A tentoni nel buio di Paolo Polvani | La vita che ignori, alcune domande a Marco Pelliccioli a proposito de Il sogno del pesce gatto (Stampa 2009)
1) Per vivere, a volte, basta un pesce gatto. Come interpretare questo verso? Significa che la fantasia è più forte della realtà? che una vita immaginata può risultare più soddisfacente di quella che viviamo ogni giorno? che immaginare ha una funzione terapeutica e salva la vita?
Dal mio primo libro, C’è Nunzia in cortile (LietoColle, 2014), ho sempre dato ampio spazio a correlativi oggettivi, per lo più umani, che catturavano la mia attenzione. Parlo di personaggi, reali o inventati, coi quali avvertivo un legame
profondo. A partire da questa plaquette è accaduto qualcosa di diverso. Il mio sguardo si è spostato sulla realtà animale (il pesce gatto, appunto, il cammello) o vegetale (la gardenia, la magnolia), approdando a una dimensione alternativa, sospesa tra sogno e immaginazione, in grado di suggerirmi uno sguardo nuovo sulla condizione comune dell’uomo contemporaneo.
2) Scrive Maurizio Cucchi nella prefazione: “Eccoci allora di fronte a una serie, coinvolgente nella sua complessità, spesso parzialmente insondabile, di apparizioni multiformi, dove l’esserci umano viene a occupare la scena accanto ad altre figure, a presenze del mondo vegetale e animale, in una sorta di suggestiva e sempre attiva apertura di senso”. Ora la mia domanda è: si tratta solo di una serie di apparizioni multiformi? o esiste una parvenza di progetto? un embrione di assetto narrativo?
Ho sempre creduto che un libro di poesia possa avere una dimensione narrativa, tale da intessere i suoi diversi componimenti in un unico corpo. E questo può avvenire anche nel caso di una plaquette. I refrain del pesce gatto vanno in questa direzione, così come la composizione poematica di diversi testi: Il sogno, Ritratti e variazioni, La gardenia. Allo stesso tempo, devo ammettere che la maggior parte delle poesie sono nate in maniera del tutto accidentale, improvvisa. Senza nessuna premeditazione. In molti casi, il verso ha preceduto il pensiero, è arrivato prima. Non sempre mi era chiaro cosa avessi scritto alla fine di un componimento, e questa opacità domina tutt’ora. Eppure, mi riguarda, anzi, ci riguarda. Le apparizioni multiformi cui accenni, in questo senso, hanno avuto un ruolo essenziale.
3) L’improvviso spostarsi in ospedale, dove il verde del reparto non è il verde delle foglie, e quei versi finali, fulminanti: “Io resto, amore / come radici che non sanno / abitare altrove”. Tutto molto bello, ma non è facile immaginare una parentela col pesce gatto, e soprattutto non sospettare lo scheletro di un impianto narrativo.
La malattia è un tema che ho affrontato anche nell’ultimo libro, L’inganno della superficie (Stampa2009, 2019). Ed è un tema probabilmente inevitabile se si vuole riflettere sulla condizione comune dell’uomo contemporaneo. Fa parte della nostra esistenza, è ineludibile, come la morte. Ma non per questo deve compromettere la nostra adesione alla vita, l’amore verso il creato e le persone a noi più care. Richiede voce, accettazione, testimonianza. Non necessariamente fuga o rimozione. I versi che citi dicono appunto questo, “io resto”.
4) Che accoglienza ha avuto il tuo libro presso i lettori?
Direi buona, ma non sta a me dirlo. Gabrio Vitali ha scritto un articolo molto bello per la rivista Ytali (https://ytali.com/2023/08/30/un-pesce-gatto-che-sogna/) che ripercorre i libri precedenti proponendo un’interpretazione della plaquette in un quadro più ampio, complessivo. Nelle prossime settimane usciranno altre nuove recensioni per riviste importanti, e la presentazione a Pordenonelegge a cura di Maurizio Cucchi (con altri autori di Stampa2009) è stato un momento di condivisione coi lettori per il quale sono molto grato.
5) Ci sono autori cui ti ispiri nella creazione poetica? e in particolare in questa ultima raccolta?
Ci sono diversi autori a cui devo molto, e senza i quali, probabilmente, non avrei mai scritto nulla. A partire dal mio maestro, Maurizio Cucchi, e una serie di figure del Novecento ormai imprescindibili: Carlo Betocchi, Cesare Pavese, Attilio Bertolucci, Giorgio Caproni, Vittorio Sereni, Mario Luzi, Andrea Zanzotto, Luciano Erba, Giovanni Raboni, Giovanni Giudici, Giampiero Neri. Oltre i classici, naturalmente, che mi pare superfluo citare. Aggiungo tre poeti poco più grandi a cui guardo con grandissima attenzione, ovvero Fabrizio Bernini, Alberto Pellegatta e Mary Barbara Tolusso.
6) I versi: “nascondono, sai, / la vita che ignori / mentre cammini di corsa al tuo treno” spalancano una lunga serie di domande e sono davvero affascinanti, quanto di autobiografico contengono?
Credo nulla. Il dato autobiografico non mi sembra essenziale. Potrebbe essere tutto inventato e funzionare bene comunque. Mi interessa di più la creazione di doppi, personaggi che riescono a descrivere una situazione comune nella quale il lettore si può riconoscere. Come i versi che citi, per esempio. Alludono a un momento della vita quotidiana calata in un contesto nel quale abitualmente ci muoviamo, dimenticandoci, a volte, di quanto ci circonda…
7) Nel tuo precedente libro, L’inganno della superficie, erano presenti lunghi elenchi, inventari di cose, che rendevano molto bene la volontà di un radicamento nel reale, e anche le presenze si mostravano ben definite, in questo Sogno del pesce gatto tutto appare come sfumato, quasi etereo, come mai questa scelta stilistica?
Credo che la vita stessa, l’esistenza, porti a maturare un nuovo sguardo sulle cose, ampliando i punti di vista, suggerendoci un modo diverso di interrogare la realtà. Non so dire perché questo accada, però accade. E se succede, probabilmente, è per proseguire quel percorso, seppur parziale, di conoscenza a cui siamo inevitabilmente destinati.
I fari ti tolgono la vista
mentre passeggi col tuo ombrello decorato
tour eiffel. ti hanno detto che l’indaco
è il colore della neve, ma per vivere, a volte,
basta un pesce gatto.
° ° ° ° °
la città era sotto assedio, le nuvole cominciarono a inghiottirla
ingombrarono la strada, invasero
i vetri dei palazzi. erano basse, il cielo limpido d’argento.
le prospettive si erano invertite.
le capirono persino le due gru: l’edera prese a rampicare
le colombe vi albergarono fino a tarda notte.
all’alba, la sagoma di un uomo comparse
nel bianco dell’estate.
° ° ° ° °
IN SOFFITTA
mi chiedevi a mani nude se la vita fosse eterna
e io ti rispondevo che a volte dura a lungo
altre invero poco, altre non ha neppure inizio
(hai sentito di. una storia orribile. la madre. e poi.)
eppure, eccoci ancora qui,
a pigiare i tasti e chiederci
se il dire è più dell’essere
o l’essere soltanto
è uscire alle diciotto
riprendere la prole, accendere
i fornelli; il lenzuolo
copre il volto della luna.
° ° ° ° °
sembrava morta la gardenia, crollata, appassita dopo la grande, immensa fioritura.
sembrava morta, nessuno ne comprendeva le ragioni, la gardenia bella,
bianca come il sole delicato alla finestra, nel vaso in vimini modesto dove
nessuno avrebbe mai scommesso una tale fioritura.
eppure le barelle le sirene le pareti i neon che lampeggiano dovunque le
gocce nella vena gli abiti scomposti la voce gli occhi il volto che non risponde più.
sembrava morta, i figli nella casa a chiedersi perché.
una mattina, invece, le dita a sorreggere lo stelo, l’alba delicata alla
finestra, si è riaperta al cielo commossa la gardenia
Marco Pelliccioli è nato a Seriate (BG) nel 1982. Ha pubblicato C’è Nunzia in cortile (Lietocolle, 2014; Premio Albero Andronico), L’orfano LietoColle-Pordenonelegge 2016; premio Colline di Torino); L’inganno della superficie (Stampa 2009, 2019, cinquina finalista Premio Città di Acqui Terme).
Del 2015 è il romanzo A due passi dal treno (Ed. Eclissi), segnalato dal premio Calvino. Suoi testi sono apparsi su riviste e antologie, tra cui Giovane poesia italiana (Pordenonelegge, 2020), tradotta in inglese, francese, spagnolo e tedesco. Per il Teatro Fontana di Milano cura la rassegna La poesia e la fontana e i corsi di Poesia italiana e straniera dal novecento a oggi.
23/12/2023 alle 11:56
Delicatamente profondamente grato