Tra le terre di Sandro Pecchiari | I mille anni di Ero e Leandro – da Museo Grammatico a Christopher Marlowe
Voi sapete quanto mi piaccia collegare non solo testi, ma anche edifici, che si richiamano e rispecchiano nel tempo. Ad esempio uno dei miei posti preferiti a Istanbul è il parco tra Santa Sofia e la Moschea Blu, dove si ‘attraversano‘ mille anni in poche centinaia di metri. O la discesa nel tempo che si può sperimentare a San Clemente al Laterano o a Sant’Agnese fuori le Mura sulla Nomentana a Roma. E i collegamenti, le somiglianze, le interpolazioni e le differenze nel corso del tempo sono a portata di mano.
Anche attraversare fiumi o braccia di mare sembra non passare mai di moda, dall’antichità ai tempi nostri. Più di qualche personaggio illustre, di cultura o politico di turno, si è cimentato in questa impresa che a volte viene svolta nel pudore di un’esperienza personale, come nel film di Ferzan Özpetek, Istanbul kırmızısı, Rosso Istanbul del 2017, a volte per attirare folle di plaudenti (vi ricordate di Mao Dze Dong che attraversa il Fiume Giallo?). E millenni fa Leandro già si affannava a raggiungere Ero attraversando a nuoto l’Ellesponto. Imitato da Lord Byron all’inizio del diciannovesimo secolo. Nihil sub sole novi.
Il mito è stato ripreso più e più volte, altrimenti non sarebbe mito, perché attiva un corto circuito, pone una problematica che trascende sempre le soluzioni. E rimane sempre vero, valido, scomodo e irrisolvibile attraverso i millenni.
L’intensa storia proibita di Ero e Leandro è citata nelle Heroides di Ovidio, scritte tra il 20 a.C. e il 2 a.C, epistole immaginarie tra coppie illustri dell’antichità, ma non tutte scritte da eroine della mitologia greca, in quanto includono tre lettere scritte in risposta alle eroine dai propri uomini (Paride, Leandro e Aconzio). Giusto per citarne qualcuna: Penelope-Ulisse, Briseide-Achille, Didone-Enea, Deianira a Ercole, Medea-Giasone, Paride-Elena e ovviamente Ero-Leandro.
La storia dei due giovani viene poi ripresa da Museo Grammatico del quale abbiamo purtroppo ben poche notizie, autore databile alla seconda metà del V secolo o all’inizio del secolo successivo, solo grazie alle sue influenze linguistiche nella temperie culturale dell’area tra Alessandria e la Siria.
È questo un secolo in cui la frattura tra il mondo antico e la nuova cultura si va inasprendo. L’impero romano ormai si spezza come descrive il poeta e præfectus Claudio Rutilio Namaziano ne Il Ritorno (De reditu suo), dove si testimonia che il popolo romano è profondamente provato dagli influssi migratori del nord Europa, specialmente i Goti, che stanno premendo su Roma in un clima molto vicino a una catastrofe imminente, mentre le piazze e gli edifici pubblici non sono più sicuri e le strade, che erano state per secoli il sistema nervoso dell’Impero, sono quasi inagibili.
Rutilio Namaziano è, cronologicamente, l’ultimo autore del mondo letterario latino pagano nell’impero d’Occidente, un aristocratico che non accetta i tempi nuovi, in quanto rifiuta i culti cristiani, da lui considerati estranei alla tradizione di Roma. Invece nell’impero d’Oriente si vive un secolo di passaggio ancora quasi pacifico fino all’editto catastrofico di Giustiniano del sesto secolo in cui i pagani sono interdetti da ogni carica pubblica. Però dal quarto al sesto secolo il concetto che il mondo pagano fosse stato propedeutico alla scienza che viene da Dio fa considerare gli scritti degli antichi come esempio di moralità dalla quale bisogna trarre profitto. Posizione fragile mantenuta con difficoltà tranne in alcune aree fortunate come ad Antiochia in Siria e ad Alessandria d’Egitto con le figure di Ipazia e del suo allievo Sinesio di Cirene. E anche nella scuola di Gaza e nell’Atene del V secolo. In questo clima culturale nascono ancora opere interessanti, tra le quali Ero e Leandro di Museo Grammatico.
Ero e Leandro
Il poemetto (per essere precisi un epillio: breve componimento a carattere epico, scritto per lo più in esametri, che si diffonde in età alessandrina, quando si prediligono forme poetiche brevi e concentrate) di 343 esametri, narra di un amore che è l’archetipo di un amore che si autofortifica nell’impossibilità: sempre e comunque si trasgredisce per amore. I due protagonisti sono la giovane Ero di Sesto e Leandro, che abita dall’altro lato dell’Ellesponto, ad Abido, località che oggi sono Nara Burnu sul lato asiatico e, a meno di un miglio marino, Çanakkale Boǧazı.
Leandro si innamora follemente di Ero, vista durante una festa. Ero, sacerdotessa di Afrodite, dopo alcune resistenze, cede all’amore per il ragazzo. Decidono di sposarsi in segreto, poiché la giovane è votata alla castità ed è costretta a vivere in una torre prospiciente il mare per volere dei genitori.
Così la notte Leandro attraversa a nuoto lo stretto tra Sesto e Abido, guidato dalla lanterna che Ero posa sulla finestra della torre. Una notte, però, durante una tempesta, la fiaccola si spegne e Leandro, persa la direzione, annega. All’alba il suo cadavere viene sbattuto dalle onde fin sotto la torre ed Ero disperata si getta dalla torre, morendo accanto al suo sposo.
Il poemetto ebbe molta fortuna in epoca moderna proprio per il fascino della leggenda di amore e morte e l’apparente semplicità dello stile, ispirato alla novellistica ellenistica ed al romanzo d’amore: fu una delle prime opere stampate da Aldo Manuzio e fu tradotto in italiano da Bernardo Tasso (padre di Torquato Tasso).
Mille anni più tardi Christopher Marlowe, nella fulgida età elisabettiana, riprende la storia dei due amanti.
Su Marlowe, controverso, dissoluto, irruento, spesso coinvolto in risse di ogni tipo, in una delle quali trova la morte a soli 29 anni, pesavano feroci accuse di militanza nei servizi segreti britannici, di libertinaggio ed omosessualità. Per questo la vicenda della sua morte, avvenuta il 30 maggio 1593 in una locanda di Deptford, venne liquidata frettolosamente. La sua dissolutezza e l’alone di mistero che lo circondavano, lo resero un mito per i romantici, per alcuni era un poeta maledetto e per altri un magnifico cantore delle passioni umane: genio e sregolatezza.
Marlowe è stato ovviamente influenzato dalle Heroides e dalle Metamorfosi di Ovidio, però predilige Museo Grammatico che definisce poeta divino e Ero e Leandro la più bella storia d’amore di tutti i tempi. Da qui la sua riscrittura e ampliamento del poemetto nel 1592 e pubblicato nel 1598 con la continuazione di George Chapman, proprio a causa della morte violenta del poeta.
Dalla forza del Nettuno divise / Sorgevano due città in vista / Sulle rive opposte dell’Ellesponto / Macchiate del sangue del vero amore.
Ma l’incontro leggendario di Ero e Leandro è contrastato non solo dal mare che li divide, dal vincolo che lega Ero, sacerdotessa di Venere, al voto di castità e dalla loro condizione sociale diversa: lei può vantare un casato illustre mentre lui è un giovane del volgo. Ed Ero teme che non siano solo le tempeste a trattenere il suo amato lontano da lei, ma altre donne più facilmente raggiungibili (come si apprende dalla lettera di Ovidio).
Per sottolineare il desiderio erotico trasgressivo, acceso tra due giovani bellissimi, Marlowe non ha esitato a trascurare la fine tragica di questa famosa leggenda. Gli amanti di Marlowe si misurano con ogni legge umana o divina, con ogni convenzione, dando alla sua poesia un colore trasgressivo, unito al potere evocativo delle parole. Vi è, inoltre, la sfolgorante rappresentazione simbolica dei vertici della bellezza e del pieno godimento dei sensi che si misurano con gli abissi del dolore di Ero.
Nel poemetto è comunque presente una forte ambiguità sessuale in quanto Leandro è descritto con la terminologia usata per una donna, artificio usato spesso anche da Shakespeare per il personaggio di Romeo. La sua bellezza è assoluta tanto da comprendere anche quella femminile, una caratteristica di origine platonica. L’amore di questo poema è pagano, un desiderio non cristiano, e pagani sono anche i suoi personaggi.
L’ambiguità sessuale di Leandro confonde Nettuno che lo corteggia confondendolo con Ganimede, coppiere e amante di Giove, mentre nuota nell’Ellesponto. Qui si mescolano sensualità e comicità: Leandro è un giovane i cui looks were all that men desire (il suo sembiante era tutto ciò che gli uomini agognano) e fa eccitare Nettuno che lo abbraccia e palpeggia: the lusty god embrac’d him, call’d him love (il dio lascivo lo abbracciava, lo chiamava amore). He watched his arms and, as they opened wide at every stroke, betwixt them would he slide and steal a kiss (gli guardava le braccia e, mentre s’aprivano ampie, ad ogni colpo, frammezzo a esse scivolava e rubava un bacio). And dive into the water, and there pry upon his breast, his thighs, and every limb, … and talk of love, (e si gettava a capofitto e spiava il suo torace e le cosce e ogni suo altro membro,…e gli parlava d’amore), mentre il giovane si schermisce e debolmente protesta: You are deceiv’d, I am no woman, I. (Tu t’inganni, io non sono donna, io). Un po’ offeso, un po’ arrabbiato e un po’ deluso, Nettuno tuttavia lo aiuta a raggiungere la sponda opposta per congiungersi con una Ero ritrosa, in uno dei più trionfanti e voluttuosi abbracci della poesia elisabettiana.
Mentre Grammatico descrive la tragica morte di Leandro nel tentativo di raggiungere Ero, la storia di Marlowe finisce con il felice amplesso tra i due amanti,
Marlowe contesta perciò tutti i canoni della sua società in materia di sessualità, di morale e d’etica. Qui l’amore viene inteso come innamoramento istantaneo ed è rappresentato dalla figura mitologica di Cupido: innamoramento perciò involontario e istantaneo, un dardo scoccato dall’arco che non tiene conto delle differenze o delle divisioni sociali:
(…) vi potrei dire come /era morbido il suo petto e il ventre /bianco; e quali dita immortali /impressero il sentiero divino/ che percorreva il suo dorso/ numerose lasciando impronte/ d’Amore; ma la penna rude a stento /può esaltare amori umani /e molto meno quello degli Dei /possenti (…)
e più oltre
(…) gli si appressò un poco. /Bruscamente lui sorse, arrossì lei, /come una che si vergogna; e ciò/ ancor di più infocò Leandro. /La mano le sfiorò; al tocco lei /fremette; amore che sale dal profondo/ a stento si occulta. Si parlarono/ quegli amanti esprimendosi col tocco /delle mani: muto è il vero amore /e spesso sgomenta. In segni silenti /s’impigliarono, vinti, i loro cuori, /e l’aria risplendette per scintille/ di fuoco vivo; e la Notte immersa /negli abissi dell’Acheronte esalante/ vapori, il capo sollevò e la terra/ a metà avvolse nella tenebra /(L’oscura notte è il giorno di Cupido)
Così termina il poemetto, con la morte appena accennata e sfumata, la sorte dei due amanti sembra essere più il tripudio dei sensi appagati che non la celebrazione di una tragedia annunciata.
Sia stata scelta ponderata a non procedere oltre o sia stata la morte prematura e inaspettata di Marlowe, la conclusione non poteva che essere vincente.
La scelta di mettere alla fine delle prime edizioni la frase di chiusura Desunt Nonnulla a significare che mancava un pezzo, cioè l’infelice conclusione della storia, mi ha stuzzicato a intitolare il mio ultimo libro di poesie Desunt Nonnulla (piccole omissioni) con la casa editrice Arcipelago Itaca con una atmosfera ironica e autoironica a significare che comunque la vita non è finita, forse era finita sicuramente una parte della vita, ma c’è spazio ancora per decidere se aggiungerne altra, raccontarla o lasciar perdere del tutto.
Ma questo “lo scopriremo solo vivendo”.
05/04/2021 alle 12:11
Un articolo godibile e molto apprezzato anche per l’attenzione rivolta a Marlowe, autore amatissimo in epoca elisabettiana, che meriterebbe di essere riscoperto dal pubblico e dagli studenti ( a scuola raramente viene studiato). Così come andrebbe rivalutata la sua influenza su Shakespeare, da te giustamente sottolineata in riferimento a Romeo e Giulietta (e che si può estendere al Mercante di Venezia di Shakespeare, date le affinità con l’Ebreo di Malta di Marlowe). Grazie Sandro!