Omaggio ad Andrea Zanzotto a cento anni dalla sua nascita, a dieci dalla morte, attraverso i suoi versi. “Il logorante continuo confronto con un inizio”. Una selezione a cura di Silvia Secco. 2

 

Secondo giorno, Lunedì 11 ottobre

 

Fra il 2000 e il 2001 viene pubblicato da Edizioni Biblioteca dell’Immagine e Vesna Film il progetto “Ritratti, Andrea Zanzotto” a cura di Carlo Mazzacurati e Marco Paolini. Il progetto prevede, appunto un film-documentario nel quale Andrea Zanzotto si racconta e racconta la propria poetica all’interno del proprio paesaggire, della propria casa, proposto assieme ad un “libretto” in cui è trascritto il parlato ed il dialogo fra il poeta e Marco Paolini, introdotto da una presentazione di Marco Lodoli. Se la memoria non mi dà un’immagine sbagliata (lo tengo fra le cose care, fra i libri di Zanzotto nella mia libreria, purtroppo in videocassetta), il film prevede una ripresa piuttosto lunga, e che forse viene ripetuta più volte, di questo paesaggio a nord-est anche mio: ex campagna, ex natura, ex borgo. Una zona residenziale qualunque in orario lavorativo – perciò deserta -, una busta di plastica del supermercato, gettata oppure dimenticata, che il vento porta a correre sulla strada.

Scrive Marco Lodoli: “La missione del poeta – confida Zanzotto – è restaurare il vuoto che c’è nel mondo attraverso la trama dei versi, è opporsi alla negazione iniziale, ed è per questo che i versi vengono a somigliare a brani feriti d’un paesaggio, bocconi tolti dalla bocca per saziare una fame più grande, una dolorosa debolezza.” … “Il nostro paesaggio è quello anonimo e muto che ad un certo punto Mazzacurati ci mostra nel video: supermercati, strade senza anima, rifiuti, grigiori, finte abbondanze che sono reali scarsità. Qui nella plastica e nel cemento può parlare solo l’avanguardia, così poco amata da Zanzotto. nella desertificazione del senso, l’uomo di cultura si fa superbo, pretende di dare i nomi alle cose, di mettere insegne, e poi di stravolgere tutto, così, per scherzo, come a dimostrare la sua superiorità. Chi ha distrutto il paesaggio, distrugge la lingua, e non è una colpa minore. Per Zanzotto, invece, la poesia è una mendicante che nei suoi piccoli viaggi cerca di “raspar su”, di raccogliere quello che può: perché a briciole, a pietruzze, è sparso nel mondo il cammino che forse ci porterà a superare le nostre faglie”.

 

Da La beltà, 1968, Al mondo

Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa’ che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non meno che ogni esclusione;
su bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso in me stesso.

Io pensavo che il mondo così concepito
con questo super-cadere super-morire

il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
e non tu, bello, non tu «santo» e «santificato»
un po’ più in là, da lato, da lato.

Fa’ di (ex-de-ob etc.)-sistere
e oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
fa’ buonamente un po’;
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su.

          Su, Münchhausen.