Sei poesie inedite di Cristina Bove, a cura di Giuseppe Martella

 

Dalla riva del fiume 

Si vedono passare 
piegate e ripiegate come barche
le persone di carta
e nelle inchiostrature di giornale
parole che sembravano importanti
spesso magniloquenti
disciogliersi nell’acqua
portando fino a foce
nomi disabitati
poeti andati a mare

***

 

L’ispirazione

irrompe e cambia i termini del noto
versa l’insano e l’indeterminato
non una poesia da “adesso scrivo”
compitata con lessico e misure
_la tecnica perfetta è da Salieri_
Mozart l’aveva in mente il flauto magico
e la Regina della notte, prima d’essere udita
gli scompigliava il cuore

il mondo è pieno di Salieri
dai pentagrammi irreprensibili
dalle stesure in ordine
ma la maestria non basta a dire l’anima
_l’ineffabile sfugge a norme e regole_
ci vuole il tocco folle di chi vede
uccellatori e nozze mistiche
il frullo che trasforma perfezione
in percezione d’oltre
il dio che vive dentro l’uomo
che all’improvviso si risveglia
e gli traduce il cielo

***

 

Sapersi limite

è presupporre l’oltre
per quanto inconcepibile
e noi dispersi in particelle quantiche
interrompiamo il viaggio delle forme
per inoltraci come puntiluce
in un eterno ignoto

***

 

Cerchi concentrici  

un sasso lanciato sull’acqua
la forma dei ciottoli abrasi
ha l’anima mia
adatta a quei lanci
adatta a disperdersi in onde
visibili solo per poco

il tempo ci rende profani
ai segreti del mondo

la natura c’insegna a sparire
ci abitua al distacco da sé

nel mistero del mondo
la vita è un groviglio di vane domande
uno stagno che simula il cielo
noi stelle cadute 
lasciamo che il cerchio si espanda
ci affondi

***

 

Loop

Aspettava
sull’orlo di una nuvola
la nuova forma in cui precipitare
_sarebbe stata stretta_     tuttavia
avrebbe ottemperato al suo dovere:
sperimentare la materia e il tempo

altri infiniti sparpagliati in luci
prima d’avere l’ombra e il peso
sapevano d’esistere
ma
senza consolidarsi
non potevano amarsi né abbracciarsi
né guardarsi negli occhi
allora
sfidando malattie, ferocia e morte
divennero molecole di un corpo

conobbero gli opposti
l’incessante mutare delle cose
il domandare senza le risposte

chi non si arrese al buio, scoprì i colori
le musiche del Tempo
la Bellezza
così placava l’ansia del distacco
distoglieva il pensiero
da quell’insana voglia di ritorno

***

 

Luoghi dismessi e spazi irreperibili

se andare fosse
un movimento verso il non vissuto
_pochissime le tracce scampate all’amnesia_
se per amare il non potuto amare
disperso in altra vita
quella che mai ritornerà nel fiore
forse diresti che c’è ancora un passo
e un altro ancora, ma
ometteresti ch’è verso la fine

diciamolo compendio questo viaggio
nei vicoli dei ninnoli superflui
_l’arte nasce dai semi dell’argilla_
mi radicò come se il cuore fosse terra
e la passione un fiume che l’inonda

piante e rime barocche sembrerebbero
se l’occhio non scoprisse l’entropia
che ne sconfessa l’ordine

quella figura che non sono io
quella figura che non sei più tu
_sono le controparti dell’immenso_
vanno dove ogni dove è tramontato

ci restano pensieri da scambiare
su ciò che non si disse e non si fu

 

Cristina Bove è poeta schiva, pudica e veggente. Non appartiene a nessuno, forse neanche a sé stessa. Nei suoi versi pare talvolta che qualcuno le detti dentro: l’altra, la musa, o quella che ha lasciato in una sagoma sull’asfalto, dopo un volo dal balcone diversi decenni fa. Quel trauma, quella scissura, è il luogo del rimosso da cui scaturisce una coscienza fin troppo vigile e una voce fin troppo schietta per incontrare i gusti tardo surrealisti o neo ermetici che hanno dominato le ultime generazioni. Comunque, con l’andare degli anni, sempre più il suo dire coniuga il nitore dei dettagli e la profondità della riflessione in una serie di catene metonimiche che conducono il lettore nell’infinito racchiuso in una stanza, in un luogo dove gli sembra di ritrovarsi, in una sorta di sublime domestico in cui si incontrano il rumore di una lavatrice e la musica delle sfere. E la sua prosodia sembra cullare il pensiero in un basso continuo che regge tutta una serie di variazioni sul passare del tempo e lo sfumare dei ricordi man mano che si intravede l’ultimo traguardo. E sempre più fonde il dettaglio e il disegno, il quotidiano e il cosmico, il corpo che si sgretola e la stella che brilla, la geologia e l’ecologia della mente, dove l’anima batte sempre più forte le mani, cantando a voce spiegata il miracolo della vita agonizzante.

Qui vi presentiamo alcune sue poesie, tratte da una recente raccolta inedita, che articolano questi ed altri temi, come ad esempio quello metapoetico, su cui spesso ritorna in una serie di “considerazioni inattuali” sulle dis/funzioni dell’arte come farmaco (rimedio-veleno) per il male di vivere che ci attende a ogni giro d’orizzonte, foss’anche quello consueto dell’ultima stanza in cui in tarda età ci si ritira.

In una fantasmagoria in cui trascendenza e immanenza si incontrano come il riflesso e la frattura di una immagine in un punto inattingibile sulla superficie della rappresentazione. In una sapiente orchestrazione della toccata e fuga di sé stessi, tra valenze aforistiche e chiusure epigrammatiche, tra sottolineature e motteggi, nonsense e paradossi. Con una pacata ironia che non fa sconti, in questa umanissima certificazione dei propri limiti, umani e poetici, che finisce per tramutarsi infine, in virtù del suo proprio stesso disincanto, in una muta domanda o una preghiera laica, che esprime tutta la pietà del pensiero. In un continuo dialogo fra l’esserci e la coscienza (“self and soul”), che mi ricorda una splendida poesia di W.B. Yeats e costituisce l’arco teso su tutta la poesia di Cristina Bove, l’arcobaleno iridescente che contiene tutte le sfumature della sua veggenza e i magnifici doni che essa sa offrirci, e che a mio parere fanno di lei, nel panorama attuale della poesia italiana, una delle voci più significative ancora in attesa di un pieno e doveroso riconoscimento.

 


 

Cristina Bove è nata a Napoli nel 1942 e vive a Roma dal 1963.
Si è occupata di pittura e scultura; negli ultimi tempi si dedica alla scrittura, alla fotografia, all’arte digitale.
Ha pubblicato i romanzi Una per mille (Edizioni Smasher, 2013) e Riedizione (Fusibilia, 2016) e le raccolte di versi Fiori e fulmini (Il Foglio Letterario, 2007), Il respiro della luna (Il Foglio Letterario, 2008), Attraversamenti verticali (Il Foglio Letterario, 2009), Mi hanno detto di Ofelia (Edizioni Smasher, 2012), Metà del silenzio (in e-book, Edizioni Pibuk, 2014), La simmetria del vuoto (Arcipelago Itaca, 2018).
La sua opera è presente in antologie, blog, siti e riviste online.