A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Todo empezò en el baile de Los Cojos, alcune domande a Juan Vicente Piqueras e tre poesie

 

  • Il tuo libro Padre appare come il romanzo di un’intera vita. È nato con questa prospettiva o per apporti successivi? Una sezione abbastanza ampia era già contenuta in Vigilia di restare.

 

Io non scrivo libri deliberatamente. Non mi dico: Ora scrivo questo libro e mi ci metto. Mai. I libri in me si scrivono pian piano, quasi a mia insaputa. Solo dopo averli scritti me ne accorgo e dico: Ma qua c´è un libro, e raccolgo poesie, le metto insieme, le rielaboro, e solo dopo nasce il libro. Nel caso di Padre, era da molti anni che scrivevo, ogni tanto, quando mi veniva, poesie su di lui. Prima quando era sano, poi quando la malattia, la demenza ha cominciato il suo lavoro devastante, e poi alla sua morte e dopo. Hai ragione ch´è quasi un romanzo, un libro di racconti su di lui e sul mio paese e sui contadini. Ho anche avuto l´idea di metterlo in prosa. Ma alla fine è venuto questo libro di poesie.

 

 

  • Utilizzi una lingua comunicativa, popolare, nell’accezione nobile del termine, accessibile. Si tratta di una modalità espressiva naturale o è una scelta dettata dall’aspirazione di rendere fruibile la poesia a un gran numero di persone?

 

Juan de Mairena, il maestro protagonista del libro omonimo di Antonio Machado, scrive sulla lavagna: Los eventos consuetudinarios que acontecen en la rúa. E poi chiede ai suoi alunni: Scrivete questo in linguaggio poetico.

E un alunno scrive: Lo que pasa en la calle. E Juan de Mairena dice: Bravo!

La tradizione poetica spagnola ha due grandi fiumi: uno colto, elevato,  culterano, aulico, lontano dal parlato ( los eventos consuetudinarios…), e un´altro più chiaro, semplice, quotidiano (lo que pasa en la calle). La mia poesia si muove tra i due ma è più vicina alla semplicità. È non solo una scelta stilistica ma una scelta di vita.

 

  • Leggendo le tue vicende biografiche si direbbe che sei un cittadino del mondo. C’è un luogo della terra che ti ha ispirato in maniera particolare?

 

Io sono allo stesso tempo il contadino che era mio padre, e sono stati tutti i miei antenati, e il fuggiasco che abbandona la sua Itaca e non riesce a ritornare.

Ogni luogo del mondo mi è paese e nessuno lo è. Mi ha ispirato molto Roma, dove ho vissuto per 20 anni,  la Grecia è molto cara al mio cuore, ma anche Algeri, Lisbona ed ora Amman, cioè tutti i luoghi dove ho vissuto. E mi ispirano anche i luoghi dove non sono stato, dove non sarò mai. Ninive, Birmania, Alaska, l´isola di Socotra, che ne sò… tutti posti dove io non ci sarò ma il mio sogno sì. Viaggiare è non solo conoscere ma anche perdere paesi.

 

  • Hai svolto numerosi e disparati lavori, Ce n’è uno che ti ha gratificato e / o ispirato più degli altri?

 

Mi è piaciuto tanto sottotitolare alcuni dei grandi film italiani in spagnolo. Anche tradurre Tonino Guerra, Zavattini, Sabrina Foschini, Ana Blandiana, Cristina Campo… Ma la mia passione è il poema, e quando accade, dopo accaduto, sono molto felice. Ah, e la vendemmia quando ero bambino! Che meraviglia!!!

 

  • Quali sono i tuoi ricordi più antichi rispetto a Los Duques de Requena? è quello il luogo da cui sei fuggito ma dal quale in realtà non sei mai andato via?

Los Duques è il mio paesino dove sono nato e vissuto, senza quasi mai uscire, i miei primi sedici anni di vita. Quindi puoi immaginare quanto sia stato importante per l´uomo che ora sono. Se la patria del poeta (Rilke dixit) è la sua infanzia, la mia patria è lì. I ricordi sono tanti e mi sembrano, ormai, di un altro mondo. Perché senz´altro lo era. È lì che ho cominciato ad amare la vera poesia, quella che non sta nei libri.

 

  • Nel tuo Decalogo della felicità, al punto 9 scrivi: leggere buoni poeti. Quali sono i poeti che consiglieresti?

 

Ma sai, ognuno ha i suoi gusti e le sue debolezze, ed ha avuto i suoi incontri felici. La storia della letteratura non importa tanto quanto la tua storia della letteratura, le tue rivelazioni, le tue devozioni. Per me sono stati molto importanti, che ne sò, Ovidio, Lorca, Pessoa, Quevedo, Lope de Vega, Sor Juana Inés de la Cruz, John Donne, Ibn Hazm, Pavese, Sylvia Plath, Anne Sexton, José Hierro, Vladimir Holan, Wislawa Szymborska, Homero, Cernuda, Borges, Juan Larrea, … e dimentico tanti.

 

  • Un tuo verso dice: Nada es más importante que lo inútil. In questo concetto di inutile è ricompresa anche la poesia?

 

E certo. Le cose inutili sono le più importanti della vita. Le cose che non servono al guadagno, a questa ambizione cieca, questa sete di guadagno, che ha rovinato il mondo. L´amicizia, la neve, la luce di ogni giorno, gli abbracci, le risate con gli amici, le cene in bella compagnia, il mare, l´amore, l´allegria…a cosa servono? Solo a renderci felici, pensa un pò, a niente.

 

copertina

Poesie da Padre, Multimedia Edizioni, 2021, traduzione di Raffaella Marzano

 

 

 

 

 

 

 

 Balli?

 

Vedo un ballo che accadde prima di me,

in bianco e nero, il giorno

della Candelora, le nuvole di fumo,

camicie bianche, una fisarmonica

suona un vecchio pasodoble,

i bambini ballano tra le gambe

dei grandi, musica era il mondo,

un forestiero invita con un gesto

a ballare una ragazza che è bella e non lo sa,

proprio come non sa

dove porterà quel sì che pronuncia

senza parlare, semplicemente chinando la testa,

lasciandosi prendere per la vita.

 

Cominciano a girare come un pianeta

su se stesso, assorti, abbracciati,

intorno alla parola sempre,

sotto la via lattea che balla su di loro.

 

Due angeli di fumo

si formano all’improvviso nell’aria del ballo,

due angeli che hanno

il volto di mia sorella e quello di un bambino

che un giorno sarei stato io e più tardi nessuno.

 

Tutto ebbe inizio al ballo di Los Cojos.

 

Nessuno può sapere dove porterà

una semplice parola, una domanda:

balli?

*

 

 

Il barbiere

 

 

Negli ultimi mesi si guardava allo specchio

e vedeva un intruso. Si arrabbiava con lui.

 

Sei qui un’altra volta? È mai possibile?

vai via da qui immediatamente.

Fuori cialtrone, gli diceva.

 

Era un dispiacere per lui e per noi,

ogni volta che doveva andare in bagno.

Bisognava tirarlo con il braccio, convincerlo,

di cosa?

 

È diventato lui il padrone,  diceva,

chi gli ha dato le chiavi?

 

Poco a poco quello dello specchio fu uno in più in casa.

Lo chiamava il barbiere.

 

Invano gli dicevamo che quell’uomo era lui.

Io non ci ho mai provato perché sapevo

che quell’uomo era un altro,

che nel suo delirio aveva ragione.

 

Poco a poco ci rassegnammo

all’invasione del barbiere.

 

Una notte uscendo dal bagno lasciò la luce accesa.

Quando mia madre gli disse: Hai lasciato la luce accesa, lui rispose:

Lasciala, c’è lui dentro, che ci vuoi fare.

 

Mio padre aveva capito che il barbiere, l’intruso,

era venuto per portarselo via.

 

Ora gli sta facendo la barba in quel salone

che c’è sempre dall’altro lato dello specchio.

 

E da lì mi guardano, mi sorridono,

mi aspettano.

*

 

 

Poesie da: Vigilia di restare, Multimedia edizioni, traduzione di Raffaella Marzano:

 

 

 

 

 

 

 

 

TRASLOCHI SOCIETA’ ANONIMA

 

Sono una tribù strana dispersa per il mondo

perché spostano il mondo.

Portano mondi da una lingua all’altra.

Ecco il loro mestiere.

Fanno nevicare in arabo,

cambiano il nome al mare,

portano cammelli dal Sahara in Svezia,

fanno sì che don Chisciotte cavalchi Ronzinante

dalla Mancha alla Manciuria.

Fanno cose strane, pressappoco impossibili.

Dicono nella propria lingua

cose che mai quella lingua aveva detto prima,

cose che nemmeno sapeva di poter dire.

Sono nati da un crollo, accaduto a Babele,

e da un sogno: che un giorno

le anime oggi agli antipodi,

si conoscano, si capiscano e si amino.

Sono una tribù muta:

danno la loro voce ad altre voci.

Sono diventati invisibili a forza d’umiltà.

Per secoli il loro lavoro fu anonimo.

Loro che vivono di nomi e tra i nomi,

non avevano un nome.

Nella liturgia della letteratura

vengono trattati come chierichetti.

Sono invece pontefici: quelli che tendono i ponti

tra le isole di lingue lontane, quelli che sanno

che tutte le lingue sono straniere,

che tutto tra noi è traduzione.

Sono una tribù strana sparsa per il mondo

perché stanno spostando il mondo,

perché stanno salvando il mondo.

*

 


Juan Vicente Piqueras è nato a Los Duques de Requena (Valencia) e ha pubblicato il suo primo libro, Tentativas de un heroe derrotado, nel 1985. Laureato in filolofia spagnola all’università di Valencia, ha lasciato presto la Spagna e ha vissuto in Francia, Italia, Grecia, Algeria, Portogallo. Lavora per l’Istituto Cervantes e attualmente vive ad Amman, Giordania. In Italia ha pubblicato Mele di mare (2003), Palme (2005) e Braci (2010).
Ha tradotto in spagnolo poesie di Tonino Guerra, Elisa Biagini, Cesare Zavattini, Izet Sarajlic, Ana Blandiana, Marguerite Yourcenar, Simone Weil, Kostas Vrachnòs e Sabrina Foschini. Ha ricevuto numerosi premi di poesia. Con Multimedia edizione ha pubblicato Vigilia di restare, e Padre.