Tra le terre di Sandro Pecchiari | Alessandro Brusa, L’amore dei Lupi, Giulio Perrone Editore, 2021
Sono poesie fatte a brani e scritte a morsi queste dell’Amore dei Lupi di Alessandro Brusa, di spezzature con una punteggiatura personalissima a cui Alessandro ci aveva abituato già nei libri precedenti, ma che qui arriva ad avere una rilettura e una funzione più decisa e più ampia. Gli a capo e gli spazi trattengono il lettore in una attenzione ansiosa: Alessandro scherzosamente aveva postato in Facebook la foto del suo gatto sulla tastiera, suggerendo che lui potesse essere l’oscuro artefice delle interruzioni dei testi a sua insaputa.
Queste interruzioni ci portano costantemente in un ritmo di respiro che dobbiamo ritrovare e fare nostro, con questo accelerare e rallentare e trasportarci di lato che diventano rilessicazione raffinata della punteggiatura simile alle indicazioni negli spartiti musicali. Così sembrano essere pure i ritmi delle relazioni umane nel fluire contraddittorio di accettazioni e proiezioni, fatte di entusiasmi, arrendevolezze, soste e impennate e fughe.
Nella lunga via di affrancamento dalle pastoie del lessico, dal si fa, ma non si dice, attraverso un intermedio si dice, ma non si scrive, ora si testimonia un lessico aderente alla descrizione del nostro stare al mondo: precisa, tenera e tagliente. Finalmente un libro dove si fa, si dice e si scrive.
Così il lettore è spinto a prendere coscienza che si può scarnificare la chiarezza e vedere oltre tutte le sovrastrutture, come lupi che possono correre liberi, con tutte le delusioni, gli entusiasmi, le tristezze, la fisicità intensissima e il sogno ultimo di una pacificazione.
Come scrive Matteo Fantuzzi in Universo Poesia del 15 marzo il libro porta ad un approdo alla realtà senza filtri ed è fondamentale per fare riflettere chi legge e permettergli di scavare dentro se stesso. Questa è forse la via di fuga dal nostro mondo che rischia di diventare sempre più virtuale.
Monica Guerra nella nota di lettura su QB dell’Independent Poetry, scrive che all’interno delle sei sezioni che compongono il libro, gli uomini si fiutano, si respirano, a tratti si cercano e si scartano, si sfiorano con la stessa intensità con cui si penetrano e si succhiano. Esattamente come si feriscono e si detestano.
E queste sei sezioni E giro in un cerchio diamante, Canzoni per un amor scortese, L’Amore dei Lupi, Dell’Amore Terno, Tredici Corvi su lenzuola grigie e viola, l’Ultimo Lupo sono stadi di una autobiografia che sono anche passaggi iniziatici, sostenuti da esergo chiarificatori. Immediatamente la citazione di Forrest Gander: La politica inizia nell’intimità apre ad una dimensione che trascende gli schemi accettati per pigrizia di rielaborazione sociale e si amplia inglobandoci in una normalità più vasta in cui le varie sessualità entrano con diritto e a viva forza. Aprendo però anche alla lotta esterna e alla visibilità con la frase di Jerico Brown Ciò che a casa ti appartiene è un lupo nella mia città.
La ricerca e il ricercarsi attraverso i dilemmi dolorosi dell’amore istruiscono e svelano via via la materia di cui siamo costituiti (Proust) e come ci si rapporta con sé stessi prima di rapportarsi con il prossimo. La prima parte in effetti ricerca una definizione e descrizione possibile, un io che si pone in attenzione e in fieri continuamente:
Poi sottile sudore s’abbassa / Dai capezzoli al ventre e più giù / dove meno mi interessa / essere uomo
dove si inizia una (ri)creazione temuta e condivisa nel rapporto a due:
Cerchi il pasto con quel braccio / e carne / che ti regalo perché altro non so fare / :se il cambio di stagione è la vita che temo
in un mondo fluido di immagini di acque dove tutto è onda e risacca e marea sulla riva e sugli ostacoli, metafora delle relazioni amorose e più ampiamente umane
mentre mi scorri sul fianco silenzioso
Ma l’amor scortese è un gelo umano in nessun modo può suscitare ardore; / queste ceneri non alzano più alcuna fiamma (Fernando Pessoa) e costringe ad interrogarsi sull’altro e sulle dinamiche di relazione reciproca. È una parte di poesie che ricerca una definizione di sconfitta. In questa parte non è l’io iniziale che parla, ma l’altro che agisce nella non-presenza e che suscita memorie e reazioni e scelte mancate e disattese.
Per liberarti bisognerebbe entrare nella gabbia del leone / e sradicare le sbarre / Per farti uscire da quella prigione d’ossa / bisognerebbe sbranarti il cuore
Spingendosi verso la terza parte con la barba verso il polo e le mani aperte (García Lorca) compare il viaggio all’esterno e l’aspetto selvaggio dell’interazione, nella fase in cui si impara a dirsi, a nominarsi con l’impossibilità di farlo. È un’esperienza dell’amore randagio di lupi nei territori freddi, gloriosi e ostili del nord America:
a un lupo di distanza siamo così mano nella mano / su una strada di Seattle riscaldata dal tuo sguardo / e troppo presto congelata dai venti dell’Alaska / che ti hanno insegnato la distanza / e l’orizzonte perduto delle tribù che salgono a nord / per conoscere il freddo della storia.
In coordinate come queste il sentire comune e condiviso rende chiara l’impossibilità di un possibile incontro e di complicità pur nella vicinanza fisica
ma sei chiuso e un riccio / e di maschio dentro un altro maschio / accendi le / nostre vite
E ancora
Ho pianto per aver preso dentro di me / la violenza di una mano / e di una coda / che mi fa cane e femmina
Come se ne esce quindi? Bisogna implorare e esigere l’aiuto degli dei e il favore della sorte (Marco Aurelio)? Forse rivolgersi agli estremi di una chirurgia rituale senza alcuna barriera o limitazione culturale che porti ad un reale γνῶθι σεαυτόν (gnōthi seautòn: conosci te stesso) di noi stessi e degli altri, sbalestrando le mutue interrelazioni all’interno di noi stessi e con gli altri.
transiti sulla nostra terra con piede pesante e che vola / solo quando appoggi le tue labbra alle nostre / nella carne che si allenta // e ti apri come di un parto ancora
I tredici corvi sulle lenzuola sono la discesa verso una estrema consapevolezza di sé e dell’interazione con l’altro senza alcuna remora o pudore o ritrosia. I testi provocano e strappano il velo del non detto, dell’allusione, dell’ammiccamento e finalmente liberano i testi da ogni autocensura e da ogni forma di conformismo edulcorato, con parole chiare e necessarie che sanno nominare e rischiarare la mente e soprattutto il fisico.
ed è ora che esplodi, che il / tuo cazzo mi vomita addos- /so tutto quello che è // ti chiedi se avevo mai scopato per rabbia / rispondi che non conosco / altro modo
Vi è verso la conclusione del libro un senso di pacificazione, ansioso di carezze e di ordini, nonostante questo periodo inaridito e inacidito in cui i sentimenti e gli approcci appaiono irrimediabilmente compromessi dalla tensione e dalle complicazioni e prudenze imposte. Basta probabilmente fidarsi, come dice Alessandro, e scoprire che nonostante tutto questo morire dentro e attorno, l’unica a morire è la paura.
Ho temuto che il dolore mi avesse perso la strada
che il serpente si fosse ingoiato la coda
facendo a brandelli
ogni nuovo passo impossibile
è bastata una bachata
un ritmo battuto sui denti
un passo immobile
è bastato fidarsi
è bastato incastonare due cuori nel torace
e sentire quanto la paura uccida
prima di riuscire a riannodare il mare
Lascia un commento