Osservatorio Poetico di Sonia Caporossi | Francesco Buco

X Generation

I 17000 metri che dividono
il Paese dei Non c’è
dalla Città dei Papi – e sono
schiuma d’Acquarossa, colli tufacei
dal profilo etrusco (e sono briciole
che insegui sulla Strada Teverina) –,
studenti li percorrono ogni giorno
quando i sentieri si diramano
dalle medie alle superiori.
A quel nuovo tragitto
didattico-esistenziale, noi
scolari neofiti, nel delubro
di lunghi pullman gialli,
venivamo iniziati anni fa
con un rito apotropaico sui generis.
Non so dire se fossero folclore
o come immagini di un docu-shock
le sculacciate inflitte dai più grandi
tra pendolari imperturbabili
sorrisi complici
e smorfie d’acne giovanile.
So che bene o male siamo scampati
a particelle catastali
radioattive, alle scorie
di piccole storie nucleari, io
con la mia generazione
(quella invisibile e ritardataria:
in ritardo al lavoro, in amore
e nel crescere).

*

Y Generation

Fu a mezzanotte circa, quasi un sogno,
un ansimare di ombre cinesi
…e i tuoi l’indomani più elettrici,
più evasivi… poi le settimane
filarono meno enigmatiche,
meno enigmistiche (ricordi?
scendevi gli anni Ottanta
con la Bmx dell’incoscienza,
la cresta ipnotizzata…),
finché si sciolse anche l’ultimo rebus.
Stai per cadere dal banchetto – dicevano
e sommessi, i vicini, a tua madre –
vedrai che arriverà la gelosia…
Ma cos’erano i gelosi
nella testa di un bambino: cartoni
e boomerang di solitudine? coccole
liquefatte? il lieto fine mozzo
delle favole? Intanto,
la cameretta trasmutava in rosa
e al giornalino dei preparativi,
nascosto, blindato, chiedevi
che un minuto, un minuto ancora,
restasse vuota quella stanza.

*

Z Generation

Hanno vent’anni i poeti che amo
vent’anni e croce millenaria
e voce modulata
che spacca le casse.
Hanno vent’anni e la barba di Ginsberg
rime in incognito fra versi liberi
dei sognatori le cartine Rizla
e amori crocifissi
sulla pagina.
Hanno vent’anni
e gli spermatozoi in endecasillabi
un sessantotto di slogan
e Beatrici a sessantanove.
Hanno vent’anni i poeti che inseguo
con buste compostabili
di Neoborocellina e devozione –
come certi genitori, autisti attendisti,
fuori dai fuochi fatui delle disco
disposti se potessero
a tassi Euribor di persecuzione
per trasferirsi un’ora
nel cantico dei loro figli.

Francesco Buco è nato quarantatré anni fa a Viterbo, dove vive con la moglie, lavora con il padre e gioca con suo figlio. Non ha mai pubblicato nessuna raccolta di poesie e soltanto negli ultimi due anni i suoi versi sono usciti su riviste on line (Poesia del nostro tempo, Inverso, Il Visionario, Le stanze di carta, Poetry Factory, Centro Cultural Tina Modotti Caracas, Poesia.blog. rainews di Luigia Sorrentino, Ipoet-Residenze Poetiche) e sulla rubrica di Repubblica “La Bottega della Poesia” (Milano, Roma, Torino e Bari). Lavora al suo progetto di racconti in versi Alfabeto domestico.

Boomers venivano chiamati i nati tra il 1946 e il 1964: erano coloro che non avevano vissuto la guerra, che, all’inizio, a malapena si affacciavano alle soglie del Boom economico dei rutilanti anni Sessanta, ne gustavano le vestigia e, più avanti, ne divoravano la polpa, restando fondamentalmente ottimisti pur in un mondo diviso in fazioni segnate dai punti cardinali. Poi, venne la Generazione X (quella, per intenderci, di chi scrive), sorta tra il 1965 e il 1980, figlia di un benessere ormai consolidato ma anche del disagio, la prima a fare bruscamente i conti con la crisi economica (quella petrolifera, bella pesante, del 1974), con la Guerra Fredda che ora faceva davvero paura, con i conflitti mediorientali, Chernobyl, l’esistenzialismo sartriano come moda pre-sessantottina e il poststrutturalismo decostruzionistico subito dopo, filone di pensiero che contribuì a toglierci ogni certezza. Arrivarono poi i Millennials, la Generazione Y, nata tra il 1980 e il 2000, che di quel benessere e di quel disagio non ha vissuto la fase prettamente drammatica, bensì li ha assorbiti come anapoditticamente dati per buoni in quanto unica maniera di essere al mondo, perché connaturati alla noia e alla disoccupazione che ne derivava ma che, a ben vedere, ne era, contemporaneamente, causa ed effetto; non è un caso che Giovanni Lindo Ferretti ne definì sarcasticamente la postura nei termini del famoso “non studio non lavoro non guardo la tv non vado al cinema non faccio sport”. Dopo il 2000, s’avvicendò la Generazione Z, che presenta attualmente una moltitudine di definizioni (Zoomers, Centennials, Digitarians, Plurals, Gen-Z, iGen o, meno fantasiosamente, Post-Millennials), vittima di uno spaesamento ormai più che epocale, direi eonico, identificata come età di coloro che, attaccati al cellulare come unico centro di gravità permanente, ormai sventolano bandiera bianca, se il profeta Battiato mi consente. Francesco Buco, nei tre inediti che qui presentiamo, ci parla dell’avvicendarsi delle generazioni dalla seconda metà del Novecento a oggi nei termini di una poesia che non lascia scampo e non cerca scuse, esautorata da qualsiasi funzione salvifica e/o confortante, in direzione, piuttosto, di una disamina tutto fuorché fredda del nostro vissuto più o meno recente, che coglie emersioni e rumori di fondo di questo nostro malessere diffuso, di questo nostro beffardo e instupidente digitarianesimo ultracontemporaneo.