Risonanze di Massimo Parolini | Un viaggio lungo un’intera veglia: nota su “La luna negli occhi (canzoniere d’amore 1988-2018)”, Nino Aragno editore, 2019,

di Ottavio Rossani

 

la lunaIl mito dell’Androgino, raccontato da Aristofane nel dialogo platonico “Simposio” narra che originariamente, a fianco dei generi maschile e femminile, esisteva quello androgino, aventi le caratteristiche di entrambi i sessi. A causa del potere degli androgini, che minacciava    l’Olimpo, Zeus, d’accordo con gli altri dei, decise di indebolirli dividendoli in due come  si tagliano le sorbe per conservarle, o come si taglia un uovo con un filo. Quindi Apollo girò   le teste degli uomini primitivi dalla parte ferita dal taglio guarendone e coprendone le ferite. 

Una volta divisi in due, essi non desideravano altro che cercare la loro metà e finirono per morire di fame e inedia poiché non potevano fare nient’altro senza la loro metà.  “Ciascuna metà, desiderando fortemente l’altra metà che era sua, tendeva a raggiungerla. E gettandosi attorno le braccia e stringendosi forte l’una all’altra, desiderando fortemente di fondersi insieme, morivano di fame e di inattività, perché ciascuna delle parti non voleva fare nulla separata dall’altra». Provando compassione Zeus portò l’apparato riproduttore sulla parte anteriore per permettere  la procreazione: «ciascuno di noi, pertanto, è come una controparte di uomo, diviso com’è da due in uno, come le sogliole. E così ciascuno cerca sempre l’altra controparte che gli è propria». Per tale motivo «il nome amore si riferisce  al desiderio e all’aspirazione dell’intero» e la più grande fortuna che possiamo avere nella vita è di  «incontrare un amato che abbia un animo che corrisponda al nostro» al fine di riunire l’unità originaria, permettendo la guarigione dalla ferita spirituale. 

Ottavio Rossani, nei versi de “La luna negli occhi (canzoniere d’amore 1988-2018)”, Nino Aragno editore, 2019 (vincitore nel 2020 del XXXII premio letterario Camaiore Francesco Belluomini), ben esprime il senso di tale ricongiugimento unito a quello contrario della separazione-ferita conseguente, nel caso del lutto per la moglie. La plaquette inizia, nella poesia “Apparizione” con un climax di visibilità (accesa, lucente, trepida) e di energia psichica (euforia, magia, vorticosamente, spirale di emozioni). Nell’incontro il logos (parola e ragionamento) va diffidato, gli sguardi possono invece confermare, nell’anamnesi delle parti separate, l’unione originaria da ricomporre, ricercando complicità e fantasia ricamata sulla pelle, quella pelle usata da Apollo per ricucire la ferita nell’atto del taglio divisorio. Un lessico immediato nelle sue cromie sensuali narra di occhi smeraldo, profumo inebriante, colori d’amore troppo accesi: Finalmente dopo l’attesa lancinante, il dono totale. Dal  fondo atro  del pozzo del ricordo, riaffiora, cigolando, un’immagine evanescente eppure vivida, che ri-dona, a chi, rimanendo, se ne va.

La raccolta è permeata da una diffusa malinconia di varia gradazione: Freud, in “Lutto e melanconia”, scriveva: «La melanconia è psichicamente caratterizzata da un profondo e doloroso sentimento, da un venir meno dell’interesse per il mondo esterno, dalla perdita della capacità di amare, dall’inibizione di fronte a qualsiasi attività e da un avvilimento di sé che si esprime in autorimproveri e autoinganni e culmina nell’attesa delirante di una punizione»

Lungo la silloge (divisa nelle sezioni Canzoni, Racconti, Richiami, SIpario) possiamo ritrovare i passaggi che la psichiatra    Elizabeth Kübler Rossha sintetizzato nel testo La morte e il morire (1969), rielaborati in seguito da vari altri studiosi della fenomenologia del lutto: la Negazione, che si sviluppa dallo spaesamento della mancanza, nella realtà di uno   spazio vuoto sorto dalla sparizione della persona amata, che genera l’illusione della continuità, dei piccoli riti e abitudini quotidiane, in una foscoliana  corrispondenza d’amorosi sensi e di soavi cure;  laRabbia, derivante dal senso di ingiustizia per la perdita nella ricerca di un responsabile della perdita (persone, divinità, il trapassato stesso); il  Patteggiamento, una fase malinconica  più lieve, nella consapevolezza che il vuoto della perdita è uno spazio da riadattare nel rapporto col proprio io mutilato, ridefinendo la propria immagine all’interno di tale svuotamento testimone di un’assenza; la Depressione, con le sue innumerevoli forme di varia gradazione, definita figlia e madre di tutte le altre fasi; e infine  l’Accettazione, consapevole o meno, tesa o pacifica, figlia del tempo ma anche della  volontà. L’altro rivive, rivivono i ricordi, ma in una dimensione di accoglimento adattativo che lascia una graduale maggiore libertà di aprirsi agli altri, ridefinirsi, verso altre forme, altre anime, altri corpi, nuovo eros vitalistico che pieghi la malinconia e l’accidia, senza sensi di colpa e rabbie per la scissione del legame originario:

 

Non voglio più ascoltarti, voce amata,
in questo tiepido tramonto d’oro
che l’autunno romano ammaga di primavera.
Sono troppo accidentati i miei pensieri
intrecciati a stridenti memorie.
Resta vivo solo chi ha un passato
e ha vissuto passioni come diamanti.
Dobbiamo avere perciò tocchi gentili
per non ferirci con orgogli ostinati.
Inatteso si è proiettato dal vuoto
un lucente giorno marino,
e ilare il vento riga duro i volti.
Adesso il turbinio è tanto forte
da abbattere anche le mie barriere,
erette da anni di ingannevole solitudine,
dopo la tua scomparsa.
Allo specchio avverto un tremito imprevisto,
raro coraggio dopo una battaglia persa.
Auspicando una nuova salvezza,
parto da qui spettatore di speranza,
e accolgo timido il nuovo amore che avanza.
(diamanti)

 

Bisogna rimanere svegli, vegliare assieme, essere, in tale atto, ungarettianamente attaccati alla vita, udire la voce dell’altro che scolpisce  in uno spasmo doloroso, nel sogno che non è illusione ma visione autentica, spirituale, di una complicità profonda, uncino velluto che scava nello stomaco dell’anima:

Dormi? È tardi, lo so.
Vorrei che tu vegliassi con me.
Nel tremito di quell’attimo
si è fermato il mondo.
Di emozione si può anche morire.
I desideri ora coincidono.
Mia bella, mia vita,
sogniamo insieme
per (ri)vivere domani.
(veglia)


Diffidi delle parole
e sospetti una finzione.
Leggendo nel tuo sguardo,
aspetto che tu accetti
il mio invito.
Se vuoi inventare nuovi giorni
abiura i ragionamenti,
accoglimi sul tuo seno.
(oltre le difese)
 

L’altro, assente, è l’abisso in cui si precipita: dalla sua , tua assenza sgorga poesia/ ma non riempie il vuoto della tua essenza. La scrittura è fatta di  geroglifici che si spezzano. La poesia non salva, non ricuce, pur nel tentativo di essere l’oro, fra i cocci del Kintsugi.

Tra noi, va bene, nessuna finzione.
Il mistero incita alla giusta via.
Scoprirsi è aprire varchi
in cui dita cercano impazienti.
Avevi detto: nessun possesso.
Ora dici: possederti è bello.
C’è verità in questa contraddizione.
Volontà di affogare. E poi riemergere.
Hai sbrecciato la diga e dilaghi.
Ho accettato il tuo fuoco e mi brucio.
Dopo la passione si torna feriti
all’inesorabile mediocrità,
che presuppone altre eccezioni.
(varchi)

L’altro è orbita nella cui attrazione gravitazionale sconfiggere la mediocrità, il grigiore, il vuoto esistenziale ed emozionale dell’essenza separata in un mondo frantumato: 

Con l’amplesso lunare,
corpi ardenti, umori e altri fattori,
gioia naturale, colatura di passione.
Dopo, inevitabile la ricaduta nella mediocrità,
nel petto, segregato un grano di felicità.
(orbita)

Nei flash di tormentata memoria la consapevolezza che Solo chi ama esiste davvero. E di più quando soffre perché ama. E un desiderio di incarnarsi dentro l’altro (assente) che ritorna nel sogno consapevoli che l’arte d’amare è/ progressivo incenerimento,/ richiesta incessante, offerente,/
sguardo persistente.
(arte)

Desiderio che accetta il proprio rischio, nella dialettica fra libertà dell’ io (soggetto) e desiderio (anche narcisistico) dell’altro (oggetto-soggetto):

Segreta ebbrezza è la scoperta
di nuove albe e marine assolate.
Mentre la tua voce spiega nuove giovinezze.
E io mi tuffo nell’emisfero del rischio,
irruente dentro lo sconquasso.
(tuffo)

La sabiana “ora nostra”, “ora grande”, che precede i sacri ozi, diviene in Rossani “l’ora migliore”:

Quando arriva l’ora mediana che precede la sera,
il mio pensiero si ferma sulla tua mano
che si muove sul punto di delizia del tuo corpo
scoperto alla commozione.
È quell’ora in cui il languore
stravolge i sensi nel sangue ardente,
è quell’ora in cui mi piace guardarti
e accompagnarti nel viaggio tra roventi fantasie.
Da tempo abbiamo disegnato una reciproca mappa
delle migrazioni sul pianeta dell’impertinenza erotica.
E i racconti non sono soltanto sguardi,
sono anche fiotti e risonanze.
Tra gli spasmi si potrebbe anche morire.
Sarebbe la perfetta conclusione del viaggio,
nel momento più bello, avvolgente, delicato, forte.
(lora migliore)

Fra Patteggiamento e Depressione la forma amata si staglia nella stanza cava, fra svuotamento e riappropriazione mnestica; il verso scioglie il ricordo e si fa xenia, dono all’ospite in attesa sulla soglia:

sei andata via di notte,
senza mettermi al corrente dei fatti.
Da allora, non posso raggiungerti.
(diaframma)

hai saltato la barriera
sconfinando nell’invisibile.
Troppo grande da accettare
il dolore della tua partenza.
Ma nella tragedia di perderti,
sono stato fortunato di averti compagna.
E so che da qualche parte
ancora fiduciosa mi aspetti
(libertà)

Per te si è aperto un dirupo assassino.
Sei precipitata senza possibilità d’appiglio.

[…] Manchi solo tu.
Eppure, amore mio, sei ancora con me.
Un delirio in un lungo sonno agitato.

Mi vuoi ostinato a vivere. E vivrò, saccheggiando
i tuoi passaggi sui luoghi della memoria. 
(Genéve)

 

Infine, nella meravigliosa chiusa della poesia che sigilla la silloge, viene confermato il quinto passaggio nell’elaborazione del lutto d’amore, l’Accettazione: dal rancore, dalla rabbia, per la perdita, per il salto nel vuoto (per chi va e per chi resta) e l’androgino infranto, la luce salvifica della mente, sorvolando il mistero del morire, estrae una leggera (ma) progressiva speranza:

Il grano di felicità naturale,
che ci ha beneficato nei giorni
del nostro andare insieme,
è precipitato nel crinale del dolore
veloce come uno stordimento
– il silenzio della gioia profanato
dal rombo assassino di un tuono –
Ora, la distanza anestetica del tempo
non chiarisce il senso del distacco,
se un senso debba esserci.
Il bellissimo corpo si è consunto
nelle stonature dell’esperienza.
Tuttavia il dono dell’allegria,
e le vibrazioni sensuali dal sorriso
nei tuoi occhi subito innamorati,
sono rimasti perenni nel film
della festa seguita al giuramento,
sotto il cielo azzurro di primavera
tra gaudenti sul piano a strapiombo.
La luce salvifica della mente,
planando sopra l’enigma del morire,
dal rancore ha saputo estrarre
una leggera crescente speranza.
(Distanza)

Il messaggio di Rossani è chiaro: la luce della ragione (dialetticamente) salva rimanendo dentro i limiti del mistero, in cui sono immersi la vita e la sua negazione, nel proprio dialogo quotidiano che ci radica, fra qui e altrove, fra ora e sempre, fra temporalità ed eterno.

 


you can see Ottavio Rossani, an italian poet, who wears glasses and a white shirt for summer
Ottavio Rossani (Sellia Marina, 1944) è poeta, scrittore, pittore, regista teatrale. Abita a Milano. Laureato in Scienze politiche e sociali, fa il giornalista (40 anni al Corriere della Sera prima redattore, poi inviato speciale). Si è occupato di politica, economia, cultura, costume, cronaca. Ha intervistato umili e potenti, personaggi della politica e della cultura, in Italia e all’estero. Ha viaggiato nei diversi continenti, soprattutto in America Latina. Ha pubblicato le raccolte di poesia: Le deformazioni  (1976), Falsi confini (1989), Teatrino delle scomparse (1992), Il fulmine nel tuo giardino (1995), Hogueras (1998), L’ignota battaglia (2005), Finestre aperte (plaquette) (2011), Riti di seduzione (2013), Soverato (Autoantologia con poesie inedite 1976-2018) (2019), La luna negli occhi (2019; premio Camaiore 2020); i saggi: L’industria dei sequestri (1978), Leonardo Sciascia (1990), Le parole dei pentiti (2000), Stato società e briganti nel Risorgimento Italiano (2002); il racconto storico: Servitore vostro humilissimo et devotissimo (1995). È stato uno dei fondatori e direttore responsabile della rivista di “poesia e ricerca” Il Monte Analogo. Per il teatro ha curato la regia di Disobbedienza d’amore di Mariella De Santis al Sipario Spazio Studio (Milano, 1998). Ha realizzato una “mise en espace” delle poesie di Federico Garcia Lorca per il centenario della nascita, con musica e ballo di flamenco: Se mueren de amor los ramos (Caffè Letterario, Milano, 1998). Ha scritto il monologo Se mi vengono i brividi che è stato portato in scena da Edgardo Melchiorri a Buenos Aires nel 2000, con la regia dell’autore. Dipinge ed ha al suo attivo diverse mostre personali e collettive. Dal 2007 è responsabile del blog POESIA sul Corriere della Sera on line (poesia.corriere.it). Collabora a diversi giornali (in particolare con “il Quotidiano del Sud”), riviste e siti web, con editoriali sociopolitici e critiche letterarie.