Osservatorio poetico di Sonia Caporossi | Diego Riccobene

 

*

Io credo nell’iniqua malasorte,
nel taccuino nero
che l’atropo costeggia
coi palpi torti in acherontee lagne

divincolando il corsaletto denso
marcato dalla Morte
– che sia un Suo pretesto? –
finché quella maliosa si consumi

tra conopei richiusi su un’altana;
che presto si depauperi
il fiato e nell’ambascia
il giorno svella flaccide sporgenze

fortore dissipando su losanghe;
nelle fatture sporche
in mosto e malto, oblate
con fitte al reclusorio d’alto ventre,

è questo il segno del soffocamento.
M’incappia e stringe, giuro:
ordura di chi ha in sprezzo
le glutinose lische di demenza

in lunghe processioni zingaresche,
il vilipendio al senso
che per poco s’addorme
tra branche d’una culla in pentafilli.

Il tasso mi schernisce nella lingua
dei bardi che a Mercurio
estorcono precetti
di un prorogato vincolo materno,

lo stesso che rifiuto in sfinimento,
perché il fiorrancio o il sorbo
non sudino che scarto
se solo li spremessi per l’alloppio.

Pertanto credo in confessioni stanche
che un saprofito ingravida
su lingue viola e adunche;
che bettolare salmi in rettilari,

vocando l’Azazello o un altro abietto
sia sintomo perspicuo
di quanto giaccia incolto
nel gozzo d’ogni cristo postulante.

*

Trenodia

La piccola ha mangiato
la testa di un’allodola.
Il gaio volto splende,
cornice pura d’occhi
in guscio liscio e saldo,
prosimetro del mondo;
i suoi capelli fiabe
deliziano i pidocchi,
di plastica un gioiello
adorna l’albo collo
chissà? dono nuziale
d’un giornalaio zoppo.

D’averla vista giura
l’autista di corriera
sul bivio masticare,
la fera bocca piena,
ranuncolo sbocciato
nel sangue a primavera
che già lusinga il mirto
ma nulla indora il dito:
il detto giornalaio
evacua inorridito.
La piccola ha mangiato
la testa di un’allodola.

Il corpicino freme,
la mano si fa chiostra
e trema ancora l’ala
nel nervo della vita.
Di poi che madre e padre
distratti da un banchetto,
dalla mensile questua,
cenciosa sorte in centro,
la strillano e la battono:
“T’è caro uscir di senno?”

risponde lei con grazia,
succhiando brune piume:
“Ho il naso curvo e storto,
le invidio il dritto becco”.
Un convenuto afferma
d’avervi scorto un fremito,
un tirso a nodo d’edera
celato nell’anelito.
La piccola ora canta
con voce d’alma allodola.

*

Il martire ringhiava,
il sacro rigirìo si risolse
bevendo la lisciva a brevi sorsi
da quella delittuosa colocasia;
fu quando udii le voci dagli azzurri
che a valle mi stordivano
svillaneggiando lungo i miei ventricoli
fino al richiamo della procellaria.

E sono solo un ladro
a dirla tutta, adiaforo in latenza
che amò saziarsi di sembianza e croste
rimasticate in dies irae lunghi
come le pieghe d’una scolopendra,
un vaniloquio tale
da impaludarmi in ecfrasi e ghirlande,
intossicanti tare di pervinca.

 

Diego Riccobene nasce ad Alba (Cuneo) nel 1981. Dopo la laurea in Filologia Moderna presso l’Università degli Studi di Torino, è docente presso la Scuola Secondaria. Alcuni suoi componimenti sono stati pubblicati su webzine e antologie. Ballate nere (Italic Pequod, 2021) è la sua opera d’esordio.

 

 

 

In questi testi estratti dal suo libro d’esordio Ballate nere, Diego Riccobene si lancia in un esperimento linguistico e sensuale insieme cesellando versi neobarocchi ricolmi di massimalismo scrittorio, attraverso il sapiente utilizzo dell’arcaismo, del lemma desueto, della forzatura sintattica, del metro apparentemente tradizionale, portando all’eccesso una sorta di memento mori neogotico che travalica il puro formalismo per significare altro: nella fattispecie, l’afrore della decadenza ultracontemporanea nonché l’indecidibilità della certezza e della verità che la poesia dei buoni sentimenti vorrebbe ipocritamente trasmettere. In questa operazione caleidoscopica egli guarda-attraverso le epoche e i generi della poesia, condensando sulla pagina una sorta di straniamento identitario che fa della parola sostanza assoluta, ricalibrandola come un “ladro […] / adiaforo in latenza”, ovvero con la stessa indifferenza di un filosofo cinico o stoico, all’interno della cornice metasemantica del suo mirabolante “prosimetro del mondo”.