Sogni di Emanuela Rambaldi | Diciotto. Riviera.

 

Pochi giorni e sarà ufficialmente estate.
La riviera si riempirà di bambini e di cani e la stagione ricomincerà, con i soliti rituali, le rassicuranti monotonie, le consuetudini.
I bagnini avranno disegnato le spiagge, allineato i lettini con precisione e aperto gli ombrelloni in attesa che si gonfino di borse, creme solari, grida, aquiloni. Avranno fatto ordine, costruito le scene, preparato i fondali per le mille recite in cui ognuno fingerà di prendersi pause dalla vita e trovare accoglienza nella propria dimenticanza, indossando altre maschere.
A volte due elicotteri militari trafiggeranno l’azzurro del cielo. Passeranno appaiati, ma disallineati, scarafaggi metallici rumorosi e neri, dalla meccanica fastidiosa e dalle finalità sconosciute. A ricordare che il mondo esiste.

I primi turisti sono già arrivati. Percorrono il lungomare nel fine settimana, un po’ svagati, i passi incerti, barcollanti, con il bisogno di ritrovare il proprio posto nella luce, dopo l’oscurità offuscante dell’inverno. Hanno voglia di ingoiare salsedine e assaporare la brezza marina, voglia di intorpidirsi le gambe a forza di camminare. Si sorprendono di avere ancora una consistenza nel contatto dei piedi con la sabbia fredda.
Qualcuno decide di rinunciare agli abiti, anche se l’aria è pungente, soprattutto la mattina.
Al mare, quasi nudi, si è ciò che si è – corpi.
In posa. Sorrisi protratti e mani sulla pancia. Sullo sfondo il confine aperto.
Al sole tutti stringono gli occhi, allargano la bocca.
Al sole sembra che tutti sorridano.

Mettete i capellini ai bambini.

Riviera. Quanti piedi hanno calpestato questa sabbia. Quante risate. Quanti pianti. Quanti baci. Quanti addii.
Quante mancanze.

A chi apparteniamo. A chi appartiene il nostro corpo. A chi il nostro desiderio.

In un’altra vita i bambini erano in bianco e nero. E i palloni grandi e scuri. Con la scritta bianca di una crema solare.

A dodici anni Hélène aveva un cappello bianco, a falda larga, con un nastro nero, un cappello da uomo, rubato a sua zia.
Tutti i giorni saliva sul traghetto che univa i due lembi di terra, divisi dal canale, viaggio di pochi minuti.
Lì, una mattina, il figlio del bagnino l’aveva guardata. Ma per lei sarebbe stato per sempre il cinese di Vin Long ad averla rapita.
La Riviera le appartiene. Lei appartiene alla Riviera. Tornare una volta è tornare per sempre.

Hélène, bambina, diceva la madre, l’indiana, un giorno ci perdonerai per averti amata. Per averti voluta con la pienezza dei nostri corpi, e poi averli dimenticati.
Ma ad un certo punto della vita, quando tutto è alle spalle, è necessario essere incoscienti.
Lo so cosa pensi, incoscienti sono solo gli adolescenti, con quel loro soffrire di ogni singulto del cosmo, e gli adulti a far finta di niente. Perdonerai anche questo, ognuno di noi ripete gli stessi sbagli, la storia non insegna niente. Siamo per sempre carnefici, anche dopo essere stati mille volte vittime.

E’ tempo di andare. Noi che possiamo abitare solo un mare disabitato.

Vista dal mare la terrazza sembra deserta, inerme, aveva detto un giorno Paul.
Al tramonto, ogni spiaggia si svuota. I gabbiani ritornano padroni.

Siamo ciò che gli altri fanno di noi o esiste qualcosa dentro, un’origine, che non può essere uccisa, anche quando ci sembra non esistere?

Sulla terrazza tutti hanno un calice, in attesa dello spumante.
– Cosa si fa davanti al mare nell’ora più dolce? – chiede Giselle
– Si piange, ovvio.
– Siete il solito, Paul, avete il melodramma nel sangue.
– Siamo davvero pazzi noi, che amiamo più di tutte l’ora dell’addio.
– Paul, noi siamo incapaci di salutarci. Per noi l’addio non esiste. Esiste solo il languore delle ultime cose, degli ultimi momenti. Ce ne andremo e quando ritorneremo ci sembrerà che l’estate sia stato un battito di ciglia.
Giselle si avvicina a Hélène e Robert, seduti al loro solito tavolo.
Ruth è appoggiata di spalle alla balaustra. Li guarda come si guardano i cuccioli, un misto di affetto e timore che si facciano male.

Paul, rivolto al mare, parla al vento, al cielo, agli uccelli, a tutti e a nessuno. Teatro, al solito.
– Gli amanti commettono errori. Quello più grave è pensare sia normale la lontananza dei corpi, il silenzio, la rabbia, le parole che non raccontano nulla, l’abitudine a rinunciare ai gesti, alle lessico, dando per scontato che l’amore possa sopravvivere da solo. Ma l’amore ha un suo linguaggio, che deve essere parlato ogni giorno, pronunciato all’infinito. Pena la sua morte.
Gli altri lo guardano, in attesa. Conoscono la teatralità, la buffoneria, la cialtroneria di quella che lui chiama la verità più vera.
– Lo so – dice voltandosi verso Hélène e Robert – siete voi a scrivere questo libro. Ma vi permetto di utilizzare il mio talento, gratuitamente.
Sorride, compiaciuto. Un istrione.
– Inchino. Applausi. Sipario?

Rimini, a quest’ora, ancora illuminata dal sole, è una città insolitamente candida. Bianche le case, il grattacielo, la ruota panoramica.
Rimini, a quest’ora, disegnata dal sole, è una città di latte.

Anche la felicità, come tutto, deve essere imparata.

Paul riempie i calici. Alza il suo.
– A noi, alle nostre vite, ai nostri inverni insopportabili. Alla bellezza sciupata dall’inverno. Alle nostre lacune. A tutti i rimpianti del mondo, che non servono a nulla, se non ai poeti infelici. Ai poeti infelici, che i poeti felici sono poeti analfabeti. Al perdersi. Siate ebbri, diceva il poeta. Questo sappiamo fare. Di vino, di poesia, d’amore. Permettetemi di essere blasfemo. Non bisognerebbe amare nessuno che non si sappia proteggere dal dolore.

– L’amore è egoista. Irrispettoso. L’amore si nutre di se stesso e di nient’altro. Se ne infischia del mondo. Un mondo governato dall’amore è un mondo che non fa progressi. Gli amanti lo sanno.
Tutti si voltano verso la cima delle scale, verso la voce, bassa, calma, lentissima.
Indossa un lungo abito nero che si confonde con i capelli. Scalza, si avvicina agli altri sorridendo.
– Non dovete più fingere con me – scandisce Julie. Paul le porge un calice. Il rumore del mare irrompe nel silenzio di tutti i pensieri che improvvisamente si fanno assenti, evaporati, fuggiti.
– So tutto, ora – sussurra Julie. E sembra un tuono.

 

***continua***