A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Era diventato un piccolo rituale camminare per più di un chilometro e mezzo (note di lettura a I rituali dell’addio, di Lucia Cupertino, editrice L’erudita 2023)

 

 

I rituali dell’addio è il bellissimo titolo che Lucia Cupertino ha scelto per la raccolta dei suoi racconti. Credo che ognuno di noi intuisca l’importanza dei rituali e il posto che occupano nella nostra vita.

Chi non ha personalissimi e segreti rituali?; che hanno la funzione, in alcuni casi, di scongiurare cataclismi, in altri semplicemente di consolidare un’abitudine, un’attitudine a conformarsi a certe prescrizioni individuali.

Si tratta a volte di piccoli e inconsapevoli gesti, al limite del tic, a volte invece si tratta di vere liturgie, messinscene senza le quali nessuna iniziativa è pensabile. Chi può dirsi esente dal richiamo di piccoli gesti scaramantici? e chi non ne ha mai progettati? Se mi è consentito svelare un mio personale rituale, rivelerò che i miei versi nascono sempre da una stessa penna stilografica, una Lamy acquistata a Milano alla fine degli anni ’90, e considero con terrore che un giorno possa abbandonarmi.

Il titolo parla di rituali, sottintendendo con il plurale una varia e vasta gamma di possibilità. L’addio invece è declinato al singolare, perché pur nella diversità dei casi, si tratta sempre di un passaggio, di una perdita, che sia un abbandono, una dipartita, un viaggio: qualcosa dentro di noi cambia orizzonte.

      

 

 Di quali rituali si tratta? Eccone un esempio, narrato giusto nel primo racconto:

“Arrivarono in cima sull’imbrunire. José Luis piantò la sua comoda tenda e anche Juana prese a montare la sua, ad una decina di metri di distanza. Quella, appunto, non era un’allegra scampagnata come altre. Dopo tanti anni, varie volte sull’orlo del matrimonio, avevano deciso di separare le loro strade e perpetuarne la memoria con un rituale”.

Ma anche le certezze sulla propria identità sessuale possono essere oggetto di un trasalimento, di un rovesciamento, e si può così dire addio a un rapporto che appariva consolidato, seppure sospeso nel dubbio, nel travaglio dell’incertezza.

Anche la morte di un piccolo pappagallo diventa occasione, per un uomo travagliato dalla perdita della memoria, e per una bambina, di un piccolo rituale funerario:

Ben presto si tranquillizzò, vedendoli seduti ai piedi di un enorme albero di jacaranda, nel parchetto a due passi da casa. I petali si sfogliavano col favore del vento notturno e creavano un tappetto violaceo. Uno cadde sul volto di Samantha. Patricio scavava quel tanto che fosse necessario per la piccola tomba. Il pappagallo avrebbe dormito eternamente lì, coperto da una pioggia di jacaranda -.

     

In definitiva una rassegna di piccoli riti, tutti molto diversi tra loro, per mezzo dei quali celebrare una fine, un addio. Si tratta di quattordici racconti, alcuni pervasi di struggente tenerezza, altri di leggera ironia; in alcuni affiora  un’atmosfera di grande dolore, di dramma, in altri il racconto scivola più leggero, ma in tutti stupisce la capacità di tenere desta l’attenzione e la partecipazione del lettore, perché tutti costruiti con un dosaggio sapiente, direi maturo, nonostante la giovane età dell’autrice, di linguaggio sorvegliato e preciso, scorrevole e avvincente, e insieme di un montaggio che riesce sempre a espandersi al di là della semplice storia narrata, riesce a delineare atmosfere, luoghi e caratteri.

Altra caratteristica importante del libro è l’ambientazione: il primo racconto si apre sulle ultime propaggini di Città del Messico, squarci di verde, e – sul lato destro della strada svettava il vulcano Xitle -. Nel racconto finale invece siamo ad Aruba. Dopo essere saliti insieme a Ximena sulla funivia di Caracas, aver attraversato la capitale del Costa Rica, («In Costa Rica abbiamo perso cinquemila ettari di bosco negli ultimi quindici anni a causa dell’espansione della produzione di ananas. Ci rendiamo conto?”), aver visto i quartieri residenziali di Medellin, e dopo una sosta in un appartamento dove artiste attempate praticano una sessione di yoga, dopo aver attraversato la città alla ricerca di un veterinario, dopo essere passati per il Cile, dove – Il molo era una lingua di legno protesa sul lago Llanquihue, azzurro come i lapislazzuli di Anja. In fondo erano ben visibili i due vulcani di Puerto Varas – l’Osorno e il Calbuco – e via America Latina discorrendo, fino ad approdare a Lima:

L’edificio in cui viveva Jessica a Lima sembrava un’arnia abbandonata. Ogni appartamento con un balcone in miniatura, scialbo e grigio. Nessuno aveva una pianta, una stupida statua di nano, una bandiera scolorita dal tempo. Solo qualche busta di spazzatura e uno stendino, dei vasi mezzi rotti -.

Anche le ambientazioni interne sono molto varie: il collegio dove Casimiro studia, e il piccolo negozio dove viene accolto con affetto, l’appartamento borghese in cui abita Malena a Chapinero, e il bordo piscina dove Belen vede vacillare la fiducia nel   fidanzato, e l’ambulatorio della ginecologa Jessica, e Chascomus, dove il circo porta una elefantessa. In tutto questo viaggiare neanche un soffio, neanche un timido accenno ad atmosfere esotiche, ma sempre un equilibrio perfetto, grazie all’esperienza dell’autrice che in America Latina ha trascorso una decina d’anni, tutti anni giovanissimi e la cui ricettività quindi molto intensa.

Molti accenni invece ad usi e abitudini locali, che stimolano la curiosità e accendono la fantasia: che sarà mai il rompope? e la pifilca? e la jacaranda che tipo di albero sarà? e il tintico e il pandebono che sapore avranno? e i platani? in che differiscono dalle banane?

Nella bella prefazione Adriàn Bravi scrive:

 In un celebre epilogo di Borges si parla di un uomo che si propone di disegnare il mondo. Trascorre il tempo riempiendo gli spazi con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di astri. Alla fine, poco prima di morire, scopre che tutto ciò che aveva dipinto traccia l’immagine del suo volto. La rappresentazione di quella cartografia immaginaria, si accorge il pittore, non è altro che un autoritratto -.

Dunque in questo libro sono condensate le esperienze di Lucia Cupertino, il suo attraversamento di luoghi e di persone, di situazioni, e anche del suo fervido immaginario, della sua capacità inventiva davvero invidiabile. Conoscevo la sua abilità con i versi. Con il racconto, con la prosa, necessitano anche competenze ingegneristiche, capacità di incastro, conoscenze delle geometrie del raccontare, oltre a un’indubbia padronanza della lingua. Un libro destinato a diventare un buon compagno di viaggio e di scoperte.

 


Lucia Cupertino (Polignano a Mare, 1986). Scrittrice, traduttrice letteraria e antropologa culturale. Ha vissuto per più di dieci anni in diversi Paesi dell’America latina, scrive in italiano e spagnolo. In poesia ha pubblicato: Mar di Tasman (Isola, 2014), l’antologia bilingue Non ha tetto la mia casa- No tiene techo mi casa (Casa de poesía, 2016). Suoi lavori poetici e di narrativa sono stati inseriti in molteplici riviste e antologie italiane e internazionali, oltre che tradotti in inglese, cinese, polacco, bengalese e albanese.

 

 

 

 

 

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