I LIBRI DI POESIA CHE CONSIGLIO: 
“‘A fabrica ribandonàdha / La fabbrica abbandonata” di Fabio Franzin, Arcipelago Itaca Ed. – premio Arcipelago Itaca VI edizione, postfazione (motivazione del premio) di Manuel Cohen

           

Questo libro di Fabio Franzin viene pubblicato oggi dalla casa editrice Arcipelago Itaca a seguito della vittoria dell’omonimo premio per poesia inedita ma nasce, come dichiarato dall’autore nella nota di apertura, tra gli ani 2009 e 2011, periodo di forzata inattività in quanto aveva perso il suo posto di lavoro da operaio.
Sempre come dichiara Franzin:La fabbrica abbandonata è una metafora della nostra epoca. Non solo da intendersi come “opificio dismesso”, ma anche, e soprattutto, come luogo dove è stata dismessa l’etica delle mani, dove è sempre più arduo mantenersi umani. In questi spazi, destinati ormai solo al mero profitto (che è solo e sempre per i vertici delle aziende), dove ciò che è dismessa è persino l’ontologia stessa del lavoro, vedo spolpati sentimenti come l’amicizia, l’altruismo e la solidarietà; al contempo emergono sempre più la competizione, la delazione, l’individualismo, spogliando il luogo che dovrebbe rendere all’uomo la propria dignità…” e sempre dalle note di Franzin apprendiamo che “La fabbrica di cui parlo fu la “Ceramiche Girardi”. Avviò la produzione di piastrelle per pavimenti nei primi anni ‘50, in pieno boom economico, in centro a Chiarano, il paese in cui giunsi al seguito dei miei genitori nel 1970, in un territorio che, sino ad allora, si era retto su un’economia prevalentemente agricola. Nel 1966 venne dismessa per trasferire la produzione nella neonata zona industriale nord a Motta di Livenza – nell’epicentro del famoso nord-est dei distretti industriali – la cittadina confinante in cui vivo e in cui molti di noi lavoriamo, o lavorammo. Il “capannone”, con la collina artificiale di scarti industriali, ecomostri di una neonata e già distorta scommessa industriale, rimasero sul suolo originario per circa un ventennio. Io e alcuni miei coetanei passammo fra quelle pareti, lungo le stradine della collina rosacea di scarti di lavorazione, tutta la nostra infanzia.”
La poesia di Franzin non può ne deve lasciare indifferenti perché parla di vitavera, con uno sguardo obliquo sulla realtà del lavoro operaio degli ultimi cinquant’anni, in linguavera e vicina come solo un dialetto può essere. Questo, come ogni libro di Franzin, va letto e mandato a memoria – se ancora crediamo che la memoria possa cambiare il futuro di un presente pieno di non-luoghi e dis-umanità. CZ

          

Quattro testi da ‘A fabrica ribandonàdha / La fabbrica abbandonata nel dialetto Veneto-Trevigiano dell’Opitergino-Mottense e trascrizione in italiano dell’autore:

 

El ièra là, tea piazha del paese,
al posto del parco o del teatro,
muso a muso co’a cesa; come
un scatoeón grando, de blòchi
grisi, tut intorno un prà de jèra,

là, drio ‘a riva del canàl, come
un dent carià tel sorìso de ‘na
comunità. Come un meteorite
cascà sora ‘a tèra, ‘a canpagna,
un ufo aterà tel posto pì sbajià.

 

Stava là, nel centro del paese,
al posto di un parco o di un teatro,
muso a muso con la chiesa; come
un enorme scatolone a blocchi
grigiastri, tutto intorno un prato di ghiaia,

là, lungo l’argine del canale, come
un dente cariato nel sorriso di una
comunità. Come un meteorite

caduto sulla terra, sulla campagna,
un ufo atterrato per sbaglio proprio là.

*

 

Tre navate ‘a ‘vea ‘sta nostra
catedràe, tre spazhi grandi co’
fa squasi un canp da baeón; te
quel in mèdho i piàstri, tuti in
spìroea, sacre coeòne del tenpio

sconsacrà, crose de tubi picàr
dai sufìti, l’altàr ièra un bancón
de fèro tut rùdhene. Là se ‘ven
fat un catechismo nostro, pìcoi
santi, co‘e stigmate tii dhenòci.

 

Tre navate aveva questa nostra
cattedrale, tre spazi enormi quasi
come un campo di calcio; in
quello centrale i pilastri, tutti in
fila, sacre colonne del tempio

sconsacrato, crocifissi di tubi a pendere
dai soffitti, l’altare era un bancone

di ferro arrugginito. Là ci siamo
fatti un catechismo tutto nostro, piccoli
santi, con le stimmate sui ginocchi.

*

 

Pìcoi incidenti tel lavoro, che ‘ven
‘bbu anca noàntri, drento ‘l capanón;
el fèro piantà tea ganba, el tajio tea
man co’na schéjia de vero, o chea
volta che ‘l blòc de cimento croeà

dal sufìto ne ‘à sfiorà tuti quanti…
Dopo, tea fabrica vera, ‘ven vist Caio
co’l brazh schinzhà in mèdho ai rui,
sangue e sudhór missiàrse come te
un spritz. Luca ‘assàr tre dei tea topì.

 

Piccoli incidenti sul lavoro, che abbiamo
avuti anche noi, dentro il capannone;
la verga di ferro piantata nella gamba, il taglio nella
mano con una scheggia di vetro, o quella

volta che il blocco di cemento crollato

dal soffitto ci sfiorò tutti quanti…
Dopo, nella fabbrica vera, abbiamo visto Claudio
col braccio stritolato fra i rulli,

sangue e sudore miscelarsi come in
uno spritz. Luca perdere tre dita alla topie.

*

 

Che a vardarla ‘dèss, savendo
tut, tut el disegno: ‘sta infanzia
passàdha drento a ‘na fabrica
ribandonàdha… par che fusse
scrit za ‘lora, el nostro destìn…

da quando che la ‘ven catàdha
là, come regàeo de un posto tut
nostro, a diese àni dopo, finìo
‘e medie… pì de mèdha banda
seràdha drento ‘n’nantro capanón.

 

Che a leggerla adesso, col senno
di poi: questa infanzia
passata dentro a una fabbrica
abbandonata… sembra quasi fosse

tutto già scritto, allora, il nostro destino…

da quando ce la trovammo
là, come dono di un luogo tutto
nostro, a dieci anni dopo, finite
le scuole medie… più di metà di quella banda
chiusa dentro un altro capannone.

*

 

 

    


Fabio Franzin è nato nel 1963 a Milano. Vive a Motta di Livenza, in provincia di Treviso. È redattore della rivista di civiltà poetiche “Smerilliana”.
Ha pubblicato le seguenti opere di poesia: Il groviglio delle virgole, Stamperia dell’arancio 2005 (premio “Sandro Penna”), Pare (padre), Helvetia 2006, Mus.cio e roe (Muschio e spine), Le voci della luna 2007 (premio “San Pellegrino”, premio “Insula Romana” e premio “Guido Gozzano”), Fabrica, Atelier 2009 (Premio “Pascoli”, Premio “Baghetta”), Rosario de siénzhi (Rosario di silenzi – Rožni venec iz tišine), Postaja Topolove 2010, edizione trilingue con traduzione in sloveno di Marko Kravos, Siénzhio e orazhión (Silenzio e preghiera), Edizioni Prioritarie 2010, Co’e man monche (Con le mani mozzate), Le voci della luna 2011 (premio “Achille Marazza”, finalista al premio “Antonio Fogazzaro”), Canti dell’offesa, Il Vicolo 2011, Margini e rive, Città Nuova 2012, Bestie e stranbi, Di Felice (I poeti di Smerilliana) 2013, Fabrica e altre poesie, Ladolfi editore 2013, Sesti/Gesti, Puntoacapo 2015, Erba e aria, Vydia 2017 (Premio “Thesaurus” 2017, premio “Luciana Notari” 2018); Corpo dea realtà/Corpo della realtà, Puntoacapo 2019 (Premio “Franco Fortini” 2019); Prà de paròe, Sassiscritti 2020.