Il pensiero emotivo di Carlo Giacobbi | Nota di lettura su <<Tutte le cose che chiudono gli occhi>> di Annalisa Ciampalini, peQuod, 2022.
Nell’opera in commento, Annalisa Ciampalini, ci consegna una visione olistica del mondo, concepito, quest’ultimo, quale tutto commixtus, mescolato, dove le entità, per quanto fisicamente distinte, non si pongono in rapporto di giustapposizione ma di complementarietà (p. 11, <<I nostri corpi complementari>>).
La coincidentia oppositorum, la reductio ad unum sono leitmotiv che informano l’intera silloge: l’inizio e la fine si confondono (p. 26), i <<poli opposti si avvicinano>> (p. 55), i soggetti crescono <<l’uno dentro l’altro / fino a coincidere>> (p. 69), sicché il focus dell’io-lirico è diretto su di un reale che è sempre esito d’una <<interazione>> (p. 70), d’una co-essenza, d’una con-divisione (La stanza condivisa, p. 47) integrativa del noi, della <<prima persona plurale>> (p. 27).
La poetica della Ciampalini sembra recuperare la dottrina del polemos eracliteo, o la teoria degli <<opposti complementari>> di William Blake, secondo il quale, i contrari, si pongono in termini di dualismo necessario, funzionale allo sviluppo dinamico della persona che è insieme corpo e spirito.
Ne è prova il fatto che spesso i componimenti sono percorsi da evidenti tensioni o contrasti dialettici (p. 11, <<il tuo chiarore / la mia esile oscurità>>; p. 29, <<tutto ciò che respira / (…) vive nella tensione del presente / da me discorde>>) o da stati emozionali in cui si alternano gli inverni dell’animo (p. 17, <<L’inverno sarà qui tra poco /(…) la morsa del gelo>>) alle relative estati (p. 45, <<Cresce il corpo dell’estate / l’alto richiamo del sole>>), sicché la Nostra realizza <<Quel vivo contrasto di passioni e di sentimenti, quella mescolanza di dolore e di gioia che […] moltiplica le forze, e cagiona nell’animo de’ lettori una tempesta, un impeto, un quasi gorgogliamento di passioni>> di cui scriveva Leopardi nello Zibaldone.
La pronuncia oscilla tra clausure (p. 14, <<I miei sono luoghi piccolissimi>>) e dischiusure (p. 16, <<C’è fuori un luogo vasto (…) / spazi allungati>>); tra alto (p. 28, <<Sale piano (…) / (…) approda a un’eterna sospensione>> e basso (p. 49, <<dalle rovine dei piani più bassi>>; p. 75, <<alle case basse, ai sotterranei nelle notti di gelo>>), tra presenza e assenza (p. 56, <<C’è sempre qualcuno che, passando, oscura>>), tra movimento-mutamento (p. 68, Cinematica) e stato inerziale (p. 69, Statica).
L’eloquio è spesso declinato in forma orante; la preghiera è nominazione dell’altro (p. 20, <<La mia preghiera è il tuo nome / pronunciato chiaramente>>), è direzionare il pensiero <<che su di te si ferma>> (ibidem), quasi a voler intendere che già il pronunciare consapevolmente il nome di chi si ama, già il pensare l’altro, sono modalità attraverso le quali l’io rende presente a se stesso l’alterità, vi entra in rapporto, in dialogo.
Il macrotesto si articola in cinque sezioni. I referenti paratestuali (titolo dell’opera, delle sezioni, eserghi) sono già indicativi dell’intentio lirica della poetessa, la quale muove dal topic della morte-abbandono (Tutte le cose che chiudono gli occhi) a quello della consapevolezza di dover restituire l’esistenza (Stagioni in prestito); dal thema dell’ontologia del tempo tanto cronologico quanto cairologico (Forme del tempo) a quello d’uno spazio riconosciuto come intimo, id est <<Il fiume>> (p. 46), correlativo oggettivo del pantha rei (Il posto); dall’argomento dell’esigenza d’un locus di mutua assistenza tra gli uomini (La stanza condivisa), fino al transito esistenziale dell’homo viator (Viaggi).
Il corpus lirico è iterativo di forme pronominali, quali qualcuno e qualcosa, indicative di presenze approssimative, labili, non compiutamente decifrabili dall’autrice e tuttavia avvertite come prossime, circostanti o abitanti la sfera emotiva (p. 13, <<C’è sempre qualcuno / nel punto immobile del fuoco>>; p. 31, <<Qualcosa avanza nel cortile>>; p. 37, <<qualcosa stava accadendo>>; p. 41, <<(…) qualcosa accadeva>>).
Un aliquis o un aliquid che quasi vengono interpellati con tono invocativo (p. 25, <<[Oh] Visita, che scendi fino a questi piani bassi, / quanta fatica trattenerti fino a sera!>>) o – per dirla con Jakobson – conativo, volto cioè ad ottenere un risultato pratico su persone o cose (p. 12, <<Rendi caldo il mio posto liquido / infondi l’idea del grano>>).
Una poetica – sempre stando a Leopardi – che assume a cifra stilistica quei caratteri di vaghezza ed indefinitività che il poeta di Recanati elevava a criteri valutativi della <<vera poesia>>, quella, cioè, che riempie l’animo <<d’idee vaghe ed indefinite e vastissime>>.
Ed infatti, le figure dell’umano, pure centrali nelle liriche della Nostra, sono sempre sfumate, rarefatte; il tu cui si rivolge l’autrice è sempre anonimo ed indeterminato; l’io-lirico sembra sospeso in una zona limbicola o liminare, in aspettazione (p. 28) di un’epifania che mai giunge a farsi scena (p. 53, <<in attesa che un destino li raggiunga / e si compia>>).
Sovente, i sintagmi, rimandano all’idea d’un vanire soporifero (p. 14, <<Mi assopisco>>; p. 65, <<Il ronzio diffuso nella cabina, il blu pallido / degli schermi accesi / invogliano al sonno>>), d’una volontà di fiducioso abbandono (p. 38, <<desiderio di resa>>), di esalazione dell’essere (p. 43, <<Il fiume esala corrente>>), di quasi vaporizzazione richiamata dall’<<arioso fluire>> di p. 43 cit.
La vaghezza di cui s’è detto è funzionale a rendere in termini necessariamente approssimativi – poiché mai compiutamente definibili – i moti dello spirito.
Che nella specie si sia in presenza d’una poesia “spirituale” è suggerito: a) da signa evocativi della trascendenza (p. 12, <<l’impasto che poi sarà pane>> con tutte le valenze simbolico-sacramentali attribuibili all’elemento in questione; p. 21, <<È una preghiera che guarda e ricorda>>; p. 42, <<custodire l’idea di qualcosa / che risorge e che resta>>; p. 58, <<La luce sulla soglia / è promessa di futuro>>, etc.); b) dalla profonda humanitas rinvenibile nei versi di La stanza condivisa (p. 47 e ss.) ove – pare intendere – che la salvezza risieda nella sympatheia, nel patire insieme, nella cura vicendevole.
Poesia “spirituale” s’è detto, ma – tornando a Blake – anche visionaria. I versi della Ciampalini sono esito d’un non comune talento immaginativo; la stessa riesce ad elaborare figurazioni che attingono dal repertorio dell’inconscio, dell’irrazionale, del sovrasensibile, così realizzando – come affermava Leo Spitzer – quell’<<allontanamento dal linguaggio usuale [che] è indizio di uno stato psichico inconsueto>>, di quell’alterazione emotiva che induce a far uso del connotativo, del figurato (cfr., a titolo esemplificativo, p. 15, <<Uccelli dal cuore metallico>>; p. 40, <<sopra un cielo fluviale>>; p. 56, <<i corpi di tutti splendevano come alberi chiari>>; p. 68, <<Un punto materiale / che accende molecole d’aria>>, etc.).
A livello formale, in aderenza al versoliberismo della poesia contemporanea, la Ciampalini utilizza forme compositive – per così dire – solute, sciolte dalla normatività della prosodia; la forma, con le sue quantità sillabiche precostituite, non è più pattern o paradigma a priori; le estensioni versali sono esito del ritmo, della cadenza che la Nostra imprime al dettato, sicché – per chiamare in causa il formalista russo Osip Brik – l’impulso ritmico è svincolato dalle leggi della metrica e, dunque, le misure non possono essere costanti.
L’Autrice, con <<Tutte le cose che chiudono gli occhi>>, ci consegna un’opera matura, caratterizzata da coesione tematica e uniformità stilistica, dalla versificazione asciutta, nettata da ridondanze verbo-nominali o aggettivali, frutto d’un accurato labor limae, d’un procedere cioè per sottrazione, che, tuttavia, mai priva la pronuncia della sua intentio comunicativa, di quell’audacia di dire che – ci sembra di poter affermare senza tema di smentita – assurge a cifra distintiva del facere poetico della Nostra valente poetessa.
Annalisa Ciampalini è nata a Firenze nel 1968. Ama da sempre la poesia e la matematica, la musica e la natura. Nel 2008 ha pubblicato la raccolta “L’istante si dilata” con Ibiskos Editrice, nel 2014 la raccolta “L’assenza” edita da Ladolfi Editore. Nel 2018 pubblica “Le distrazioni del viaggio” con Samuele editore, libro tradotto in spagnolo da Antonio Nazzaro. Suoi contributi appaiono su diverse antologie edite da Fara editore. Insieme a Giancarlo Stoccoro ha contribuito al libro Pierino Porcospino e l’analista selvaggio (ADV Publishing House 2016) volume che raccoglie testi di diversi autori.
02/05/2022 alle 17:40
Poesie molto belle. Grazie.
Elisabeth Ferrero
12/05/2022 alle 14:27
Grazie di cuore per l’attenzione.