SPAZIO | I LIBRI DI POESIA CHE CONSIGLIO:
“Discanto” di Francesco Sassetto (Arcipelago itaca edizioni, 2023)

     

Quando esce un nuovo libro di Francesco Sassetto, per me è sempre un grande piacere. Seguo infatti l’autore da molti anni e non sono mai rimasta delusa. Sassetto, veneziano, è poeta “di lungo corso”, dallo stile e cifra fedeli a se stessi e riconoscibili, che si dedica prevalentemente al genere “civile”, con qualche sporadica e alta puntata nel lirismo amoroso e degli affetti familiari, in modo sempre avvincente. Infatti quando ho avuto tra le mani Discanto, è stato automatico sfogliarlo e leggerlo d’un solo fiato. Discanto è il secondo libro che Sassetto pubblica con la bella casa editrice Arcipelago Itaca di Danilo Mandolini, in continuità con il precedente “Il cielo sta fuori” del 2020, del quale ritroviamo qui alcuni luoghi e personaggi. Contiene cinque suggestive foto in bianco e nero dell’architetto e fotografo friulano Manuele Elia Marano – che già in precedenti pubblicazioni aveva lavorato con Sassetto –, porta una prefazione di Manuel Cohen – esperto di poesia dialettale – e in chiusura due note critiche di Sandro Pecchiari e Monica Guerra. Il titolo riprende e omaggia un album di Ivano Fossati, cantautore amato da Sassetto e citato in esergo proprio dal pezzo omonimo, in una triplice aderenza al contenuto: la poesia di Sassetto funge da controcanto in senso contrario all’andazzo della res publica; il dialetto usato per interi componimenti o in commistione con l’italiano in altri, funge da controcanto popolare e intimo all’italiano, in osservanza della scuola pasoliniana; il discanto può essere visto come contrazione, dall’assonanza veneziana, della parola “disincanto” –  primo pensiero che ho avuto ancora prima di leggere una nota dell’autore dove il calembour viene dichiarato apertamente – sentimento che domina la visione del mondo del poeta. Avere a che fare con la canzone di Sassetto (alcuni componimenti utilizzano un sistema di metrica e rime estremamente musicale) certo non rasserena ma sicuramente dà da pensare e fa sentire meno sole le persone “con gli occhi aperti”. Le sue parole sono dettate dall’autenticità, dall’esperito, dalla vitavera, dal ragionamento critico, dalla volontà di testimoniare e mantenere a lungo viva la memoria, le sue parole oggigiorno sono preziose. Ho scelto di proporvi tre testi dal libro che considero emblematici, tutti in dialetto con traduzione in italiano dell’autore stesso: uno su come viene vissuta Venezia da un veneziano che ormai quasi non la riconosce più come propria città, uno d’amore (finito), di una dolcezza devastante – Sassetto è parco di versi amorosi, ma non dimentica mai di inserirli nelle sue raccolte e devo dire che, a mio parere, in questo genere si trovano alcune delle sue prove stilistiche migliori – e uno in cui il disincanto e la rassegnazione di tutti noi sono incarnati nella metafora di un cane che, pur sapendo cosa lo attende, non riesce più a reagire al bastone. CZ

   

Come xe triste Venessia

    

co un turista mòre schissà fra góndoła e vaporéto

a Rialto, el Sindaco dise a gran vóse che ´ l darà

‘na regołàda al tràfico da autostrada che xe łà,

po´ ´l tase

el torna née so stanse

   

co in Riva S ciavóni dai Lancioni se bùta fóra

ogni giorno ´na marea de móne che va par e càe

ridendo e sigàndo , in una man el scartòsso

de pasta ne ł´altra gùgol map

   

co e case se svóda e cresse a grumi B&B

e botéghe de porcàe made in Venice

e tuto xe bìsness e Venessia un bazàr

che strénze el cuor

   

co sìga tute e łingue del mondo e nissùn

parla più venessiàn , no ti trovi un amìgo

che te diga ˝bondì , vècio , come va ?˝

ti camìni in mèzo a mièra de ombre

che spénze e strénze

córe e va via.

   

E no te resta che ´ndàr vanti

cói òci àe pière

stàr su ła Riva a vardàr de sera

el cieło łontàn

sempre più nero.

   

   

[Com’è triste Venezia. Traduzione dal dialetto veneziano: quando un turista muore schiacciato fra gondola e vaporino/ a Rialto, il Sindaco proclama che farà/ un’Ordinanza per regolare quel traffico da autostrada/ poi tace/ torna nelle sue stanze// quando in Riva Schiavoni scende dai Lancioni/ ogni giorno una marea di scemi che girano le calli/ ridendo e gridando, in una mano un cartoccio/ di pasta, nell’altra Google Map// quando le case si svuotano e crescono a grumi B&B/ e negozietti di porcherie made in Venice/ e tutto è business e Venezia un bazar/ che stringe il cuore// quando si alzano in un grido tutte le lingue del mondo e nessuno/ parla più il veneziano, non incontri un amico/ che ti dica ˝ciao caro, come va?˝/ cammini tra migliaia di ombre/ che spingono e opprimono/ corrono e vanno via.// E non ti resta che andare avanti/ con gli occhi alle pietre/ stare sulla Riva a guardare la sera/ il cielo lontano/ sempre più nero.]

*

  

  

Ti xe stàda ła primavera

   

Un freddo cala…Duro il colpo svetta.

E l’acacia ferita da sé scrolla

Il guscio di cicala

nella prima belletta di Novembre.

 

Eugenio Montale

   

Ti me torni in testa ogni tanto come ´na mosca

che rùza e gira intorno ma xe un puntìn

de łuse cussì sfogà e łontàn che no so

se xe vero o me ło so insognà.

   

Ti xe stàda ła primavera dove tuto nasséva

e ogni baso gèra nóvo e pien de cołori

e far ł’amor gèra dirse ł’amor.

   

Bastava un’ociàda fra noialtri do par capìr,

tegnìrse fra i bràssi a copàr le paure

dirse ˝te vòio ben davéro

e sarà par sempre˝.

Cussì se credeva.

   

E i amìssi ne vardàva e diséva che parévimo do

che stałigài stréti come ´na corda a ła bìta (2),

fusse vero o no no savévo ma ne pareva

   

de tegnìr dentro dée man

tuto quéo che vaéva.

   

Par ani cussì, łonghi de sol, po’ se ga róto

qualcòssa

ła corda no tièn più, ła se sbréga.

   

Xe cascà el caìgo come ´na pièra.

   

(2) Vocabolo di derivazione francese, bitte. Il termine bitta –scempia la t nel veneziano– indica una piccola colonna, generalmente di ghisa, che si dispone nelle calate dei porti o nelle imbarcazioni per legarvi corde o catene, con funzione di ormeggio.

    

   

[Sei stata la primavera. Traduzione dal dialetto veneziano: Mi ritorni in mente ogni tanto come una mosca/ che ronza e vola attorno ma è un puntino/ di luce così sfocato e lontano che non so/ se sia vero o se l’hosognato.// Sei stata la primavera in cui tutto nasceva/ e ogni bacio era nuovo e pieno di colori/ e fare l’amore era dirsi l’amore.// Bastava un’occhiata tra noi per capirsi/ tenersi abbracciati per vincere le paure/ dirsi ˝ti voglio bene davvero/ e sarà per sempre˝./ Così si credeva.// E gli amici ci guardavano e dicevano che sembravamo due/ legati stretti come una corda a una bitta,/ fosse vero o no non lo sapevo ma ci sembrava/ di tenere nelle mani/ tutto ciò che valeva.// Così per anni lunghi di sole, poi si è rotto/ qualcosa/ la corda non tiene più, si spezza.// È caduta la nebbia come pietra.]

*

    

   

I ne ga ciapà par stanchéssa

 

È vero che sono stanco:

questo scendere scale e salire

deride, finché uccide, gli stanchi.

 

Franco Fortini

 

dełusión, perché sémo stufi

no gavémo più fià

né vòia de alsàr la testa

sigàr

   

rami séchi de ´na stagión finìa

stémo sìtì

   

un can bastonà che quasi no sente più e bòte

destirà in tèraa pànsa in su

sangue da ła bóca

el stómego rebaltà

   

gnanca el ghe prova a drissàrse in pìe

sbraitàr

morsegàr

    

el sta butà łà

i òci serài

mugołando

   

a spetàr da nóvo el bastón.

   

   

[Ci hanno preso per stanchezza. Traduzione dal dialetto veneziano: delusione, perché siamo stanchi/ non abbiamo più fiato/ né voglia di alzare la testa/ gridare// rami disseccati d’una stagione finita/ stiamo in silenzio// un cane bastonato che quasi non sente più le botte/ disteso a terra a pancia in su/ sangue dalla bocca/ lo stomaco rovesciato// nemmeno prova ad alzarsi sulle zampe/ abbaiare/ azzannare// rimane là accasciato/ gli occhi chiusi/ mugolando// ad aspettare che torni il bastone.]

*

 

 

 

 


Francesco Sassetto

Francesco Sassetto risiede a Venezia, dove è nato nel 1961. Si è laureato in Lettere nel 1987 presso l’Università “Cà Foscari” di Venezia con una tesi sul commento trecentesco di Francesco da Buti alla Commedia dantesca, pubblicata nel 1993 dall’editore Il Cardo di Venezia con il titolo La biblioteca di Francesco da Buti interprete di Dante. Ha collaborato in qualità di cultore della materia alla cattedra di Filologia Dantesca, con attività didattica e di ricerca e ha conseguito, nel 1998 il titolo di dottore di ricerca in “Filologia e Tecniche dell’Interpretazione”. Scrive componimenti in lingua e in dialetto veneziano che hanno ricevuto numerosi premi e segnalazioni. Suoi testi e sue sillogi sono presenti in varie antologie, riviste e blog. Ha pubblicato cinque raccolte di poesia Ad un casello impreciso (Valentina Editrice 2010) con prefazione di Stefano Valentini, Background (Dot com Press / Le Voci della Luna 2012) con prefazione di Fabio Franzin, Stranieri (Valentina Editrice 2017) con prefazione di Stefano Valentini, Xe sta trovarse in dialetto veneziano (Samuele Editrice 2017) con prefazione di Alessandro Canzian, Il cielo sta fuori (Arcipelago itaca 2020) comprendente testi inediti ed alcune poesie gìà edite e “rivisitate”, con un saggio di Stefano Valentini. Molti critici si sono interessati alla sua opera e ne hanno scritto.