SPAZIO | I LIBRI DI POESIA CHE CONSIGLIO:
“Miracoli del giorno” di Paolo Polvani (Macabor edizioni, 2023)

     

Paolo Polvani è un maestro di poesia, un ardito pilota del verso, un ginnasta della parola, una Bausch della metrica; Polvani fa volare la penna in acrobazie sulla carta degne del Cirque du soleil, usa l’enjambement e le rime interne con spregiudicatezza, inventa metafore a volte canzonatorie, a volte dolci, a volte sferzanti ma sempre residenti nella terra dell’originalità; poi cita senza pietà luoghi e personaggi non puramente casuali, parla della vita e dei vivi, ma anche della morte e dei morenti, dei morti, dei santi e degli oggetti. Tutto fa poesia per Polvani: la musica, i camion, la corriera, le bolognesi (informo il lettore che io non sono cresciuta alla Bolognina e non bevo thè e che i versi del libro non hanno nulla a che fare con me), i miracoli e le melagrane.

 

La Bolognina

 

Qui mi servi il racconto

di un’infanzia alla Bolognina

nella luce del tramonto che declina.

Mi conduci per mano

in quell’intricato labirinto

che per comodità chiamiamo cuore, mi mostri

la tua antica casa, gli amori

di bambina, stagioni di ferite

che hanno braccato gli anni. Intanto

il mondo seguita ad andare, macina

chilometri e noi ritroviamo

il gusto della cura, dell’attenzione, dell’amare,

ci prendiamo una tregua, finalmente una sosta

dopo tanto insensato, stupido arrancare.

 

La freschissima uscita di questo nuovo libro “Miracoli del giorno” con le edizioni Macabor – collana I gelsi, per quanto mi riguarda, per stima e per amicizia, ma soprattutto per piacere di lettura, non può che essere una festa.
Trovo tra le pagine alcune poesie riproposte da altri libri precedenti, alcuni inediti che già avevo letto in bozza, ora cesellati e perfezionati, e alcuni pezzi completamente nuovi… il tutto, senza apparente filo conduttore, mi porta in realtà molto vicina a osservare il sottile confine tra il qui e l’oltre.

Il titolo del libro proviene dalla prima sezione in cui vengono raccontati commoventi miracoli moderni di santi i cui nomi sono ricordati solo negli almanacchi. Non è la fede a far scaturire questi versi, lunghi e lunghissimi in un’estetica prosastica della pagina, non si tratta di poesia mistica: le entità che escono dall’Olimpo molto terreno della religiosità popolare interagiscono con il muratore, con il migrante, con il suicida… interagiscono con la realtà, si prestano a metterla in scena con un lieto fine. E questo è il primo passaggio sul sottile confine di cui dicevo sopra.

 

Sant’Eupremio salva muratore precipitato dalle impalcature

 

Certi voli sono uno sperpero di gesti, d’inconsulto

aggrapparsi, come se potesse salvarti un frammento dell’infanzia,

o i cerchi concentrici che apre il tuffo di un ricordo. Precipitare

dalle impalcature è una faccenda di karma, è la legge

della gravitazione universale, e in basso, in attesa del tonfo, una colonia

di gatti si contende il primato sui bidoni dei rifiuti.

In alto, nell’azzurro profondo, s’insinua con morbida destrezza

la leggerezza di una nuvola, il disinteresse metallico della gru.

L’aveva cucito sulla pelle il nome, custodito nella tasca

posteriore dei pantaloni. Non è dato sapere se ne indossasse

uno di tipo vetero proletario, per esempio Gaetano,

oppure conforme all’era nuova, Ahmed,

o Kevin. Il mondo pervicacemente s’aggrappa a una totale

inconsapevolezza. Prestabilito è il contorno

di raccapriccio e di grida. Si nascondeva nel vento il santo,

veniva dall’aria col suo cappello dal sapore di foresta.

Quel santo chiamato Eupremio aveva nel cuore i muratori,

avvezzo alle impalcature e alle vertigini. Gli basta una sola mano

e il muratore rimane immobile nell’aria. Adesso tutto è pronto

per infilarsi in qualche indigesta agiografia. Anche i giornali

riscaldano il clamore dei titoli sul santo sconosciuto, perduto

in un medioevo di polvere, con l’anacronismo del nome, con la sparizione

subitanea, eccesso di timidezza, fulminea come uno starnuto.

 

La seconda sezione “Quanto sole ci vuole” prende il titolo dal primo componimento qui inserito e fa percorrere un viaggio umano e filosofico, sempre in piacevolezza, tra il hic et nunc dell’attimo vissuto e un Iperuranio di domande e possibilità per l’altrove.

 

Egemonia dell’acqua

 

Qui vige l’egemonia dell’acqua

dentro un silenzio che incespica

nell’intermittenza dello sciabordio.

 

Lo sguardo manifesta la sua ambizione anfibia,

realizza il miracolo del viaggio

fino all’orizzonte estremo dove la riga azzurra

e il cielo si danno baci sulla bocca.

 

Che si smarrisca quello sguardo,

che allunghi il passo fino al confine

dei cirri, s’aggrappi ai nembi,

infine cada a precipizio

lungo quel vuoto, dentro l’enigma,

inventario infinito di domande.

 

Massimiliano Damaggio nella sua prefazione parla a lungo di quanto la lingua e il modo di fare poesia, le suggestioni di Polvani debbano alla sua pugliesità, pur in assenza di utilizzo del dialetto. E in effetti non si può che concordare con questa acuta osservazione di fronte a versi come:

 

Un inventario della luce

 

Com’è limpido il cielo e come sgorga.

 

Sono qui per fare un inventario della luce,

per dare alle pupille le case disseminate

nel paesaggio dell’alba priva di vento.

 

Sono qui per mietere a piene mani.

 

Isabella Bignozzi, invece, nella postfazione, osserva che Polvani “In tutto si lascia disciogliere cercandosi, e ritrovando l’unità molteplice, e il moto stabile: il pacato vibrare delle anime accoglienti e interminate, piene di pace.” Mi piace molto il disciogliersi del poeta nell’universo e credo che emblematici di questo siano i versi:

 

Il volo della rondine

 

Se Dio avesse una voce sarebbe quella

del volo della rondine, la stessa eleganza di certe improvvise

giravolte, quel distacco, quella suprema indifferenza,

le stesse cortissime zampe, la precisione ellittica con cui

porta il disordine dentro l’esatta matematica del cielo, turgori

e mancamenti, ostinazioni e abbandoni repentini, è così

che Dio si esprime, e il volo della rondine è la sua stessa voce,

leggera e assente, visione del caos e di una fame che s’indovina

dietro quel nero di fulmine, quelle ali che parlano

di una sublime geometria, della rapace leggerezza con cui disegna

il mondo, l’algoritmo segreto di quando plana, e sì, Dio

ha la voce del volo della rondine, quella rondine estrema che di aprile fa

un capolavoro di passione e di ardimento, un veloce assalto

dal cuore profondo della vita, quella voce con cui ci raccoglie

e ci conduce in alto, nelle braccia di un enigmatico abbandono.

 

Ma non voglio anticipare troppo, quindi chiudo qui la mia nota di lettura, naturalmente invitandovi a procurarvi il libro e a leggerlo.

 

 


Paolo Polvani è nato nel 1951 a Barletta, dove vive.
Ha pubblicato i seguenti libri di poesia: Nuvole balene, Antico mercato saraceno, Treviso 1998; La via del pane, Oceano, Sanremo 1999; Alfabeto delle pietre, La fenice, Senigallia, 1999; Trasporti urbani, Altrimedia, Matera 2006; Compagni di viaggio, Fonema, Perugia 2009; Gli anni delle donne, e-book, edizioni del Calatino, 2012; Un inventario della luce, Helicon 2013; Cucine abitabili, Mreditori, 2014; Una fame chiara, Terra d’ulivi, 2014; Il crollo di via Canosa, e-book La Recherche; Il mondo come un clamoroso errore, Pietre vive editore, 2017; L’azzurro che bussa alle finestre, KDP – collana Versante Ripido, 2018.
È presente in molte antologie e numerose riviste. È tra i fondatori e redattori della rivista on line «Versante ripido».