Spazio di Claudia Zironi | La poesia performativa?

 

Sabato 29 Ottobre 2022 ero invitata a un convegno a Tortona organizzato da Bipa (Biennale di poesia tra le arti) sul tema “Poesia oggi” in cui, nella mattinata, a relatori su vari argomenti si alternavano poeti portatori di propri testi e veniva poi dato al pubblico modo di dibattere. Il pomeriggio era invece dedicato alle testimonianze e letture di tre noti poeti del panorama italiano contemporaneo: Maurizio Cucchi, Giancarlo Pontiggia e Luigi Oldani.

Le ferrovie italiane, tra Frecciarossa in ritardo, perdita di coincidenze, intere ore non coperte da treni per la mia destinazione, e, di contro, la grande disponibilità degli organizzatori che mi hanno recuperato a Pavia in questo “viaggio della speranza” Bologna-Tortona, mi hanno consentito di seguire l’incontro solo a partire dalle 11:30 circa della mattina, anziché dalle 10:00, perdendo purtroppo interessanti interventi ma non quello di Dome Bulfaro sulla poesia performativa, al quale è seguito un vivace dibattito. Bulfaro, fondatore della LIPS, Lega Italiana Poetry Slam, ha esposto le proprie idee su cosa sia la poesia performativa portando anche un esempio pratico di performatività applicato a un logo riportante il nome di uno sponsor della giornata, cosa che di per sé non aveva valore nella parola ma lo aveva solo in quanto gesto o rappresentazione. Ogni poeta che ha portato le proprie opere a seguito del suo intervento: Daniele Barbieri, Claudio Pozzani e la sottoscritta (in preda ancora alla forte ansia scatenata dai disguidi delle ore precedenti) ha “performato” i propri testi: Barbieri, con la sola lettura espressiva, sostenuto da versificazione e installazione su carta già pensate e favorenti questo scopo; Pozzani, con un forte senso della melodia e del ritmo e sostenuto da potenza di voce, con effetti vocali notevoli; io basandomi su una misurata gestualità e intonazione teatrale.

Dome Bulfaro

Bulfaro ha cercato di chiarire la differenza tra Poetry slam e performance e cosa la performance può aggiungere alla poesia, anche evidenziando che ci sono testi che più di altri si prestano a questa operazione, che ci sono tra gli autori, anche tra quelli che meglio propongono i loro scritti, i “performer” e i semplici “lettori” o “lettori espressivi” e che la performance può avvenire in varie forme.

Ora vorrei fare qualche mia riflessione su questo argomento.

La poesia si è sempre, per origine, prestata all’oralità e, in quanto arte, alla contaminazione e all’installazione. La poesia è la madre della canzone e della rappresentazione teatrale. La poesia è l’architettura stessa dell’arte. Non si può pensare a nessuna forma di arte senza pensare in modo poetico, ovvero altro da una banale rappresentazione del mondo. La poesia è di per sé stessa e per propria natura una performance. Tutto il resto è sovrastruttura.

Claudio Pozzani

Dunque io non parlerei di “poesia performativa” bensì di “poeti-performer”, ovvero autori che sono anche attori / cantanti / lettori espressivi o attoriali che scrivono da sé il proprio copione e poi scelgono come metterlo in scena. Non è più il nudo testo ad arrivare al suo fruitore, il quale non è più un semplice lettore. Il transfer testuale, l’appartenenza, la rielaborazione, il lascito tra scrittore e lettore vengono mediati e stravolti facendo sì che non sia la letteratura ma la sua installazione a diventare l’arte contestualmente esposta.

Pur restando aderente a un’affermazione che fece tempo addietro un mio concittadino, poeta e critico, Roberto Batisti, il quale sosteneva che un testo poetico si può considerare buono quando regge bene sia su carta che nell’oralità e che, dunque, non si devono fare distinguo o favoritismi declinando la destinazione d’uso del testo poetico, credo che esistano possibilità di arrangiamento che possano andare nella direzione della miglior resa finale e che anche il contesto faccia la sua parte. Io stessa ritocco i miei testi quando li devo mettere in scena in spettacoli di teatro-poesia. Arrangiamento non è però produzione apposita fatta stringendo l’occhio all’occasione esecutiva.

Daniele Barbieri

Si parlava più tardi con Barbieri, rientrando in treno a Bologna, delle due parole ossessivamente ripetute da Adriano Spatola nella sua ironica performance anti-poetica del 1978 “Aviation aviateur” cercando di capire la differenza con l’esempio di performance fatta da Dome Bulfaro al convegno utilizzando le parole “Cassa di Risparmio di Tortona”. Io penso che in questi due casi la collocazione storica e l’intenzione facciano la differenza tra poesia performativa e performance senza però perdere di vista la parola. Nel primo caso – “Aviation aviateur” – abbiamo a che fare con un testo molto scarno, minimalista, dove però sono presenti figure retoriche di suono e senso e dove esiste una certa ricchezza evocativa (magari addirittura a discapito dell’intenzione dissacrante di Spatola), nel secondo no.

Marina Abramovic

Cosa rendeva l’orinatoio di Duchamp un pezzo d’arte? E la merda d’artista manzoniana? O la più recente banana di Cattelan? Il contesto e il concetto retrostante. Cosa rende “arte performativa” il corpo di Marina Abramovic? Sempre gli stessi due elementi con l’aggiunta della fascinazione data dalla forza evocativa di un corpo vivo, tenuto in stato di in-potenza e al contempo inerme, come morto.
La performance di Bulfaro sulle parole “Cassa di risparmio di Tortona” era invece puramente attoriale, l’arte lì presente era di tipo teatrale: nessun contesto, nessun concetto, nessuna poesia se non quella dei gesti e della voce.

Inoltre, a differenza dello spartito musicale che fornisce indicazioni di esecuzione sulle quali si possono poi ardire molteplici arrangiamenti o a differenza della drammaturgia dove vengono indicati gli stati d’animo di base e i caratteri per gli attori, o dell’installazione figurativa che risponde a un disegno e può essere replicata simile in musei agli antipodi del mondo, la performance di poesia non ha nulla di codificato e si colloca vicina all’improvvisazione teatrale monologica. L’installazione della parola sulla carta non indica come questa vada eseguita. Al massimo abbiamo corrispondenza di pausa e fine verso, una lunghezza del verso che simula il respiro, ampi spazi bianchi dove si richiede un silenzio, una disposizione in calligrammi o l’uso di caratteri bizzarri quando l’autore si sente giocoso, ecc… ma tutto ciò ha a che vedere con la lettura e con lo sguardo del lettore, non con l’estroflessione scenica e non rende la poesia più poesia.

La poesia performativa quindi, a mio parere, non esiste se non nella scomposizione dei suoi elementi: testo, contesto, attore (o poeta agente il testo), forma prescelta per la messa in scena. La costruzione performativa è un metalinguaggio legato all’agente e dunque non replicabile se non per imitazione. La pièce d‘art è il performer e non la poesia, che ne diventa oggetto di scena e/o architettura. Se il perfomer è autore del testo, e il testo è poetico, potremo parlare di poeta-performer.

In quanto ai Poetry slam, come ricordava Bulfaro, è bene non fare confusione tra ambiente preposto a uno scopo e pièce d’art. Nei Poetry slam ci sono agenti che si sfidano davanti a un pubblico di non addetti ai lavori che giudicano non il testo poetico o la performance ma l’opera d’arte “poeta-performer”. Non potendosi esibire con oggetti di scena, va da sé che gli agenti usino a volte abbigliamento e acconciature vistosi, testi (da regolamento, rigorosamente propri) facilmente comprensibili e capaci di scatenare pathos, oltre che doti di carisma personale, per prevalere. Mi è capitato negli anni di frequentare i palchi e le platee dei Poetry slam e ho potuto notare come la vittoria vada preferenzialmente a chi cattura l’attenzione con il proprio corpo e propone al contempo testi molto divertenti o rabbiosi o strappalacrime.

Il pubblico di un Poetry slam

Il Poetry slam è un contesto dove portare poesia performata secondo modalità dense. Dubito che la raffinatezza, ad esempio, di una Mariangela Gualtieri o di una Ida Travi verrebbe premiata. Tornando ai poeti del convegno di Tortona, a titolo esemplificativo, tra un Barbieri e un Pozzani, pur trovandoci in entrambi i casi di fronte a proposte poetiche di altissimo livello, in un Poetry slam avrebbe quasi sicuramente prevalso un Pozzani.
Senza nulla togliere al valore dei Poetry slam, senz’altro parliamo di contenitori più adatti a ospitare performer spettacolari ad alto impatto emotivo piuttosto che esibizioni di tipo meditativo.

In conclusione, ritengo che parlare di “poesia performativa” sia un errore di definizione d’ambito e ancor più impreciso sia ritenere il Poetry slam un genere.

 


 

FOTO DI ALCUNI POETI-PERFORMER ITALIANI:

da sinistra a destra e dall’alto in basso
Lello Voce,  La compagnia delle poete, Francesca Genti, Rosaria Lorusso
Paolo Agrati, Ida Travi, Giovanni Monti, Abbamuda – ensemble di teatro-poesia
Mariangela Gualtieri,  Martina Campi, Alessandro Burbank, Alessandra Racca
Simone Savogin, Filippo Capobianco, Giuliano Logos, Zoopalco