Da luoghi profani, inediti di Elisabetta Destasio
C’è tutto. C’è proprio tutto l’universo psichico femminile, in forma di amore e disamore, in questa selezione di testi dalla raccolta “Da luoghi profani” di prossima uscita, della romana Elisabetta Destasio, donna e artista dalle multiformi risorse ed esperienze. Percorrerete versi che vi scuoteranno, saprete dell’amore filiale, di come, nello specchio in cui si guarda, una donna si rovesci e si confonda in figliamadre (“lui ripete demenza,/ io dico tua nuova infanzia”), saprete del bodyshaming ovvero di come forme appena un poco arrotondate possano occupare un immaginario spazio fisico che va ben oltre quello reale (“Meglio l’ombra/ che mi fa filiforme”), saprete della malattia nel tempo che passa (“le ossa si fanno legno/ poroso/ – si sfalda la falange/ ma non sento più dolore”), saprete della sensualità, del dono di se stessi, della sublimazione tutt’altro che profana dell’amore in invocazioni a deità terrene (“Rimetti insieme le cose cadute,/ …mia fede perduta tra le zolle umide,/ …fallo, non guardarmi più femmina/ ma umilmente donna,/ …fallo, fai quest’unico destino di attendere /e attendere questo incompiuto destino,/ insieme/ nel luogo esatto dove il buio/ non può più nulla – ma la luce/ che si staglia su noi, /sì”). Leggo Elisabetta e penso a Dacia Maraini, a Idea Vilariño, a Cristina Campo, a autrici amate che hanno issato la bandiera della femminilità per combattere i legami della mansueta consuetudine. Destasio sta diritta in mezzo ai versi liberi con gli occhi alti, rivolti al cielo, statuaria e fiera in mezzo alla piazza, in carne e sangue e spirito che resiste, unica e distinta. CZ
Madre
faccio un nido tra gli
spazi bianchi della tua memoria
in ogni giorno che passa
su ogni tuo ciglio caduto
in ognuno dei passi mancati
e nella voce e nel tuo corpo
– assenti giustificati, dice un medico –
lui ripete demenza,
io dico tua nuova infanzia
perciò ti faccio il nido, madre,
mi ci accovaccio dentro e ti invento figlia,
ti faccio spazio nel verbo accudire
*
Meglio l’ombra
che mi fa filiforme,
meglio di questo corpo
che pesa e occupa uno spazio largo,
l’ingombro d’una piazza – vuota
e allora
fatemi snella e veloce allodola
tagliatemi in due
come si taglia
il pane, un orlo,
ciascuna rotondità
e sarò nella sottrazione dei fianchi,
della parola
in questo letto
arcipelago dimenticato
*
Non ha avuto luogo
l’invito a guardarmi
non solo come primavera
calice di bocca, oro
in filo sottile,
ma sul gelo
– sulla sbeccatura
dell’osso –
nel dividere
il petalo della mia carne,
dal battito dell’universo
che tutto, tutto vibra
tutto alza un grido,
dalle Pleiadi all’ultimo
stelo o grammo minimo
di corteccia
sul viale alberato
– ricordi? –
lo spasimare del tuo fiato
contavo sottovoce
per arrivare a te:
il cuore era tutto un bum bum,
quando tu
inginocchiato sul verde
hai sussurrato il mio nome
mentre dicevo
mandami giù, inghiotti
il mio humus,
trattienimi nella gola
e poi
traduciti in ritorno
*
Volevo dirtelo,
nel posto del vuoto
non ha avuto
forma la notte:
ho cambiato le
lenzuola straziate
di sudore
– stride un dolore
di assenza –
tutto lo splendore
delle cose intorno
reclama fioritura,
cinguettii dall’alba
invece mi piovi
in una fitta acuta
che duole
dal fianco al cuore
– dal filo d’erba
o da un grumo di cielo –
il resto
che non sia stato
azzurro luce,
eros e pace,
o voce tua e mia assieme
perdonami – non lo ricordo
*
So, del tentativo di volo
del passero,
del dolore della gemma
del gelo
le è troppo grave il peso
venire al mondo per metà
e per metà restare
immobile restare
– sotto il lenzuolo di ghiaccio –
immobile cuore,
cuore immobile,
tu:
cuore nella sera
nell’epicentro
del mio tremare
tremare tutto e
tutta la terra
sopra e sotto
ti sento venire
so, dello spigolo aguzzo
della lontananza
quanto trafigga
questo mio raggio
di vita e lo ferisca
e ferisca così anche la tua
vita, assente delle
braccia mie attorno
al tuo inguine
– e di te, nel mio bosco
asciutto, rapace senza volo, senz’orgasmo –
*
Potessero le tue dita
avvinte da fiducia –
ancora infilarsi nelle
mie viscere
potessi entrare in me,
spargere la tua storia
– seme t’ingoierei
come fossi fertile:
nessun tempo
di separazione – dico
terra e ombra e mio
nudo giardino,
nudo corpo sul tuo,
ancora
*
Resistente,
mi esisti come
il morso del gelo
sulla corolla del
frangipane
lo startene lontano, in piedi davanti
alla mia nudità –
tu che del ricordo
sei la bocca
d’ogni possibile cura
*
Si ossidano gli ottoni
le ossa si fanno legno
poroso
– si sfalda la falange
ma non sento più dolore
se non quello del muretto
scrostato e del tronco
senza corteccia della
sugheraia
visibile da via della Pisana
sono anni,
una vita che solco
i suoi segmenti
e mai, mai come ora
le frammentazioni
sull’asfalto intriso
d’acqua e di abbandoni
– mai, mai come ora –
sono state così somiglianti
a tutte le mancanze
a tutte le volte che arida
non ho più amato
per paura di non essere amata
– tradotta in cipresso,
strada di Roma –
voluta come si vuole un
cielo, l’alcova,
una dilatazione del tuo tempo
nel tempo mio
*
Rimetti insieme le cose cadute,
traducile in capelli lunghissimi
– ore a guardare un ventre non più asciutto
il tempo sopra alle cose,
la polvere da scostare,
abiti più comodi da abitare
mia fede perduta tra le zolle umide,
lucido uccello che voli tra le mie gambe
non più giovani
fallo, fammi sentire
dove giungono urgenti
le questioni intellettive
che si spostano al centro del petto
e poi, infine dove sai
fallo, non guardarmi più femmina
ma umilmente donna,
con questo nome scritto a due mani
in un letto pulito
e vergine
fallo, fai quest’unico destino di attendere
e attendere questo incompiuto destino,
insieme
nel luogo esatto dove il buio
non può più nulla – ma la luce
che si staglia su noi,
sì
*
Elisabetta Destasio nasce il 3 Maggio 1968 a Roma, dove vive. Scopre già dall’adolescenza, anche grazie all’amicizia paterna con Pier Paolo Pasolini, la predilezione per il componimento poetico.
Lavora nell’ambito delle produzioni teatrali e musicali, dal 1995. Collabora come consulente esterno di produzione con l’Accademia di Santa Cecilia di Roma. Lavora con Carmelo Bene, Luciano Berio, Lina Sastri, Ennio Morricone.
Dal 2013 intraprende l’attività di consulente editoriale ed editor.
Relatrice in convegni dedicati al tema della lotta contro la violenza di genere, presso Ordine dei Medici di Roma, Dicembre 2015, Novembre 2016; Camera dei Deputati, a Febbraio 2016; Intervento presso Casa della Cultura di Milano per “Donne in poesia”, Ottobre 2017. Delega alla cultura per il Comune di Fiumicino, Roma, dal 2103 fino al mese di settembre del 2014. Membro del comitato organizzativo del Premio Poesia Città di Fiumicino, nel 2015 e 2016. Pubblicata da LietoColle Editore nell’Agenda Poetica 2013 e 2019. Presente nell’Atlante dei Poeti creato da Griselda, portale di letteratura del dipartimento di Italianistica dell’Università di Bologna. In occasione della Notte Bianca della Legalità riceve il “Premio Legalità Fiumicino 2018” per l’impegno civile e sociale svolto per la Fondazione Vassallo. Da settembre 2019 è curatrice e direttrice artistica della rassegna “Poeti in itinere” Prima Edizione. Nel mese di Ottobre del 2109 alcuni suoi inediti sono stati tradotti in lingua araba e inglese, dalla scrittrice e giornalista Amal Bouchareb, per la rivista culturale letteraria Alaraby Aljadeed, diretta dal poeta Najwan Darwish. Conduce “La parola nuda”, rubrica letteraria/poetica su rivista settimanale dal titolo La voce del Paese.
Autrice delle raccolte di versi: Sogno d’acciaio; Corpo in animae entrambi pubblicati da Annales Edizioni (prefazione di Alberto Bertoni).
Di prossima pubblicazione: Da luoghi profani Opera terza.
Ha in corso d’opera: Di tutti e di nessuno, romanzo per Roma; Inedita opera in endecasillabi; Donne senza voce, racconto/testimonianza di donne nel sud est dell’Africa. Storie di violenza e vita sopravvissuta.
Conduce approfondimenti sul tema del dolore e della malattia, in collaborazione con l’équipe del Policlinico di Tor Vergata di Roma. Coordinamento letterario: dott. Giampaolo Gombi e prof. Gianmario Anselmi, ex direttore del Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica, presso l’Università di Bologna e docente di Letteratura.
24/03/2021 alle 15:31
poesie di altissimo livello nessuna esclusa, pregne di erotismo di grana sottile, di analisi interiore ed esterna che riflette sulla condizione di essere donna in un momento di mutazione fisica e di sofferenza famigliare