A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Solitudine di mani che disperatamente fanno ciao (note di lettura a L’unico occhio, di Paolo Zanardi, puntoacapo 2023)
L’ultimo libro di Paolo Zanardi è un viaggio articolato in tre distinti capitoli. La cifra che li accomuna tutti è la nitidezza, che vanta una parentela stretta con la semplicità, da intendere qui come traguardo di difficile ambizione, piuttosto che scorciatoia per accontentarsi della superficie.
Stupisce la precisione della parola, l’esattezza del segno, che sta lì e non ammette deroghe, come recita un suo verso, un’incisività che dona luce e proviene dalle regioni profonde della poesia, e riassume la propensione al volo, la capacità di staccarsi dalla terra e trasportare il lettore come a bordo di un tappeto volante.
È quello che accade fin dai primi versi, quando l’esordio di un temporale ci mostra i peschi in trincea, e – i fili d’erba piegati / come soldati sul Carso – e tutto il libro è un luccicare di poesia, un accendere i buoni fuochi della mente, che infine costituisce la missione della poesia, il suo nudo mestiere: – il treno regionale che inventa / una stazione a ogni luce / cospargendo di braci la nebbia -.
Dunque il libro è suddiviso in tre capitoli. Scrive Max Mazzoli nella bella prefazione a proposito del primo: “Qui prevalgono immagini e sensazioni provenienti dalle più svariate latitudini, che nutrono il nostro bisogno di andare e di conoscere, ma sempre intrise di una consapevole malinconia derivata dal sapere della nostra finitezza”.
Il titolo di questa sezione è infatti Area transiti, e le ambientazioni prediligono aeroporti e stazioni, i versi ci accompagnano a Napoli, – Là davanti fiorisce il Vesuvio – e subito dopo all’aeroporto di Atlanta, dopo una turbolenza – nel ronzio minimalista di un aereo -, e poi – L’ancheggiare di un solco: eccolo / il Mississippi -, e poi Milano, priva di rotondità, dove il netto blu del cielo è una sorpresa di vernice ancora fresca, e una colazione sul mar Nero, e Odessa, col suo nome di odalisca stanca. Ma ci sono anche Falconara, e Bologna e persino Barletta.
Ora l’area transiti testimonia di una vita che fa del viaggio una periodica necessità, essendo legata al lavoro che Paolo svolge e che lo porta in tutti i continenti. Ma rappresenta anche la consapevolezza della nostra transitorietà, espressa in maniera reiterata in forma di domanda: Dove vanno a morire i cervi? Dove se ne andrà la nostra voce? e in un altro testo s’interroga sul destino di un amico che ha usato la scorrettezza di andar via senza nessun avvertimento: – Come sarà lassù, oltre queste / nuvole di lana grezza / oltre la gravità -. Un altro amico invece ha avvisato per tempo: – Lo sapevi già / d’essere in partenza. Ti vedo sul binario / con la valigia, la cravatta / delle grandissime occasioni -.
Una transitorietà che non risparmia nessuno: – Vedo che io stesso sono un’area transiti / in cui si attende il volo per Bologna -.
La sezione centrale è quella che dà il titolo alla raccolta, L’unico occhio. Si tratta di un titolo abbastanza sibillino e ambiguo che si presta a varie interpretazioni e declinazioni. In tutta la raccolta troviamo due indizi solamente: – L’unico occhio ha voce / amabilmente forestiera – e, forse più illuminante: – La vita, come certi giganti / vede da un occhio solo -. Legato alla transitorietà della vita, è lo scorrere veloce degli avvenimenti che a volte travolge, sconvolge ogni aspettativa e scompiglia le carte. Così anche qui assistiamo a diversi addii di amici e persone amate, assistiamo ai viaggi:
Guardo le sottili allampanate
palme di Cadice che danzano
e disegnano il vento
e ne tracciano l’ombra
la tua ombra
e più avanti, nella stessa poesia, incontriamo i pescatori cesellati dallo scalpello del vento, e l’argento dei pesci nei secchi. Come recita il titolo della prefazione di Mazzoli, qui si tratta di cogliere gli eventi in flagrante, e questa immediatezza del trasferire la volatilità degli istanti in versi incisi con vigore sullo spazio bianco della pagina ci ricorda che Paolo Zanardi è anche abile fotografo, si tratta quindi di un’attitudine coltivata su due differenti binari ma con uguale ambizione.
Il ritorno a casa è il titolo del terzo e ultimo capitolo, e si tratta davvero di scoprire finalmente una dimensione più raccolta, circoscritta alle vicende familiari, agli affetti domestici, ai ricordi legati alla figura del nonno, alle bellissime composizioni dedicate alla figlia Laura, dove Paolo tocca forse i vertici della sua capacità di creare tanto con un lessico dalle trasparenze elementari, con una capacità e profondità di visione davvero incisive e durature. – Ogni parola si impigliò / in quel preciso punto dello spazio – recita il primo verso della poesia dedicata a Laura, e mi pare un verso programmatico, valido per l’intera raccolta, dove davvero ogni parola trova una sua collocazione precisa sul bianco della pagina, un posto che non ammette deroghe, che non poteva essere altrimenti, e ci ricorda di quanto sia forte il nostro attaccamento alla vita, sebbene sempre e per sempre accompagnati da una – Solitudine di mani / che disperatamente fanno ciao -.
Il viale in alta uniforme
emana il saluto. Il prato
rende l’onore delle armi.
Stanno già morendo
i fiori di magnolia.
Si abbandonano
senza pretesa di un sepolcro
in rivoli d’aria.
Anch’io mi sfoglio nel vento.
Talvolta non è che un refolo
di vene screziate
la primavera.
° ° ° ° °
In bicicletta adagio
disegnavamo la laguna.
Quale sapienza disponeva i trampolieri
netti oltre la stampa fresca
dei canneti sul cielo?
Energie guizzanti rigavano
la quiete degli stagni.
La sonnolenza delle barche
giaceva sulla sabbia, le reti
oscillavano al respiro
del pendolo celeste.
Mi precedevi, non sapevi
che non smettevo di guardarti
come parte del miracolo.
Ogni tanto ali di germano
battevano l’aria, i colli protesi
destinazione ignota.
Becchi sondavano nel torbido
la fuga di minuscole esistenze.
Poi ti raggiungevo.
Un sorso d’acqua, una foto
uno sguardo per dirci
quanto le anatre fossero felici.
° ° ° ° °
Propositi per una domenica
Alcuni appunti.
Preparare l’impasto aggiungendo
il tocco segreto.
Aspettare che lieviti ascoltando
ciò che il vento vuol dirmi
quando si flettono i pioppi.
Lasciarmi disarmare.
Arrendermi alle nuvole
mentre risucchiano il sole
e al sole che sgomita
e fende l’aria già densa
del canto dei pollini.
Entrare in un libro che sia
un treno che parte.
Arrivare tardi di anni
all’incontro con una musica
ma sorprendermi a saperne
ogni passaggio.
Quindi stendere l’impasto
condirlo
attenderti.
Infine guardarti
mentre indovini tutti gli ingredienti.
° ° ° ° °
A Laura
Ogni parola si impigliò
in quel preciso punto dello spazio
come in un rovo.
Eri nata.
Una pagina bianca.
Felicemente ribelle come solo
può una pagina bianca.
Quel marzo consegnò
lettere illeggibili, guarigioni
non ipotizzabili sotto il cielo.
Ma tu eri nata.
Una pagina bianca.
Sovversiva quanto una poesia.
° ° ° ° °
Alcune immagini
le devo ancora collocare.
Una giostra
un cavallo
guanti di lana rosa.
Solitudine di mani
che disperatamente fanno ciao.
Paolo Zanardi è nato nel 1964 a Parma, dove vive e lavora. Sue liriche hanno ricevuto riconoscimenti e sono apparse in raccolte e riviste. Ha all’attivo una collaborazione con la compagnia Teatro Tocco di Parma per lo spettacolo Dove arde il tuo silenzio (suggestioni dalla vita di Tina Modotti), per il quale ha fornito un contributo alla drammaturgia. Ha pubblicato le raccolte di poesia Estuario (Ripostes, Salerno 1998), Calliope minore (Rupe mutevole, Bedonia 2012).
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