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Risonanze di Massimo Parolini | Per un Joglar saltinverso: nota su “Il Giullare di Amblar”  (Edizioni Del Faro,  2023) di Giuseppe Colangelo

 

 

 

9788855123778.jpgPerché vogliamo ancor la sfumatura,/ non colore, ma solo sfumatura!/ Oh, solo essa accoppia il sogno/ al sogno e il flauto al corno!/ Va più lontano possibile dall’assassina arguzia,/ dal crudele spirito e dall’impuro riso,/ che fanno piangere gli occhi dell’azzurro/ e tutto quell’aglio di bassa cucina! Così poetava Paul Verlaine nei versi de Art poétique (editi nel 1882) inneggiando alla poesia musicale e ricca di sfumature (Nuance), condannando le altre forme poetiche nel loro uso di arguzia, retorica, comicità e umorismo. Ma per fortuna non tutti la pensano così e anche dopo questo e altri tentativi di delimitare il perimetro del poetabile e del poetico, la poesia si è lasciata rincorrere e abbracciare da contenuti, linguaggi e generi plurimi e mutevoli. E fra questi generi quello umoristico e arguto ha continuato a produrre alimento per l’anima di intere generazioni. Un nuovo regalo a lettori e uditori lo dà, con questa raccolta, Giuseppe Colangelo, di Guardia Sanframondi (nel cuore del Sannio beneventano), da quasi un cinquantennio approdato a Trento in qualità di insegnante di materie letterarie negli istituti superiori, studioso di letteratura, esperto di didattica della storia, saggista e critico letterario. Ma anche autore di poesie (ricordiamo le raccolte Epigrammi, ghiribizzi e allegre diatribe, 1999 Parole d’occasione, 2010). Il giullare di Amblar comprende sessantasette poesie definite dall’autore piccoli esercizi di troponomastica trentina, a indicare una prassi di esercitazioni, prove, allenamento e avvicinamenti, più che il posizionamento definitivo di una parola che vola alta e cresce, sicura, in profondità (per citare il grande poeta Mario Luzi, sulla cui poetica Colangelo si laureò a Napoli con   Giancarlo Mazzacurati). L’autore, partendo dal nome del paese di Amblar (circa duecentocinquanta abitanti, situato in Alta Val di Non), mulina nella sua mente un gioco di echi fonici e significati affioranti definendosi provenzalmente il giullare (joglar) di Amblar, iniziando così il suo percorso per le variformi e affascinanti valli del Trentino alla ricerca di tropi semantici, slittamenti e deviazioni per nuovi corsi di significazione condivisa. I nomi dei luoghi diventano così metafore che amplificano nella rete di rimandi fonosimbolisti la propria mappa di una mutante geografia dell’anima inquieta. La penna è il randello del poeta-joglar, usata nelle passeggiate trentine, per cercare di restituire al paesaggio e al suo etimo un omaggio in cambio della sua fascinazione. Il joglar non deve registrare, nella sua prassi di viandante e scrivente, nessun futuro di risveglio e purificazione del Trentino, non ha le forme del superuomo, messaggero sconosciuto di un rinnovamento: i paesi e i paesaggi attraversati e citati non riecheggiano alcuna  città del silenzio di dannunziana memoria.  E allora via con calembour-giochi di parole giocati su omofonie, polisemie, omonimie (anche parziali). Gianni Rodari, che di filastrocche in rima ritmate, calembour e limerick-poesie nonsense fu un maestro, nel capitolo 12 della Grammatica della fantasia (1973) impartiva istruzioni per l’uso a tal fine della toponomastica italiana, quale serbatoio inesauribile, in un gioco combinatorio infinito (vedi i versi de Filastrocche in cielo e in terra, 1960 o la prosa de Favole al telefono, 1962). Un altro maestro di giochi umoristici basati sui rimandi fonici è il pittore-poeta Toti Scialoja, che iniziò la sua attività in versi con una raccolta più tradizionale per poi volgersi ai nonsense-limerick tanto amati da Calvino, Manganelli, Porta, Arbasino e altri importanti scrittori (Amato topino caro,1971,  Una vespa! che spavento, 1975, Ghiro ghiro tonto, 1979). Alessandro Giammei, nel suo saggio di approfondimento su Scialoja (Nell’officina del nonsense di Toti Scialoja, 2014) ci ricorda già nel sottotitolo la complicità nell’opera dell’artista romano di topi, toponimi, tropi cronotopi. Di cui, almeno in parte, si nutre anche il joglar d’Amblar il quale, anch’egli come Rodari e Scialoja, comunica e offre colture con leggerezza, gioco, scarti ironici, deviazioni e derivazioni divertenti, frutto di rapide e briose pennellate (in cui trova spazio anche la Nuance-sfumatura verlaniana). Anche Colangelo, indossando una maschera da giullare flaianesco,   fa l’ occhiolino a calembour e  limerick (per alcuni esercizi umoristici e talora di nonsense che privilegiano i legami fonici a quelli semantici) ma senza, di questi ultimi, rispettarne la metrica fissa,  sguazzando divertito fra bisticci arguti.

Sicuramente alcune delle composizioni possono indirizzarsi ad un pubblico di bambini (seguendo una lunga tradizione che da Collodi, Lewis Carrol ed Edward Lear, che dei limerick fu forse l’iniziatore, giunge ai nostrani Rodari, Toti Scialoja e Vivian Lamarque): è il caso (magari con qualche semplice annotazione) di poesie, fra le altre, come Un’ape a Ronzo Chienis, La trota del Garda, A Besenello, La patata di Gresta, La prugna di Dro, A Cavedago, La capra di Capriana, I grilli di Luserna, Lo svasso di Cei, Il trait d’union, Un carillon, La nonna di Nanno, Una lumaca di Lomaso, Rimedi naturali, La cicala di Ala, Piove su Strembo. Altre, invece, necessitano di una mediazione culturale superiore per comprenderne i riferimenti fra le pieghe del dettato (e quindi sono rivolti ad un pubblico più adulto): è questo il caso, ad esempio, di poesie come Chi canta stasera, Tre ruganti su ’n ten doss, Il cervo di Malosco, Monti Pallidi, Leno roco, Girotondo per Fondo, A Lavarone, Variazioni, Anghébeni e Cumerlotti, A Pinzolo, Alla sagra di Caldès, Al bivio di Avio, Daiano  e via di seguito. In altri componimenti viene meno anche la finalità umoristica e il toponimo viene evocato quale omaggio ad un personaggio nativo o che  vi ha abitato-soggiornato (in alcuni casi presente anche nelle poesie delle tipologie precedenti), al quale Colangelo desidera fare il proprio omaggio giullaresco: è questo il caso dei versi di Alto vola Roncegno (per Marco Pola, poeta), Dolomiti (per Tullio Gadenz, poeta), Così Còredo splende (per Giuseppe Mascotti, poeta), Dasindo (per Giovanni Prati), A Terres fu soldato (per Camillo Sbarbaro), Terragnolo (a Gino Gerola, poeta e saggista), Tésero, Teresino, Teserino (per Vivian Lamarque), Malé (per Samantha Cristoforetti, astronauta), La Busa (a Luciano Baroni, poeta). Oppure, infine, l’omaggio è al luogo-topos in quanto tale, per l’interesse destato nel joglar saltinverso: è il caso de Il tuo nome Amblar (incipit della raccolta), Ala e Avio, Òmeni de tera (dedicata alle piramidi di Segonzano, in Val di Cembra), Guglie di Brenta, Ad Arco si riposa, Davanti alle Pale (di S. Martino di Castrozza). E il giullare-joglar di Amblar nella poesia Benevento e Trento, posta verso la fine della raccolta, accosta la città-Provincia d’origine, Benevento, a quella d’adozione, Trento, rimarcandone l’inevitabilità fonosimbolica di una scelta di migrazione nella città del Concilio, data la rima perfetta: Benevento/ Trento/ una facile rima/ le avvicina/ ma ben altro nesso/ le stringe sommesso./ Ne ascolta la voce/ il giullare attento/ e dentro sé la conduce/ a un’unica foce. E se aggiungiamo che a Trento il Castello del Buonconsiglio fino al 1300 si chiamava del Malconsiglio e che Benevento fu così rinominata dai romani in seguito alla vittoria nel 275 a. C. sul re dell’ Epiro Pirro, il trait d’union si cementifica. E testimonianza ne è il cimentarsi giocoso nel joglar beneventano col dialetto di Trento nella (già citata) poesia Òmeni de tera: Òmeni de tera/ i  li  ciama a Segonzan,/ òmeni de ’n’ altra era,/ òmeni de ’n temp lontan/ boni de portar/ capei de preda/ come conchiglie/ de ’n vecio mar/ o vedri fini de Muran. In questi versi vediamo in atto un vero atto d’amore per la terra d’adozione (dove Colangelo ha trascorso quasi il doppio degli anni passati nella terra d’origine) la cui lingua “matrigna” si fa lingua buona, lingua “neomadre”, perché il giullare di Guardia Sanframondi ha ricevuto tanto e ha restituito altrettanto, insegnando, scrivendo, osservando, meravigliandosi, dimostrando che ogni terra, se la rispettiamo e la amiamo è “inesausta matrice” di nutrimento e di vita (come recita un suo verso della raccolta Parole d’occasione), da cui ricavare il primo sale, la poesia (“inesausta voce del cammino”, ibid.).

 


 

GIUSEPPE COLANGELO, nato a Guardia Sanframondi (Benevento), vive dal 1975 a Trento dove ha insegnato italiano e storia in vari Istituti Superiori. Studioso di letteratura contemporanea, si è occupato di vari ambiti culturali, tra cui i rapporti tra letteratura e mondo contadino e le vicende del fascismo e della Resistenza nel Trentino. Ha pubblicato saggi su R. Scotellaro, C.Rebora, I.Silone, T. Di Ciaula, B. Rebellato, S. Kosovel, M. Sovente, C.Abate, la poesia trentina del XX secolo e due raccolte di versi: Epigrammi, ghiribizzi e allegre diatribe (1999) e Parole d’occasione (2010). Per la RAI regionale ha scritto due programmi di tredici puntate l’uno, Le terre dei poeti e La memoria divisa. Tredici romanzi per raccontare la guerra civile italiana, andati in onda rispettivamente nel 2004 e nel 2005. Da molti anni collabora come critico letterario con il quotidiano “l’Adige”.