Note Psicopoetiche di Valeria Bianchi Mian | Terapia del materno
«*Dall’introduzione a Maternità marina, Terra d’Ulivi Edizioni, 2020, a cura di Valeria Bianchi Mian e Silvia Rosa»
«Se penso alla maternità come elemento perturbante nell’arte, mi viene subito in mente la donna gravida che ci sorride dal dipinto La speranza di Gustav Klimt (1903). Nell’immagine prende vita la sognante rêverie di colei che contiene e cova il suo stesso essere luna piena. Dentro quel solipsismo, il pittore si tuffa per cogliere la perla dell’ispirazione e nuota realizzando il quadro come un convitato alla poetica del femminile terreno.
La gestante archetipica klimtiana crea da sola il proprio feto-pesce, culla quell’essere ancora privo di forma, lo stesso che, nero e oblungo, il corpo ancora indefinito e caudato, si mostra abnorme eppure in nuce – ed è lo stesso essere vivente che fa capolino al fianco della rossa e pallida protagonista. La donna del quadro sembra avvolta dall’ombra dell’ignoto e dal riflesso del desiderato, nutrita di timore e, al contempo, immersa nel suo stesso essere madre in fieri. Dietro di lei, altre ombre avanzano portando il rischio dell’incompiutezza, dell’aborto, del taglio del filo innanzi tempo. Le forbici di Atropo sono sempre all’erta mentre la vita freme in ogni angolo del corpo di terra e mare, nel ventre pregno del possibile. Sappiamo che la presentazione del dipinto avvenne dopo sei anni dalla sua realizzazione, e che l’immagine destò inquietudine nella Vienna dei benpensanti. Che si potesse appunto pensare male della maternità, o che si potesse pensare il male come elemento fra le trame della stessa, non era faccenda buona e giusta per i gusti dell’epoca. Non lo è, sovente, nemmeno per i nostri tempi, ma la psicoanalisi e la psicologia analitica ci hanno insegnato a fare spazio allo stupore, alla meraviglia che perturba, al panico persino, poiché in ciò che ci scuote c’è un dio che preme per essere ascoltato e accolto. Un dio, certamente, ma soprattutto, nella storia della maternità, c’è una dea una e trina.»
E ancora: «Dire madre presuppone ancora, nell’immaginario collettivo e nella psiche del singolo ‒ lo si vede in ambito clinico così come nell’ideale mediatico ‒ una sorta di morbidezza che accoglie e lenisce ogni pena, una dolcezza mammifera che offre alla creatura creata atmosfere Eden prima della caduta, ma circola ormai come acqua nei meandri della realtà cosciente, l’idea che la madre sufficientemente buona di winnicottiana memoria sia una meta costellata di erranti errori agiti quotidianamente da migliaia di volonterose eroine dello smettere di fumare in gravidanza, della tetta somministrata a piacere, del pannolino ecologico. E così via, tentativo fallito dopo tentativo abbozzato, dalla fecondazione alla tarda adolescenza della prole (e oltre). Insieme alla psicoanalisi, il femminismo come filosofia e pratica ha scosso la società occidentale, richiamando dal buio un femminile plurale: madri e non madri, tutte le donne possono viversi creature generative. Nella non-maternità delle madri c’è oggi lo spazio per rigenerarsi: scrivere un libro, per esempio, è attività che spesso viene paragonata al parto, e i figli di carta, a ben guardare, richiedono impegno e responsabilità sulla via del reiterare il Sé nell’Altro. Pensarsi madri eppure non generare è oggi una scelta possibile, meta di un percorso che, seppur ancora troppo spesso metta in gioco pregiudizi sociali, diventa lecito e anche a tratti desiderabile, se si osserva attentamente lo scenario da teatro dell’assurdo della contemporaneità distopica eppure reale. Pensarsi madri e generare è oggi una scelta possibile tra le altre scelte.»
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AGAVE
Ero convinta di somigliare
alla cruda agave.
Nuda, dura e appuntita.
Credevo nelle mie necessità:
poca acqua
solitudine
la vista del mare.
Sapevo di andare a morire
dopo il primo fiore.
Un figlio, e via.
Scopro con particolare orrore
e assurdo piacere
che al sale
si accompagna l’acqua
che la maturità
non è un esame.
È senso della terra.
Peccato le rughe
ma, se le radici sono tante
io sono l’agave
non monocarpica.
(Valeria Bianchi Mian, da Vit[amor]te. Poesie per arcani maggiori, Miraggi Edizioni, 2020)
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Naturalezza, istinto. Sono parole che oggi fatichiamo ad associare al corpo, figuriamoci alla relazione. Ne ho parlato – solo un piccolo accenno – a SOS Gaia TV, su Rete 7, pochi giorni fa. Per rivedere la puntata della trasmissione condotta dalla giornalista Rosalba Nattero – link qui: *
Mamma buona, mamma assassina, mamma sufficientemente sufficiente, Mamma guardami!, Mamma è colpa tua, Mia Madre è una strega, Mia Madre è una santa, Mamma mi sono fatto male, di Mamma ce n’è una sola, la Madre non è più, la Madre è ancora.
Dico Mamma. Dico Grande Madre o piccola madre. Buona, cattiva, orrenda, calda, de-genere, meravigliosa nutrice o carnefice. Madre che senza il Padre è l’unica colpevole, se la ghigliottina, la forca, la pira si innalzano sulla pubblica piazza quando Lei uccide la propria creatura.
Ad esempio, due anni fa, la piccola Diana.
Una madre condannata all’ergastolo.
«Attraverso la scrittura creativa e terapeutica, utilizzando le metodologie autobiografiche e la parola poetica insieme alle pratiche di Mindfulness, vi accompagneremo nel luogo magico e misterioso dell’infanzia, dove avverrà un incontro speciale, tra giochi, filastrocche e segreti sussurrati a uno specchio che riflette la vostra immagine, nel passato e nel presente, insieme a quella di vostra madre.»
Per informazioni:
poesievolanti@gmail.com
silviarosa76@yahoo.it
Attenzione, posti limitati!
21/05/2024 alle 08:35
Il tema mi ha incuriosito e ho cercato il video di cui non risulta visibile il link, che e` questo:
https://www.youtube.com/watch?v=Wq8ZdJqzBsk&ab_channel=SOSGaia
Secondo me tutto si chiarisce gia` in apertura: “l’uomo e` un animale”; cio` significa che, al pari degli altri animali, egli e` soggetto alle leggi dell’istinto, degli ormoni, delle necessita` fisiologiche, dettate dal programma ad ampio respiro del prolungamento delle specie e della vita sulla Terra, in cui ovviamente gioca un ruolo fondamentale la maternita`, che non e` solo parto ma anche accudimento, protezione, educazione; l’essere umano vi aggiunge cultura, ideologia, simbologia, poesia e altre arti, proiezione, giurisprudenza, comunicazione sociale, politica, un fardello di sovrapposizioni e arricchimenti che non possono negare quella che e` sempre e comunque la sostanza. Valeria BM, in qualita` di psicoterapeuta, si occupa prevalentemente, com’e` ovvio e giusto, del vissuto personale, ma, se si tratta l’argomento da un punto di vista generale, ritengo si debba concludere che casi isolati di perversione (perversione in relazione a cio` che sarebbe naturale) sono da inserire nel quadro della malattia di una societa`; non solo quindi uccisione o abbandono o vendita di un figlio, anche appostarsi sul tetto di una sede universitaria e sparare sulle persone, o uccidere un famoso cantante che era divenuto un mito, o compiere un attentato a un personaggio politico o a casuali passanti; estendendo il discorso si puo` chiamare perversione anche manipolare l’informazione, inquinare l’ambiente per avidita` personale, sfruttare ceti sociali svantaggiati, scatenare guerre, seminare odio, emarginare . Cosa ne e` stato del buon selvaggio di Lacan? Cosa ci ha fatti diventare cosi`? Qual’e` la malattia della nostra societa`? E` curabile? Forse gli altri animali ci possono insegnare qualcosa.