Intervista a Anatoly Kudryavitsky, a cura di Anna Belozorovitch, con selezione di poesie.

     

L’intervista che vi proponiamo avrebbe dovuto essere pubblicata nel numero di luglio di Versante ripido dedicato a la Poesia breve. Per ragioni tecniche non è stato possibile e la trovate ora qui, nel blog di VR. Vi ricordiamo che l’intero numero di VR è visualizzabile al link https://www.versanteripido.it/category/_numero/2019/2019-luglio-numero-3/

    

Anatolij Kudrjavickij [traslitt. inglese: Anatoly Kudryavitsky] è nato a Mosca nel 1954, da padre ucraino di origini polacche e madre di origine irlandese. Ha studiato alla Facoltà di medicina di Mosca, laureandosi nel 1978. Ha concluso un Dottorato dell’Accademia medica di Mosca e si è occupato di biologia, cultura celta, musica e letteratura.
Autore di samizdat, nel 1979 si è visto precludere ogni possibilità di pubblicare. I suoi primi testi sono usciti nel 1989. Da allora, la sua poesia e la sua prosa sono apparsi nelle riviste letterarie russe più note, quali Novyj Mir, Družba Narodov, Novaja Junost’, Novoe Literaturnoe Obozrenie, ecc.. È fondatore di Rossijskoe poetičeskoe obščestvo [Russian Poetry Society].
Dopo aver vissuto in Russia e in Germania, si è trasferito in Irlanda. Dal 1999 al 2004, ha fatto parte della direzione della Federazione internazionale delle associazioni di poesia (UNESCO).
Poeta, narratore, traduttore, è membro della Unione scrittori di Mosca, presidente della Irish Haiku Society, caporedattore delle riviste SurVisione Shamrock Haiku Journal.
Nel 2010 è stato membro della giuria per il Premio letterario IMPAC (Dublino).
Sue opere sono state tradotte in quattordici lingue europee.

     

La mia prima domanda è sulla sua storia come poeta. Ci racconti di come ha iniziato a scrivere. Quando ha scoperto dell’esistenza della poesia. Cosa ha significato per lei, inizialmente, scrivere versi e come è cambiata questa esperienza nel tempo.

Beh, tutti studiamo la poesia a scuola, e questo talvolta ci toglie ogni voglia di leggerla. A leggere la poesia sul serio, in russo e in traduzione, ho iniziato attorno ai vent’anni. A quel tempo avevo già iniziato a scrivere. Poi, nel 1979, mi trovai nella lista nera per il mio coinvolgimento nel gruppo che diffondeva il samizdat, e dopo questo non mi era più stato possibile pubblicare; così decisi di scrivere ‘per me stesso’, senza alcuna speranza di pubblicazione. In più, mi ero messo a tradurre poesia, anche in questo caso soprattutto per me stesso. Ma soltanto quando mi fu possibile accedere alla pubblicazione, nel 1989, compresi che cosa significa il lavoro su un testo destinato alla stampa. Perché si tratta di una versione finale, e non può ospitare imprecisioni.
Mi sembra, quando scrivo, di parlare con l’eternità. Non è complicato come appare, serve solo trovare il linguaggio per un simile dialogo. Le parole singole si possono anche sostituire, dopo. Io lavoro a lungo sui miei testi, non ci si può affrettare. Poi arriva il momento in cui capisci che il testo è pronto. Mentre scrivo, è come se abbandonassi questo mondo e lo vedessi dall’esterno, dall’alto. È come un volo nello spazio… e poi bisogna tornare indietro, nella vita di tutti i giorni…

     

Vorrei sapere di più della sua scrittura in prosa. Come partecipa la poesia, per lei, in questo genere di scrittura? Quale di questi generi offre maggiore libertà?

Scrivo ‘seriamente’ poesia dalla fine degli anni ’80, la prosa dalla metà dei ’90. Alla prosa sono arrivato tramite la prosa poetica, con la quale avevo iniziato a sperimentare venticinque anni fa. Poi ho cominciato a scrivere racconti. Nel 2008 l’editore Zacharov di Mosca ha pubblicato il mio giallo post-modernista dal titolo Storie di vita dell’ispettore Mylls [Истории из жизни сыщика Мыллса]. Nel 2013, con l’editore Tekst, è uscito il romanzo L’Olandese volante [Летучий Голландец], un panorama della vita russa negli anni ’70, un ritratto del totalitarismo nella società e l’ingannevole libertà interiore dell’individuo. Il libro è piuttosto tragico. Nel 2014, lo stesso editore ha pubblicato il mio romanzo-antiutopia Gioco di ombre in una giornata senza sole [Игра теней в бессолнечный день], e tre anni dopo una raccolta di racconti brevi e lunghi. Entrambi i romanzi, e i racconti, sono stati tradotti e pubblicati in inglese. Nell’autunno del 2019, l’editore EKSMO pubblicherà una nuova edizione de L’Olandese volante.
A dare maggiore libertà, nella scrittura, è un maggiore dominio della forma; e questo richiede tempo, talvolta anni. Eppure, forse, io sono più poeta che romanziere. Le forme brevi mi sono più affini.

     

A proposito di bilinguismo. Che cosa significa per lei scrivere in lingua inglese o russa?

È necessario e possibile imparare le lingue. Io, ad esempio, ho studiato il tedesco, lo svedese, il francese, e ora l’italiano. Ma per scrivere bisogna utilizzare quella lingua che si domina alla perfezione. In Irlanda vivevano i miei antenati, almeno parte di loro, perciò per me lei non è mai stata una terra ‘straniera’. Sono piuttosto un rimpatriato che un immigrato: mio nonno era irlandese, trascorse tredici anni in un gulag con la falsa accusa di spionaggio a favore… della Gran Bretagna. Così, alla fine del secolo scorso, io sono ritornato nella terra dei miei avi. Nella mia famiglia si parlava inglese, e l’inglese non era per me una lingua ‘seconda’ ma prima, proprio come il russo. Scrivo in inglese dal 1992, in russo dal 1989.
Una persona di origini miste, come ce ne sono sempre di più nel mondo, può avere le radici etniche più varie. Le mie sono slave (polacche), celtiche (irlandesi), latine (italiane) ed ebraiche. E tutte mi nutrono. Credo che l’eclettismo non sia poi così male per una personalità creativa. La possibilità di scrivere in più di una lingua è qualcosa di prezioso.

     

Ci racconti a proposito della sua esperienza come traduttore e poeta tradotto. Che cosa è possibile e che cosa non lo è, nella traduzione?

I miei anni, dedicati alla traduzione di prosa, sono ormai lontani nel passato. Da molto tempo traduco solo poesia e amo tradurla. In alcuni momenti della mia vita la mia lingua ‘principale’ è stata il russo, in altri, come ora, l’inglese. Così ora traduco praticamente solo verso l’inglese e scrivo esclusivamente in questa lingua. La lingua di origine dipende dalla possibilità di renderne una traduzione completa. Se comprendo ciò che voglio tradurre, e se è traducibile, la traduzione è possibile.
Per me tradurre significa comprendere l’anima di un popolo, il suo linguaggio segreto. La possibilità di conoscere molti poeti ‘dall’interno’. Un buon traduttore di poesia è una persona curiosa. Certo, c’è il desiderio di tradurre diversi poeti, ma io scelgo ciò che amo. E io amo tante cose! La traduzione non intralcia la mia creatività, al contrario la arricchisce, mostrando il mondo in una luce diversa.
La libertà del traduttore è limitata dall’originale. Non è possibile fantasticare, completare o ‘correggere’ l’autore. È necessario analizzare lo stile del poeta, immaginare la persona che lui o lei è, studiare la sua vita. Una conoscenza così intima è difficile da ottenere, soprattutto se l’autore non è più tra noi.
Come disse il poeta ucraino Andrij Bondar’, “la traduzione è la lettura più attenta che si possa fare di un testo poetico”. È come la decodificazione di un messaggio cifrato: inizialmente decodifichi l’originale, lo trascrivi nell’altra lingua, poi lo codifichi nuovamente. E ciò che ne viene fuori, è la traduzione poetica. Poi puoi scegliere strategicamente, quando scrivere e quando tradurre. Se sto scrivendo un testo, non posso fare altro perché vivo dentro quel testo. Quando esco da quella condizione, potrebbe essere un nuovo giorno, o un nuovo ‘io’!
I miei testi sono stati tradotti soprattutto dall’inglese. In italiano sono già tradotto dalla notevole poetessa Maria Grazia Calandrone; qualcuna delle sue traduzioni è stata pubblicata. In tedesco mi ha tradotto con ottimi risultati mia figlia, Julia Kudrjavickaja [Kudryavitskaya]: quei testi sono stati pubblicati in riviste e antologie tedesche. In rumeno sono stato tradotto dalla giovane e talentuosa poetessa Rozana Ilie. Quei testi sono entrati nella mia raccolta pubblicata in Romania nel 2017. Ci sono state anche alcune altre traduzioni in altre lingue europee.

      

Le è anche capitato di tradurre sé stesso. In che cosa è distinto questo lavoro? Quanto libertà si è concesso? Non è difficile, in quei casi, resistere alla tentazione di ‘riscrivere’?

Ecco, infatti mi sono tradotto molto poco, all’eccezione di alcuni brevi testi. Lo evito, perché in questi casi inizio davvero a scrivere un testo completamente nuovo. E forse, sarei il peggior traduttore della mia prosa: un altro traduttore guarda il testo a distanza, lo vede per intero. Io non ne sarei capace: mi perderei nei dettagli. Parlano della ‘cecità dell’autore’… è proprio ciò che vorrei evitare.

     

Questo numero di Versante Ripido è dedicato alla poesia breve. Lei stesso, come studioso e traduttore, ha da poco pubblicato una meravigliosa antologia di poeti russi, tradotti in inglese [Kudryavitsky A., 2018, Mirror Sand. An Anthology of Russian Short Poems in English Translation, Glagolsav, London]. Che cosa ha significato per lei questo lavoro? Che cos’è la ‘poesia breve’ e perché l’ha scelta come criterio?

Molti poeti russi del samizdat ‘spogliavano’ i propri testi fino allo scheletro e rifiutavano la gran parte dei metodi letterari in quanto artificiosi. Privavano i testi persino del colore emotivo, concentrando l’attenzione suparole singole o persino frammenti di parole o unità di suono. Questo stile è stato definito, successivamente, minimalista. È possibile trovare le origini del testo minimalista odierno nella poesia dadaista, surrealista, concreta, e persino nelle parabole e racconti brevi in stile zen. I poeti-minimalisti si sono concentrati su termini isolati o frasi, talvolta distribuendoli sulla pagina in maniera tale da creare l’effetto più inaspettato. Erano minimalisti non perché non avevano molto da dire; al contrario, portavano al lettore ciò che ufficiosamente veniva silenziato. Come si espresse Kandinskij, “persino il silenzio assoluto è eloquente”. Ho cercato testi simili per la mia antologia.

     

Pur rinunciando alla rima, resta molto nella lingua a condizionare le possibilità di ritmo, di accostamenti lessicali, la sintesi ricercata. Secondo lei, un testo breve fa emergere questo aspetto in maniera più intensa? 

Il significato della rima nella tradizionale poesia sillabo-tonica russa è stato enorme. La rima dava al testo la sua musicalità e ne rendeva più facile la ricezione, oltre a definire le strofe. Una questione diversa è se abbia un senso scrivere una poesia classica, rimata, nello spirito di fin de siècle oggi, nel ventunesimo secolo: il tempo è cambiato, chiede una poesia diversa. Io non vedo nulla di grave nelle rime imprecise, se se ne fa un uso intelligente. Per quanto una rima possa essere inusuale, il risultato giustifica il mezzo. Emily Dickinson, maestra della rima imprecisa, ha influito sullo sviluppo della poesia anglofona come pochi altri. E anche le rime sporadiche, approssimative, nelle originali ‘Metamorfosi’ di Ovidio generano un effetto molto più intenso dei testi dove la rima scorre prevedibilmente.
Scrivere in verso libero è molto difficile. T. S. Eliott si espresse così in proposito: “Un autore di verso libero è libero in tutto, se escludiamo la necessità di scrivere buona poesia”. E più il testo è breve, più è difficile raggiungere la perfezione. Per non parlare di forme ‘rigide’, come è il haiku.

       

A proposito del haiku. Che cosa offre a lei, come poeta, l’uso di questa forma? Che cosa vi cerca in questo momento della sua ricerca creativa?

All’inizio degli anni ’90 ho parlato molto dell’haiku con Vera Nikolaevna Markova: lei aveva tradotto Bashō e altri classici e dell’haiku sapeva tutto; io ho imparato molto da lei. Ecco, lei mi disse: “Non pensi nemmeno di scrivere haiku in lingua russa, impari il giapponese e scriva in giapponese”. Non ho imparato il giapponese, ma ho cominciato a scrivere haiku in inglese quindici anni fa e lo faccio tutt’ora; ho pubblicato ormai tre libri di haiku. Ma in russo non posso farlo: mi sembra terribilmente complesso. Scrivere haiku in inglese è più facile. Ma la ricerca è sempre la stessa: la perfezione.

*

       

Di seguito trovate una selezione di poesie con traduzione:

    

A Flood After the Flood

The word for world is water.
O calculating hands!
In the wake of the raven,
waves of dovetailing ravage the sky.
The captain’s books have become traps
for the bees of your tilted eyesight.

Which of your “you” has time for you?

The Earth is sweating, sick to its stomach;
karma shimmers and hisses.
Of the two abysses, entrust your body
to the deepest –
and your spirit will buzz
like a fly in your fist.

    

Il Diluvio dopo il Diluvio

Una parola per il mondo è acqua.
Oh, mani calcolatrici!
Sulla scia del corvo,
onde a incastro devastano il cielo.
I diari di bordo sono diventati trappole
per le api nel vostro sguardo capovolto.

Quale dei vostri ‘voi’ ha tempo per voi?

La Terra suda, è nauseata;
Il karma abbaglia e fischia.
Dei due abbissi, consegnate il vostro corpo
al più profondo:
e il vostro spirito ronzerà
come una mosca nel pugno.

*

Poem for Ciaran O’Driscoll

Surrealism, being a tower,
found itself in the tower. Something
was sticking out. A flagon of sense,
or aconspiracy of the snake & the staff.
Harmony is a potion of sanity. Dreams go
non compos mentis. 

Motion is the great mist. The way it speaks.
Penetrates. In the greenwoods
of Gnosis,reciprocal vision is crisp,
postnatally patched with some
persevering substance.

The world dismembers disasters.
The moat separates day from night.
The movable bridge is a clown.
The tower yet again
finds itself in a tower.

    

Poema per Ciaran O’Driscoll

Il surrealismo, essendo una torre,
si trovò dentro una torre. Qualcosa
sporgeva. Una bandiera di significato
o una cospirazione del serpente & suo staff.
L’armonia è una porzione di sanità. I sogni vanno
non compos mentis.

Il moto è la grande nebbia. Nel modo in cui parla,
penetra. Nella foresta
della Gnosis, la visione reciproca è crespa,
rattoppata, dopo la nascita,
con una sostanza perseverante.

Il mondo smembra disastri.
Il fossato separa la notte dal giorno.
Il ponte levatoio è un pagliaccio.
E la torre, ancora,
si ritrova nella torre.

*

De cavea

Living inside an edible mind cage
is spine-tingling:
every time it cracks
you have your crunchy moment.
The postulate: you eat
what you’ve thought up.
The counter-postulate: you
can be eaten.
At the bottom of your caginess
(oh those glorious drownings!)
there’s an innumerableformic army
seeping through the grey grass,
the telegraph of little hooves
ebbing and flowing.

     

De cavea

La vita nella gabbia commestibile della mente
è da pelle d’oca:
ogni volta che scrocchia
arriva il momento croccante.
Il postulato: mangi
ciò che hai ideato.
Il contro-postulato: tu
puoi essere mangiato.
Sul fondo della tua gabbietà
(oh, gloriosi annegamenti!)
c’è un’enorme armata formica
che filtra attraverso l’erba grigia,
il telegrafo di piccoli zoccoli
che gocciolano e defluiscono.

*

Tibet

The distance that wants to drink
your want;
droplets of birds’ blood…
In a few tomorrows’ time
we’ll add them to the roster.

Smaller than five-terraced mountains
but larger than perennial darkness;
red as Uzbekistan.
Why, what and how?

Phantom is a phantom is a cold kiss.
Tomorrow is a dead man’s word.

Half-night, half-resurrection.
And the valleys
digging indigo.

     

Tibet

La distanza che vuole bere
è ciò he vuoi;
piccole gocce di sangue d’uccello…
nel giro di pochi domani
le aggiungeremo alla lista.

Più piccola delle montagne a schiera da cinque
più ampia del buio perenne;
rossa come l’Uzbekistan.
Perché, che cosa e come?

Lo spettro è uno spettro è un bacio freddo.
Domani è la parola di un uomo morto.

Per metà notte, per metà ressurezione.
Mentre le valli
scavano l’indaco.

*

Alexander

The winged dignity of a horse!
Window panes are thickening; memories
don’t trickle down here anymore.
There was no occasion for geodesy,
but you just couldn’t sit in a seat,
Odysseus perturbed by a mountain,
pursuing every sanguine sunrise.
Time was so well placed!
This was not past the future,
but the map ends where you stand
and nothing stands where you’ll end.

     

Alessandro

La dignità alata di un cavallo!
Gli oblò si inspessiscono; le memorie
non scolano più qui.
Non ci fu occasione per la geodesia,
ma non potevi restartene sulla sedia,
Odisseo turbato da una montagna,
inseguendo ogni alba sanguigna.
Il tempo era così ben collocato!
Non era  di fronte al futuro,
ma la mappa termina dove tu sei
e niente resta dove tu finisci.

*