L’interazione della luce con la tenebra: squarci.
Voci e testi di Milo De Angelis, Elisabetta Sancino, Sandro Pecchiari, Claudia Zironi, Silvia Secco, Luca Ariano, Emanuela Rambaldi, Sonia Caporossi, Paolo Polvani, Virginia Farina

 

In questo 21 di marzo 2021, primo giorno di primavera e giornata mondiale della poesia, abbiamo scelto la luce come filo conduttore per proporvi poesia, letta e scritta.
Prima di lasciarvi ai versi, vogliamo introdurre questa raccolta con uno stralcio del discorso di presentazione di “Linea intera linea spezzata” di Milo De Angelis (Mondadori, 2021), che, per l’occasione, ci ha fatto l’onore di donarci una sua lettura dal libro.
«La poesia non è soltanto il luogo in cui esprimiamo qualcosa di noi stessi, ma è una potenza arcaica, tirannica, dispotica che ci conduce in un luogo sconosciuto dove non siamo più noi stessi, dove diventiamo figli della parola. Quindi non più figli dei nostri genitori e nemmeno della nostra epoca, ma figli della parola la quale fa ciò che vuole, ci porta dove le pare, non chiede permesso al nostro desiderio. E anzi di questo desiderio la poesia rappresenta non tanto ciò che lo realizza, ma ci mostra ciò che noi volevamo veramente. La poesia non si limita a compiere un’attesa, ma ci rivela ciò che aspettavamo. Ci rivela l’altro lato dell’attesa, il lato celato, il lato in ombra, il lato nascosto. E a proposito di ombra posso dire che se c’è un’intenzione in queste pagine, è quella di gettare un punto di luce, un coriandolo luminoso, di portare la nostra piccola lanterna nel buio delle nostre cantine per illuminare, se pure per un breve tratto, la grande camera oscura in cui siamo confinati, la grande scatola nera di cui siamo ospiti provvisori…» MDA

 

MILO DE ANGELIS




 

DOPPIO PASSO

Qui, fra le trottole e il gatto parlante, in questa camera
dove ondeggiavano i vetri e la fiaba ci proteggeva,
proprio qui si svuota più veloce la clessidra
nel pavimento rosso delle sette capriole
si asciuga all’improvviso l’oceano dell’infanzia,
balbetta una lingua morta nelle nostre mani calcinate
che ieri furono sorgente e primavera, foglio e inchiostro,
proprio qui irrompe la fine che scruta solo noi e tace,
tace in un respiro di salgemma.

E allora facciamo silenzio, mio piccolo amore, slacciamo
i sandali, togliamo il braccialetto di cuoio:
chiuderemo la porta e scenderemo, scenderemo
con i nostri pochissimi anni nell’occulto che ci chiama,
mentre il pavimento prende il colore della notte,
scenderemo noi due, scenderemo noi soli, perderemo
la vita.

 

da Milo De Angelis, “Linea intera, linea spezzata” (Mondadori, 2021)

*

 

ELISABETTA SANCINO




 

IL BLU DILAGA

Mi aggrappo con le unghie alle pendici
alle dodici di un sabato senza domani
la stella sole tatuata sulla faccia
non si stacca niente non si sposta
la luce dai fossi blu di muscari che in punta
di pupilla  raccontano l’assoluta assenza
di logica nella bellezza
ho una faccia scorticata dalla luce 
il blu dilaga nella macchina inceppata
del mondo nella testa che tiene testa alla disumana
distanza da ogni bocca
luce santa luce che mi spacca

 

Inedito di Elisabetta Sancino

*

 

SANDRO PECCHIARI




 

di fronte l’alba a lame taglia il bosco
il bosco scambia animali e umani
insonni come endovene annusano
il primo pane da lontano
non visti che da pochi

[già altri fissano vie furtive alle finestre
in ghirlande di fiato di stranieri
oltre i vetri

il loro proseguire a tentativi
allarma tutti i fari indifferente
anabbagliando la foschia
e li spegne nella luce]

noi qui isolati da finestre alte
contiamo le case e ridiamo
nomi ai villaggi come a vidimarli
confermiamo le colline e il mare

l’esserci stati rassicura dalla lontananza

noi collegati a tubi d’aria controllata
veniamo allattati di sangue e sale

ma ho visto
io so che ho visto

 

da Sandro Pecchiari, “Desunt nonnulla” (Arcipelago Itaca Edizioni, 2020)

*

 

CLAUDIA ZIRONI




 

non c’è luce lontano dalla luce
né ci sono tenebre, né detriti o macerie
né colori. in assenza di luce non c’è buio
non c’è nero, non c’è vuoto (o pieno)
non c’è visibile fluttuazione fisica.
niente luce, niente vita – nessun respiro
nessuna sofferenza.

 

da Claudia Zironi, “Not bad” (Arcipelago Itaca Edizioni, 2020)

*

 

SILVIA SECCO




 

Sono questa fioritura di novembre: l’edera, lo scuro, il dimorfismo
fogliare. Io queste di luce, cuoriformi minime, io queste maggiori d’ombra
– foglie larghe come palmi, foglie dei luoghi sottostanti –
e sono una, e sono l’altra dentro l’una. Salgo sopra i tronchi
nei millenni vegetali, veglio sopra i cedimenti degli anziani
e insisto. E loro, loro sono il cibo quando scendono:
si fondono col seme, lo fecondano nelle radure.
Io, questa mia lingua inconsistente, sono io la scure, il suolo
e sono l’umido del marcio che risale dopo, il fiato che consola  
– irrora in superficie – solo fra le corde.

 

inedito di Silvia Secco di prossima pubblicazione in “I morti di tutte le specie” (Seri Edizioni)

*

 

LUCA ARIANO




 

Da anni non pedalavi
tra i ciottoli di quel parco;
fu il tuo primo posto,
un altro secolo con quel volto
da studente in fuga
tra umido e foschia che impasta menti.
Non potevi sporgerti
oltre quel ponte ma in due giorni
sei tornato su quelle panchine.
Una luce accennno di primavera
bagna il suo viso di baci
e l’attesa di stagioni svanisce
come due ragazzi nei dopo scuola,
pelli da carezzare sul solco
delle tue dita;
già fantastichi un altro incontro
quando cala la notte e il sonno
accende pensieri,
le risate nei suoi occhi.
Stupisce come un antico carro
riportato dalla terra… forse dono
nuziale di altre civiltà, divinità:
davvero Flavio Giuseppe abbandonò
le sue preghiere per un Dio più potente?

 

inedito di Luca Ariano

*

 

EMANUELA RAMBALDI




 

In fuga

Uno di fianco all’altro
rivolti alla notte
lungo un’autostrada deserta
disegnano incauti
i bordi di una relazione.

Anche la gioventù è
fatica. Ma – vista da qui –
luminosa.

Assaporano il vento
lo ingoiano.
Consola il frinire assordante
delle cicale.

Fanno a gara
con una canzone
urlata
come i loro vent’anni.
Non li spaventeranno i ricordi.

Bruciate tutto
le parole
i vestiti
i pensieri
cancellate tutte le tracce
(non vale la pena)
quando saremo andati.

Da dove viene questa propensione all’oblio, questa necessità di scomparire?

Nella canzone
il finale è un mantra
accompagnato dal piano
did you forget
did you forget
did you forget
did you forget
quando la voce svanisce
e appare il violino
solitario e in sordina prima
in crescendo poi
insieme a tutti gli archi – è
lì che acquistano leggerezza
lì che cominciano a fluttuare
ognuno nella propria
definita luminescenza
e quando
la musica cessa
gli strumenti tacciono
la canzone è finita
per un attimo
hanno la sensazione che non ce ne sarà un’altra
mai più.

Quando è stato – che si sono innamorati dei paradossi – e hanno cominciato ad inventarne uno?

Applausi.
Inchino. Testa sulla spalla. Silenzio. Sipario.

Ancora si è alzato il vento.
Marte il rosso guida la strada.

Inciampano nel futuro
questa notte.
Ci sarà tempo
prima che rimanga solo
il ritorno.

*

 

SONIA CAPOROSSI




 

(viaggio mentale nel cielo di tangeri) 

sorvola questo {deserto}
e la sua chiarezza
suggestione cromatica ocra
la incatena
           pegaso nel cielo della chiaroveggenza
s’innamora                delle truppe di formiche in fiamme
fila di mutismi
nello specchio elettrico del sole

ragnatele stese ad asciugare trame insofferenti
        impadronirsi di {sé}
                                                       ora
                                                            un’indagine radiale
                                             che punta dritta tra gli occhi
{vedere}
                territori immaginifici
                                                              bagnati
                                                   da questo bianco {amore}
sospesi
da ogni attimo
                                                           nell’eterna polifonia
del vivere

 

inedito di Sonia Caporossi

*

 

PAOLO POLVANI




 

Un inventario della luce

Com’è limpido il cielo e come sgorga.

Sono qui per fare un inventario della luce,
per dare alle pupille le case disseminate
nel paesaggio dell’alba priva di vento.

Sono qui per mietere a piene mani.

 

da Paolo Polvani, “Un inventario della luce” (Helicon, 2013)

*

 

VIRGINIA FARINA




 

Una fotografia

Ti abbagliava il pomeriggio
d’agosto, il calore che il cielo
schiariva e arroventava le pietre
invecchiate nel muretto a secco
su cui t’appoggiavi.

Ma tu tenevi ben aperti gli occhi
guardandomi come ridendo
mentre la luce ti disegnava
esatta le spalle ed il volto
e le rughe, una per una,
impressionandosi a fondo
sulla pellicola stesa tra le mie dita.

Per un centoventicinquesimo
di secondo
si è esposto il tuo corpo
alla luce, poi in fretta abbiamo
disfatto la posa, il tempo soltanto
di scivolare nell’ombra
e cercare frescura felici
con una fotografia in più
a trattenere l’estate.

Ora con quegli stessi occhi
pieni di luce ci guardi
al limitar d’una tomba
come a dirci scherzoso
di non credere al vuoto
cemento che richiude
una cassa e il suo buio.

No, tu guardi ancora la luce
con quella luce degli occhi
che dicevi è luce di mente
luce che affila i pensieri
come la luce sovrana che scorre
sopra ogni cosa
luce parola, quando qualcosa
ci tocca, più a fondo
e ci impressiona per sempre
come carta sensibile
impronta, di vita e di luce.

(Aidomaggiore, 23 febbraio 2021)

 

Inedito di Virginia Farina

*