Circles di Virginia Farina | “Poesie di luce”, lì da dove vediamo. Dialogo con Sabrina Giarratana

 

Venuti alla luce

E un giorno siamo venuti alla luce
Dopo quel viaggio, che è stato veloce
Tu sei venuto alla luce su un ramo
Io in una casa, che è poco lontano
E chissà in quanti eravamo quel giorno
Tutti a venire alla luce qui intorno
Lepri e bambini e picchi e ranocchi
Tutti a incontrare la luce negli occhi
Chissà nel mondo, quanti erano in festa
Quando ci penso mi gira la testa.

 

Ci sono poesie che ci raggiungono come impressioni luminose, che si posano sulla carta per illuminare tutto intorno. E noi che le guardiamo dobbiamo stringere un pochino gli occhi per poterle davvero vedere.

Tutto attraversa la luce, tutto tesse, tutto nutre e rivela. Dove c’è luce c’è calore, tepore, affettività, accoglienza. Perché nella luce ogni cosa posso vedere, riconoscere, nutrire, in un processo simile a quello delle foglie. Perché non c’è vita senza luce. Ed è questa la luce che passa dalle pagine di questo libro, illuminando in due direzioni chi guarda e ciò che viene guardato. E’ la luce delle piccole cose: quella del pulviscolo, quella dei capelli che profumano al sole, quella che ci attraversa in certi giorni di vento, o che ci disegna nel profilo delle finestre assolate, quella che tratteniamo al mattino come l’impronta negli occhi di certi sogni, e quelle che sono tracce dei morti, che seguiamo sul limite incerto del nostro visivo.

La parola di Sabrina canta l’esserci al mondo, che inizia proprio venendo alla luce e prosegue attraverso tutti i nostri tentativi di ritrovarci. Anche nel buio, anche quando non “vediamo più”, e abbiamo il corpo per riconoscerci, le mani, i piedi, per ritornare a farci vicini, e piccoli, anche quando l’orizzonte sembra contrarsi a dismisura.

La poesia di queste pagine è sonora, sapiente, fa musica delle parole e delle sue frasi, ora ariose come un unico respiro, ora ritmate, come una conta, come una rincorsa. Si vuole far leggere, questa poesia, ad alta voce, per toccare orecchie bambine e orecchie adulte, per accendersi dentro, e ricreare paesaggi, impressioni nuove, quasi rimandando le meravigliose visioni che Sonia Maria Luce Possentini ha lasciato emergere dalle sue matite. Perché visione, suono e parola sono così intimamente legati in questo libro da sembrare differenti aspetti di uno stesso fenomeno. Ricordandoci, infine, che la poesia stessa è luce, piccola, misteriosa, eppure ostinata, come quella candela che pure con il suo fumo sottile potrà ancora orientarci quando anche le stelle si saranno spente.

 

La candela del poeta

Quando le stelle saranno spente
Quando dal sole non verrà più niente
Quando nel buio più buio del mondo
Con gli occhi aperti io toccherò il fondo
Quando dei mostri avrò più paura
E dentro me non vedrò più la cura
Ci sarà un filo di fumo sottile
A trasportarmi, ma senza una meta
Sarà il mio volo fuori prigione
La candela del poeta.  

 

Che cos’è per te la poesia?

La poesia per me è una grande domanda: una domanda di attenzione, una domanda di presenza, una domanda di ascolto.

Scrivere è il mio tentativo non di dare una risposta, ma di dire: eccomi, sono qui, sono parte e testimonianza viva, soprattutto a me stessa, della meravigliosa domanda.

So già che ogni mio tentativo di risposta riuscirà a dire forse, se sarò molto fortunata, soltanto una infinitesima parte del mistero in cui sento di essere compresa.

Molti poeti hanno tentato di dare la loro risposta a questa domanda. La poesia è un dono fatto agli attenti, un dono che implica destino, ha scritto Paul Celan. Non si sa cosa sia la poesia. Si sa soltanto che è dare il proprio sangue agli angeli che passano, ha scritto Christian Bobin. Un po’ di tempo fa, in un’intervista di Grazia Calanna per l’EstroVerso, ho risposto con queste parole: la poesia è lo strumento più potente che ha la parola per esprimersi ed è anche la rivelazione più evidente dell’impotenza della parola di fronte al mistero della nostra esistenza. Solo nel silenzio, nell’ammutolirsi della parola, possiamo abbracciare il mistero. Nei silenzi della poesia il mistero trova i suoi spazi, il suo respiro, e nelle parole della poesia trova la sua trasparenza, i segni della sua quotidiana presenza in noi e nelle più piccole cose che ci circondano.

La vita ha un significato che ci sfugge e la poesia è il tentativo di dare rilievo al mistero attraverso la parola: perché tutte le immagini portano scritto:/ “più in là”, come scrive Eugenio Montale nei versi finali della poesia Maestrale. Ecco, la poesia tenta di portarci più in là.

Per me la poesia è gratitudine, anche. E’ uno scambio di doni. Ed è un’àncora, a volte, un salvavita. E’ un riemergere dal buio per tornare alla luce attraverso la parola, attraverso la voce. A volte la voce è la mia, allora scrivo per vedere dove mi porta. Se da qualche parte o da nessuna parte. Altre volte la voce è quella dei poeti che amo di più, che trovo nei libri che leggo e rileggo e che sento risuonare dentro di me.

Se un bambino o una bambina ti chiedessero chi è un o una poeta, cosa gli risponderesti?

Direi che, molto prima di essere uno scrittore o una scrittrice di poesie, è qualcuno che si mette in ascolto. E che guarda. Il suo guardare e ascoltare non è distratto ma è attento, è presente, è generoso. E’ un donarsi sapendo di ricevere dei doni molto più grandi. E’ qualcuno che passa molto, molto tempo a prestare attenzione e orecchio, a prendersi cura delle cose che guarda, con viva partecipazione. Poi, un giorno, le voci che ha ascoltato nel mondo e dentro di sé, e le cose che ha visto, e gli odori che ha annusato, e le cose che ha toccato, e le emozioni che ha provato, piano piano cominciano a farsi sentire, cominciano a bussare alle sue orecchie e alla sua immaginazione, a dirgli e a mostrargli delle cose. A suggerirgli delle parole, dei versi. Allora comincia a prendersi cura di quelle parole, di quei versi. Come fossero anche loro dei doni inattesi e preziosi. Può accadere durante l’infanzia, o durante l’adolescenza o la giovinezza, oppure in età adulta o addirittura nella vecchiaia. Non c’è un’età giusta per iniziare a scrivere versi e poesie. Direi che è qualcuno che ogni giorno cerca di fare vuoto e silenzio dentro di sé per accogliere proprio queste voci e queste immagini. A volte le accoglie da ciò che ha intorno, a volte le accoglie dalla sua memoria. E’ qualcuno che spesso mantiene lo sguardo meravigliato che aveva nell’infanzia, perché facendo vuoto e silenzio dentro di sé per accogliere è come se ogni giorno venisse al mondo di nuovo per guardare le cose per la prima volta, per sorprendersi ancora e ancora. E poi direi che esistono tantissimi tipi di poeti, con tante voci diverse quanti sono i loro caratteri e i loro modi di vedere il mondo, e che tutti sono stati bambini. E quasi tutti da bambini- tranne rarissime eccezioni- non immaginavano che da grandi sarebbero diventati poeti. Direi che un poeta o una poeta a volte può diventare anche un’amicizia molto molto preziosa attraverso le poesie e i libri che scrive. A volte diventa il migliore amico o la migliore amica di tante persone che nemmeno conosce.

 

 

 

Esiste per te una “letteratura per l’infanzia”? Se sì, come la definiresti?

Per me la letteratura per l’infanzia è letteratura, ma con qualcosa in più di incredibilmente affascinante: il mondo delle figure, che si accompagnano alle parole, che amplificano e moltiplicano le possibilità dell’esperienza della lettura. C’è un pregiudizio diffuso che consiste nell’idea che la letteratura per l’infanzia sia invece una “letteratura minore”, anzi che non sia proprio letteratura. Quest’idea nasce da un altro pregiudizio diffuso, e cioè che sia più facile fare libri per bambini che per adulti. Questo non è assolutamente vero e oltre a essere svilente per la letteratura stessa è svilente per il bambino. Penso che la letteratura per l’infanzia abbia una grande responsabilità: quella di non scendere di livello e di non rinunciare alla sua qualità artistica per comunicare con il bambino- cosa che, purtroppo, a volte fa-, ma al contrario di innalzarsi al suo livello, alla sua sensibilità, interpretando il suo naturale senso artistico, il suo continuo farsi grandissime domande, la sua libertà di visione. Nadia Terranova, nel suo prezioso saggio “Un’idea di infanzia. Libri, bambini e altra letteratura” (Italo Svevo 2019) scrive: “la letteratura per ragazzi è come il primo amore: dà alla maggior parte dei lettori e degli scrittori l’impronta originale del sentimento, indica la strada, ma poi diventa invisibile. Se chiedi a uno scrittore quali siano i libri della vita, quasi sempre dimenticherà di citare L’isola del tesoro o Piccole donne, vantandosi di letture più recenti: in realtà è grazie a quei capisaldi che è nato, per molti di noi, l’amore per la letteratura.” Ecco, la letteratura per l’infanzia per me è quella che fa nascere l’amore per la letteratura. E, sempre per citare Nadia Terranova, “gli adulti che non hanno smesso di leggerla sono esseri umani più liberi degli altri: hanno meno barriere, non hanno paura di essere etichettati né di etichettarsi.

 

C’è una o più poesie del tuo libro “Poesie di luce” che ti è particolarmente cara? Quale?

La poesia che mi è più cara è “Una luce bambina”, dedicata a mio fratello Daniele, che è morto nel 2014, dopo un lungo periodo di malattia.

Hai una luce bambina negli occhi
Che non cambia se passano gli anni
Io la vedo al di là degli specchi
E’ una luce al di là degli inganni
Con te un ladro si sarebbe arreso
Con te un diavolo sarebbe santo
E’ una luce bambina nel riso
E’ una luce bambina nel pianto
E’ una luce al di là degli inganni
Che non cambia se passano gli anni.

E poi mi è molto cara “Luce di polvere”. E’ una poesia che mi riporta a quegli anni dell’infanzia in cui vivevo in campagna, a quei pomeriggi estivi in cui mio papà faceva una piccola siesta dopo pranzo, e prima avvicinava gli scuri senza chiuderli. Allora io mi mettevo accanto a lui mentre dormiva e osservavo quel piccolo spiraglio di luce che si faceva spazio tra gli scuri e illuminava debolmente la stanza, e scorgevo dei piccolissimi granelli di polvere che mi apparivano come ospiti venuti a trovarmi e a parlarmi da un’altra dimensione.

Luce di polvere, immobile danza
Luce del tempo nella mia stanza
E nei granelli che brillano in aria
Io leggo scritti millenni di storia
Uomini e donne di polvere viva
Nati dal nulla e venuti a riva
Sono tornati da un tempo lontano
Se erano in guerra, ora sono per mano
La stanza in ombra li osserva arresa
Granelli umani di luce sospesa.

 

 

C’è un verso solo che ci vuoi lasciare per concludere questa piccola intervista?

Vi ringrazio per l’accoglienza, per il dono di avermi ospitata in questo luogo prezioso di incontro di poesia e di voci poetiche e vi lascio con queste parole a cui sono molto affezionata. Sono di Leonard Cohen, e le ho dedicate spesso ai miei piccoli e grandi lettori di questo libro.

C’è una crepa in ogni cosa.
Ed è da lì che entra la luce.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Poesie di Luce, di Sabrina Giarratana
illustrazioni di Sonia Maria Luce Possentini
Edizioni Motta Junior, prossimamente in uscita la nuova edizione Giunti