Un altro elemento che risulta accattivante nelle narrazioni è la presenza quasi sempre di un problema da risolvere (di un problem-solving), sia che sia interpretare un appunto scritto in cinese per trovare un rifugio nella notte, o attribuire la vera paternità ad una poesia “rubata” o “trovata”, o ancora, capire e scoprire incognite sul proprio passato leggendo diari d’altri.
- L’ambientazione dei racconti mostra che il motore della scrittura non si limita alla celebrazione della lingua, investe anche la celebrazione del mondo.
“All the world’s a stage,
And all the men and women merely players;
(“Tutto il mondo è un palcoscenico, e tutti gli uomini e le donne semplicemente attori” Da “As you like it”– “Come vi piace” di Shakespeare).
Ho sempre sentito l’attrazione verso il cosmopolitismo e il viaggio in generale. Una delle ragioni per cui ho studiato e vissuto a Londra per tanti anni e poi a Cambridge è perché volevo incontrare il mondo. A Londra devi conoscere la geografia e la storia perché tutti vengono dappertutto. Per quasi trent’anni ho insegnato inglese sia a Londra che a Cambridge a studenti stranieri che volevano accedere alle università anglofone. Questo mi ha portato a contatto con le culture, le lingue, le traduzioni e i modi di pensare più disparati.
Inoltre, ho avuto la possibilità e la fortuna di viaggiare molto, sia per lavoro che per ricerca o per diletto, ma non ho mai considerato il mio viaggiare una vacanza, bensì l’ho sempre vissuto come un “pellegrinaggio” da cui attingere e imparare. Per due volte ho fatto il giro del mondo da solo e senza bagaglio. Sono state esperienze che mi hanno arricchito molto. Per questo la celebrazione del mondo è di conseguenza naturale.
Devo aggiungere, che questi racconti non sono solo storie e finzione, ma attingono anche alla Storia (quella con la “S” maiuscola) e ci sono riferimenti storici precisi, come le Torri Gemelle, di New York nel 2001, il massacro di Tian An Men a Pechino nel giugno 1989, l’attentato sulla linea ferroviaria Firenze-Bologna del dicembre 1984, le truppe inglesi di stanza in Birmania nella seconda guerra mondiale.
- Ogni racconto offre grandi spunti di riflessione. Nascono come un progetto già definito? o si manifestano nel corso del processo di scrittura?
Tutt’e due.
La scrittura è sempre riflessione. Anche una frase volgare lasciata su un muro o un graffito, per quando esecrabili possano essere, sono una riflessione e una rappresentazione di uno stato d’animo. Chiaramente la letteratura tende più in alto che la lista della spesa (che è pur sempre anche questa una riflessione razionale su ciò che devo e non devo comprare).
Nella costruzione di questo libro ci sono (come credo per tutti gli autori) entrambe “l’architetto” che progetta e pianifica e anche “il giardiniere” che mantiene e cura ad hoc quando il giardino è già in fiore. Il lavoro più difficile (il più antipatico) ma essenziale, è quello di editing – le ore passate a rileggere, rivedere, correggere a far leggere ad altri. E poi, inevitabilmente, qualche imperfezione e qualche errore ci scappa sempre. Se lo rileggessi venti volte, ogni volta troverei qualcosa da smussare o da aggiungere.
Potremmo riassumere “I promessi Sposi” o “Guerra e Pace” o “La Divina Commedia” ognuno in una brevissima frase. Per Manzoni potemmo dire: è la storia di due fidanzati che non riescono a contrarre matrimonio per i soprusi di una classe sociale degenerata e corrotta al potere. Per Dante: è il viaggio di un uomo (dell’uomo) nel mondo dell’aldilà per capire i dilemmi dell’esistenza e avere una possibilità di redenzione. Queste succinte idee sono il punto di partenza. Trovo nella mia testa qualcosa di breve e stimolante e poi da lì può nascere di tutto.
Per alcune storie avevo ben chiaro solo il fattore scatenante, e quindi mi mettevo seduto a scrivere senza sapere dove sarei arrivato. Per esempio, per il racconto che apre il libro (che cronologicamente fu scritto per quinto e poi riposizionato all’inizio) avevo solo chiaro che il protagonista lottava emotivamente con un messaggio vocale lasciatogli da una persona amata che non c’è più. Da lì poi la storia si è quasi scritta da sola. È stato sufficiente iniziarla. Non sapevo dall’inizio che sarei arrivato alle Torri Gemelle di New York o alla sottotrama della famiglia islamica coprotagonista della storia.
Per altre storie avevo invece ben chiara tutta la traiettoria dall’inizio alla fine. Questo rende la scrittura più scorrevole, ma non è detto che siano le storie tecnicamente migliori.
Sento che il mio modo di scrivere (come autore) funziona al meglio quando la mia scrittura e l’evoluzione della storia mi sorprendono come se fossi io il lettore che scopre pagina dopo pagina quello che succede e che ancora non sa.
Mentre scrivo mi emoziono, partecipo, soffro e gioisco come se stessi leggendo un accattivante libro di un altro autore.
L’architettura iniziale e che sottende tutto il libro era però molto forte. Sin dall’inizio volevo 4 sezioni di 5 racconti ciascuna. Le sezioni erano già dall’inizio definite come: Ascolto, Parlato, Lettura, Scrittura. Non a caso in questo ordine, perché è così che il processo naturale ci porta ad arrivare a essere padroni della lingua. Prima si ascolta, poi si parla, poi si impara a leggere e finalmente la scrittura è l’ultimo atto produttivo e di creazione. Ogni racconto parte poi da un pretesto di ascolto o di parlato, di lettura o di scrittura per dar vita a una storia.
Non a caso questi titoli sono stati scritti, all’inizio di ogni sezione, anche in inglese: Listening, Speaking, Reading e Writing sono infatti le quattro competenze attraverso cui si giudica l’apprendimento di una lingua.
Il fatto che ogni racconto voglia offrire “grandi spunti di riflessione” è, io credo, l’intento di tutta l’arte, ma anche della scienza, della religione e della filosofia prodotte dall’essere umano. Ovvero il focus è quello di cercare di capire chi siamo e di dare riposte a domande il cui responso esaustivo è consapevolmente impossibile.
Max Mazzoli è nato in Italia nel 1963. Si è laureato a Londra (University College London) in Linguistica e Letteratura Italiana. Ha in seguito conseguito un Master per l’abilitazione all’insegnamento all’Institute of Education di Londra. Poi a Cambridge ha ottenuto un Master in Cultura Latino-americana con una tesi su Pablo Neruda. Per quasi trenta anni ha insegnato Lingua e Letteratura Italiana, Lingua e Letteratura Inglese, Critical Thinking, Filosofia, e English for Academic Purposes a Londra e a Cambridge, in scuole secondarie superiori, all’università e in corsi Pre – Masters. Ha al suo attivo nove raccolte di poesie pubblicate da Book Editore, Ladolfi Editore, e Edizioni Diabasis, di cui cinque sono in versione bilingue (italiano e inglese). Alcuni suoi versi sono stati letti su Rai Uno nel programma Zapping.
07/11/2024 alle 08:11
Ottima intervista davvero molto interessante.
07/11/2024 alle 08:11
Ottima intervista davvero molto interessante.
07/11/2024 alle 08:38
Condivido la valutazione. Di questa intervista mi affascina soprattutto l’analisi di cio` che sta alla radice del prodotto artistico. Gia` con la precedente presentazione mi era venuta voglia di acquistare questo libro, ora e` proprio il momento di vincere la pigrizia!