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La cura poetica è un modus operandi che pone l’auto-guarigione al centro della parola. Parola che crea mondi e li coltiva, li cura in un continuum sensoriale introverso che del mondo stesso, dal segno, rivela il significato ma al contempo lo protegge.

Per Vasilica Ciotau, nata nel 1977 a Braila, in Romania, e cresciuta in un ambiente rurale nel paese natale della madre, la parola poetica sorge dalla casa delle origini come erba magica dai poteri medicamentosi e cresce irriverente, nonostante le scosse telluriche nelle viscere della terra e nel corpo desiderante. La forte impronta religiosa dell’ambiente contadino cela il lato oscuro dello spirito sotto i banchi delle preghiere, tra le pagine dei breviari. Come scrive l’autrice: «Le cose della vita, non comprese, venivano attribuite a Dio o al Demonio.» Ma la Poesia non ha estremi inchiodati a una croce, non ha confini rigidi dentro i quali una bambina possa sentirsi a proprio agio. Richiede, il verso, un discorso armonico tra gli elementi che dinamizzano l’esistenza e brama l’ignoto futuro con occhi di daimon.

Vasilica Ciotau «sin dall’adolescenza usa i diari come unici amici, come confessori. Quaderno e penna le permettono di scrivere i mille perché senza risposta. Osservazioni, perplessità e riflessioni» originali, intime, nate dal dubbio generativo della psiche nel processo della crescita. La scrittura autobiografica dona una culla sicura alla neonata anima ed edifica la fucina delle emozioni apolidi, per dare spazio alla libido che sospinge, al soffio evolutivo che incita ogni individuo al viaggio oltre la soglia di casa. 

Ciotau scrive in Italiano e in Italia abita un presente che osserva il domani sotto forma di nuove pagine da stilare. I versi, scoperti più di recente come fioriture spontanee emerse dai diari, sono farmaci dell’anima inquieta. «Poi dopo tanto errare / Finalmente ho imparato / Cosa ho fatto?».

«Se ai movimenti migratori che attraversano il globo in lungo e in largo sono d’inciampo inusitati blocchi, ostacoli, barriere, e limiti sempre più ardui da superare, le donne dal canto loro si trovano ancora coinvolte in una lotta a più livelli per uscire da una condizione di subalternità, che le confina ai margini della storia, negli angoli periferici del potere, all’ombra delle disparità strutturali che ne segnano le sorti.» (Silvia Rosa in Confine donna – Poesie e storie di emigrazione, Vita Activa Nuova APS, 2022).

Come ben espresso da Silvia Rosa, curatrice del volume citato (l’illustrazione di questo articolo fa parte del progetto) all’interno del quale trovano voce le esperienze culturali e migratorie di ventuno poete, attraverso narrazioni autobiografiche e strofe nutrite di vento, di sogni, di mostri e di lingue madri che travalicano oppure ancora sostano sul filo rosso dei confini.

Nella lotta delle donne migranti la parola poetica si pone come mezzo immaginativo, diremmo come il Carro dei Tarocchi tra ieri e domani, come lo spirito Verbo di trasporto che muove l’anima oltre il limite, seguendo, citando ancora Rosa, la «necessità di costruire ponti che a ogni latitudine ci mettano sempre più in relazione, sotto l’egida condivisa dei rapporti umani fondamentali, e ci consentano di disabitare il solco delle discriminazioni, delle divisioni e delle contrapposizioni.» 

Nell’esperienza dell’autrice Vasilica Ciotau, attraverso i versi inediti qui pubblicati, il confine assume il ruolo di protezione dal passato e al contempo di varco per il recupero delle radici, del senso di appartenenza sororale, del tempo necessario alla cura del giardino segreto. 

*

«Il buio è una parola che serve al cervello ad identificare/etichettare qualcosa che non esiste. 

Il buio è assenza di luce.

Buio, nero, scuro, ecc. parole che vengono associate a qualcosa di brutto, a qualcosa che fa paura.

E se fosse il contrario?»

[…]

Con questa domanda lasciamo in sospeso la risposta e seguiamo la traccia incisa:

LA LUCE LONTANA

Il buio così morbido e accogliente

per nove mesi nel grembo materno

mi tenne compagnia

lasciandomi fluttuare

in grande armonia.

A volte scosse elettriche

messaggere di cose tragiche

attraversavano di corsa il liquido amniotico

lasciandosi dietro eco di lacrime

di urla, di suppliche

di carni livide.

Un brivido scuoteva le mie cellule

e il buio placido sembrava divenire

un desiderio ipnotico…

A volte in lontananza intravedevo

una luce tenue, leggermente tremula.

La luce tenue dovrei benedire

in mondi migliori, segnala la via

del mio avvenire…

«Oh, luce lontana

i rumori là fuori

mi fanno paura…

Posso rimanere qua al buio

nella calda tana?»

La luce tremula silente aspetta.

Nove mesi di pacchia passati.

Guardo la luce e con il broncio nel petto

le grido: «Va bene… Arrivo!»

*

SPECCHIO DELLE MIE DAME

Da bambina ascolti e taci

i tuoi sogni diventano stracci 

non devi cantare, ballare, esultare

sull’altare ti possono bruciare.

Appena nasci ti cuciono addosso 

un vestito comprato all’ingrosso.

Specchio, specchio delle mie brame 

chi è la più bella del reame?

Sono donna elastica, piena di plastica 

bocca e seno di silicone 

mi garantiscono il milione.

Da piccola la mamma mi disse:

“Fanciulla, non si vive d’amore.

La povertà è la fame non tiene col core.”

Così disse a lei la mamma

e la mamma della sua mamma

alla mamma…

Chi sa se Eva quando tese la mela ad Adamo 

Aveva già in mente di far nascere il danno?

*

Ho aspettato una vita

l’amore dei miei genitori.

Non me lo hanno dato 

perché neanche loro 

l’hanno mai provato.

Neanche per se stessi. 

Li vuoi giudicare?

Allora non sai il senso 

della parola errare.

Errare uguale sbagliare:

passi la vita a vagare 

e se non hai nessuno

che ti mostri la via

finisci a punirti 

con la tua stessa follia. 

Tu, genitore 

ti sei già torturato (condannato)

Ed io cosa ho fatto?

Ti ho insultato, accusato,

ho urlato, imprecato…

Ti ho ricattato.

Poi son caduto in ginocchio 

e ho pregato.

Ho pregato gli Dei dei folli,

dei pazzi, degli eretici,

dei frenetici, bisbetici…

Stanco, mi sono disteso

con pazienza ho atteso. 

Ho perdonato 

ho perdonato TE, ME, TUTTI 

IL MONDO, LA VITA.

Poi, dopo tanto errare

finalmente ho imparato. 

Cosa ho fatto?

Ho donato:

ho donato silenzi e baci

pazienza e abbracci

compassione, amore e fiori 

VITA

A TE, A ME, A TUTTI.

*