Angoli di poesia di Luca Ariano | Roberto Rebora, Poesie (1932-1991), Mimesis, 2021

 

A quasi vent’anni dalla morte (Febbraio 1992), esce per Mimesis, nella collana “La nuova Rosminiana”, l’opera omnia poetica di Roberto Rebora, Poesie (1932-1991) a cura del poeta e critico Amedeo Anelli che, nella sua puntuale Introduzione, traccia tutto il percorso del poeta milanese, (ma di origini lodigiane come ben spiegato nella nota biografica) nipote del più famoso Clemente Rebora. Il volume è impreziosito dalla Prefazione di Luisa Cozzi e da un’Appendice che comprende un’intervista di Piero Lotito, due interventi di Guido Oldani e un saggio di Lucia Geremia, mentre la copertina è stata realizzata dall’artista milanese Simonetta Ferrante. Quando morì, in un articolo sul “Corriere della sera” il critico Carlo Bo così lo definì: “Se n’è andato il poeta più puro dell’Italia di questo secolo e anche il più ignorato e dimenticato”. Il critico si riferisce agli ultimi anni della vita di Rebora trascorsi solo e dimenticato usufruendo della Legge Bacchelli solo poche settimane prima della morte. Il volume raccoglie le poesie da Misure (Guanda, 1940) fino ad Altrove (Scheiwiller, 1992) più alcune poesie pubblicate e disperse in riviste e altre inedite.  Oltre che poeta, Rebora fu docente ed un fine critico teatrale e negli Anni Cinquanta venne inserito dal critico Luciano Anceschi nella “Linea Lombarda” che vide distinguersi, tra gli altri, Luciano Erba, Vittorio Sereni, Nelo Risi, Giorgio Orelli e Renzo Modesti. Nella sua Introduzione, Anelli “smonta” alcuni luoghi comuni sulla sua poesia e, con un’analisi lucida e mirata, mette in risalto la poetica di Rebora basata su un forte impianto etico lontano dall’avanguardia e dall’ermetismo in voga nel periodo in cui scriveva, anche se sempre attento alle piccole cose e alle vicende esistenziali. Tra le varie raccolte, spicca Dieci Anni pubblicata nel 1950 per le Edizioni del Piccolo Teatro in cui descrive la vicenda dell’internamento nel Lager nazista di Wietzendorf con Giovannino Guareschi, Enzo Paci e Giuseppe Lazzati dopo l’8 Settembre 1943. Sono poesie struggenti e dolorose che descrivono il vissuto di milioni di persone,: “Della morte lo spazio assopito / scende stamattina sopra il campo / con l’acqua sottilissima d’autunno. […]” (Ogni fine). Poesie datate che ripercorrono, in una sorta di diario in versi, due anni terribili, configurandosi tra le vette raggiunte dal poeta lombardo. La produzione poetica seguente da Il verbo essere (1965) ad Altrove (1992) verrà pubblicata da Schewiller. Il verbo essere può essere considerata una raccolta di svolta nella sua produzione, come sottolinea Anelli, così come fu Gli strumenti umani per Sereni: “È una vita di pochi giorni / l’ho incontrata sul filo dell’aria / svoltando da una piazza solitaria / in Misterioso semplicemente / mentre l’aria lo stava pulendo / lungo le pietre risalendo / con una gioia repente. […]” (Verità?) Nelle raccolte seguenti, oltre alla Storia, protagonisti diventano sia il trascorrere del tempo che delle stagioni, mentre, come scrive Anelli, negli ultimi anni la sua poesia si fa essenziale, diretta: “Un nome che si avventura / tra le foglie e si districa / via nello spazio // una storia di verbi / di qualche aggettivo / di attese / una voce sola / che accarezza e non cede. (Appunto 2) Numerose le affinità che vengono messe in risalto nell’opera di Rebora, in primis con Ungaretti per le poesie dedicate al periodo della guerra, ma anche con Sandro Penna, Giampiero Neri e Vittorio Sereni. Questo volume aiuta sicuramente a riscoprire e a definire un autore troppo a lungo dimenticato o catalogato frettolosamente come minore della “Linea Lombarda.” “Fra tanti poeti che hanno visto consacrata la loro opera completa in edizioni solenni, Rebora non è mai stato accolto da un vero e grande editore.” (Carlo Bo). In questa rivalutazione, oltre naturalmente alla rilettura dei testi, un ruolo importante svolge il saggio di Amedeo Anelli e ci auguriamo che Rebora venga riletto e finalmente collocato nel posto che merita.

 

 

Aiuto

 

Aiuto aiutare aiutato
qualcuno mi…
non credo che i richiami
abbiano voce

aiuterò (sarò aiutato)
con il muto pensiero
dentro la mano
che sostiene o accarezza

l’aiuto non ha sillabe
lo si coglie con gli occhi
stupisce a volte
apparendo in una pietra striata
che ferma ciò che per un attimo
è sembrato svanire
nella nebbia infida.

 

 

Verità?

 

È una vita di pochi giorni
l’ho incontrata sul filo dell’aria
svoltando da una piazza solitaria
in un vicolo di misteri.
Misterioso semplicemente
mentre l’aria lo stava pulendo
lungo le pietre risalendo
con una gioia repente.

 

Non c’era nessuno nel vicolo
la gente si era dispersa
ma quell’aria non era persa
che nasceva con tanto impeto.
Era un vicolo misterioso
perché la vita vi appariva
era deserto e non moriva
accanto al mondo furioso.

 

Su quelle pietre voglio passare
e godere l’aria fina
non c’è bisogno di scrutare
il nero specchio dell’indovina.

 

L’indovina non vede nulla
solo un’immagine indecorosa
la sua bocca polverosa
definitivamente murata.

 

 

Fra qualche tempo

 

Fra qualche tempo
ore anni minuti
non sarò neppure
capace di invecchiare
ma quanto
rimarrà in me
non vorrà avere età
per svanire
con qualche vanto
o pianto
di propositi perduti

vorrà forse mostrarsi
con il male ed il bene
da mettere a confronto
e un rimpianto solo
là in fondo
un puntino luminoso
che continuerà a brillare
dentro le ombre.

 

Roberto Rebora (1910-1992), oltre che poeta, è stato narratore, traduttore e critico teatrale. In vita pubblicò otto raccolte di versi e, fra gli altri, il volume Al tempo che la vita era inesplosa. Ricordo di Clemente Rebora (1986). Fra i volumi postumi ricordiamo le Prose disperse, a cura di Sandro Bajini (2003).