Intervista a Leopoldo Attolico, a cura di Miriam Bruni.

     

Ne hanno scritto su importanti blog letterari, come Poetarum Silva, Zona di disagio, L’ombra delle parole. Non penserete mica che Versante Ripido si tiri indietro! E difatti facciamo non un passo indietro, bensì uno avanti: parliamo con l’autore direttamente (ehm…: si fa per dire), in realtà via etere, ma come se fossimo ad un caffé di Roma, sua città natale, e Leopoldo Attolico ringrazia e brevemente risponde, poi paga per entrambi 😉

    

Eccoci a noi: come ti senti in questo inizio di estate del 2019? Come ti descriveresti in poche righe?

Come mi sento? Ritemprato, entusiasta dell’aria amabile/frizzante (sic!) di questo Luglio inoltrato. Sono un poeta commestibile, digeribile, il poeta di tutti. Sono stato e rimango in posizione antagonista rispetto alla negatività: malesseri, veleni e dolore montaliano da esorcizzare peggio di malebolge con massicce dosi di quell’intima capacità di letizia giocosa ironica autoironica e paradossale che non risarcisce e non salva nessuno, ma permette di resistere alla miseria dei tempi.

     

Sappiamo che é nato un volume che raccoglie tutte le tue poesie: “Si fa per dire”, Marco Saya editore, 2018.  Che sensazioni, emozioni e pensieri ti suscita poterlo sfogliare e presentare? 

È buffa la cosa, perché mi chiedo come ho fatto a scrivere tanto, considerata la selezione operata escludendo un altro centinaio di testi degli anni ’60/’70, che pure mi sono cari e che non rinnego perché con loro ho imparato a scrivere. Presentare quest’opera omnia è un fatto cardiaco che non avevo mai conosciuto prima. Mi ha fatto sentire – emotivamente – un esordiente; un’esperienza che mi ha arricchito.

    

Vuoi dirci qualcosa di più della tua biografia reale e/o immaginaria? Dei ruoli vissuti o sognati? Quali rinunce o “porte in faccia” ti sono pesate maggiormente? Su quali invece sei riuscito a passare in modo piu’ fluido o stoico?

La mia biografia è stata segnata da trentacinque anni di lavoro in banca che mi ha tolto tanto tempo per la scrittura. Scrivevo di nascosto in bagno, ma sono stato notato uscirne con blok notes e matita e denunciato all’ufficio del Personale. Ho minimizzato e sono stato assolto; faccenda tragicomica che ha segnato la mia “professionalità”. Se Dio vuole nessuna porta in faccia in ambito letterario. I miei trentasei lettori/critici non si sono mai tirati indietro. Non mi è mai mancato il morale e la voglia di vivere e scrivere nonostante tutto.

     

Molti sottolineano la cifra umoristica del tuo stile. Appartiene anche al tuo carattere, immagino.  Quanta ironia c’è effettivamente nel tuo quotidiano?

La mia produzione è molto variegata: parte da una cifra lirico/epigrammatica e via via perviene all’oralità, al linguaggio del quotidiano, privilegiando il significato e puntando ad una comunicazione quanto più diretta possibile. Sì, l’ironia, la presa in giro (spesso demistificante) mi appartiene da quando ne ero bersaglio da ragazzino. La zia paterna ultraottantenne non me la risparmiava. Oggi la rivolgo alla seriosità, alle convenzioni, alle istituzioni inamidate e alla commedia umana codificata dalla prassi del consenso e del consumo.

        

La tua pagina facebook è un susseguirsi di testi poetici che immagino tu vada ricopiando-ci da libri della tua biblioteca. Molti la seguono proprio per l’alta qualità dei testi e per la tipologia di autori di cui proponi la lettura…Vorrei che ci svelassi i motivi che stanno dietro a queste tue scelte “social” 😉

I “dimenticati” di grande valore, i cosìdetti minoridella poesia italiana non se li fila quasi più nessuno. Gli “ultimi” meritano invece il massimo rispetto, la massima considerazione, e andrebbero quantomeno – se non studiati – riproposti. Io nel mio piccolo lo faccio con grande entusiasmo e gioia, perché si tratta di tributare giustizia – mai vana, mai effimera – a chi se la merita ampiamente.

     

Cosa diresti a un giovane bravo poeta? E a uno mediocre?   

Un giovane bravo poeta mi sentirei di invitarlo a gestire al meglio il proprio ego e le ricadute di esso sulla scrittura; lo inviterei a stare in guardia rispetto al solipsismo, per non vederlo rinchiuso in una cifra monologante anche se linguisticamente pregevole. Gli consiglierei di occuparsi anche dell’Altro, del Mondo, senza trascurare le commendevoli istanze della poesia civile.
Ad un poeta mediocre (ma chi sono io per stabilirlo?!) direi quali sono le mie riserve sul suo lavoro; che sicuramente sarà mosso dalle migliori intenzioni, ma magari non sorretto da un linguaggio adeguato. Insisterei sul linguaggio e su tutto l’armamentario retorico a disposizione per “muoverlo” e farne una cosa viva. Lo inviterei soprattutto a leggere i poeti, passati e contemporanei; a capitalizzare ciò che di prezioso la sua sensibilità percepisce; quel poco o tanto che fa crescere e durare come persona e come persona che scrive poesia. 

     

Grazie Leopoldo! Ora scegli un testo da condividere in questo spazio, poi ne riproporrò uno anche io.

     

A MIO FIGLIO 

Di tutto ciò ch’oggi mi dici 
Adriano,
rimarrà un picco d’allegria 
e a sfamo, dal gesto lungo della corsa,
l’onda d’oro d’una didascalia di suoni 
fra le mie braccia confusi;
quasi un groppo in gola 

Rimarrà, di rondine che torna
il caldo del tuo viso
il suo roseo abbandono 
e la rincorsa del mio piccolo mondo
dentro al tuo, che lo chiama e lo storna,
quasi a cercarvi messi alle parole 
in cadenza di fuga o di accordo 
abbaglianti di note; ininterrotto azzurro  

       

Davvero dolce e forte questa poesia: un abbraccio tra padre e figlio, tra azzurro e oro, tra fresca allegria e tiepido abbandono. Sintatticamente raffinata, aggettivi distanziati dai sostantivi, come a voler imprimere il senso del ricordo, tra immagini a sbalzo sulla superficie della memoria e archivio di suoni amati seguiti dalle espirazioni del tempo: l’autore rivive se stesso nell’attimo eterno della paternità.

Un altro tipo di scintilla e di serenità (e ancora dell’oro!) è quella di cui Attolico fa cenno qui, in questo testo dal titolo “musicale”. Lui che al lavoro bonariamente rimprovera di avergli sottratto tempo per la scrittura, definisce le parole una sorta di folla attirata da un qualche evento, folla curiosa che non lo distrarrà dal “pianissimo andante del vento”, il vero dono, il presente.

     

Toccata e fuga

Nella pietra serena scaldata dal sole,
nel pianissimo andante del vento
a capofitto le mie parole.

Basta una fredda scintilla alla memoria,
che come ape infreddolita si posa per terra,
per riscaldarsi tutta.

Ma l’ape beve la sua pace e non si pente.
Le parole sono solo una folla curiosa e satolla,
toccata e fuga nell’oro del presente.