A tentoni nel buio di Paolo Polvani | La partenza di Emma era prevista all’alba di un giorno di luna piena (note di lettura a Magnificat, di Elvira Manco, edizioni Amarganta 2021)

 

Alcune settimane fa leggevo, in un sito che si occupa di letteratura, che nei romanzi italiani recenti alla comunicazione tecnologica, quella cioè che permette gli scambi per mezzo di telefoni cellulari e computer, viene concesso uno spazio marginale rispetto all’effettivo utilizzo reale. Sicuramente l’estensore dell’articolo non ha letto Magnificat, il romanzo di Elvira Manco pubblicato da Amarganta, perché l’origine della storia è rappresentata da una conoscenza nata nel mondo virtuale, così come accade, è accaduto a molti di noi, di condividere pensieri o scritti in siti che si occupano di argomenti per noi interessanti, e di iniziare un reciproco percorso di avvicinamento e di amicizia. Magnificat è in realtà la storia di una comunicazione che evolve e si sviluppa nella direzione di una comunione di anime. Nello specifico si tratta delle anime di Emma, che vive una vita appartata e solitaria in campagna, oppressa da sentimenti di ostilità verso una madre che non ha mai cercato di costruire un buon rapporto con la figlia e sulla quale gravano pesanti sospetti circa la morte del padre; l’anima di Sara, psicoterapeuta appena uscita da una crisi sentimentale, e Didina, una rumena venuta in Italia al seguito della madre circa quaranta anni prima.

Altri personaggi si muovono lungo l’intreccio della vicenda, ma è alle prime tre donne che è destinata la luce del racconto. La trama prende spunto dalla condivisione di interessi simili, la poesia, la musica classica, la predisposizione alla ricerca spirituale, l’amore per la natura. L’etimologia della parola comunicare, che vuol dire mettere in comune, pare discenda dall’unione tra cum, insieme, e munis, incarico, ufficio, funzione. E’ appunto a partire dalla scoperta di tali affinità elettive tra Emma e Sara che parte un percorso di avvicinamento sempre più pressante, una successione di disvelamenti, di aperture che portano le protagoniste a intrecciare le loro vite.

Quali sono le caratteristiche più importanti di questa fatica letteraria? Come espresso in apertura, il credito concesso alle nuove forme di comunicazione, uno spazio che ha assunto negli ultimi anni dimensioni davvero interessanti e anche promettenti. Diceva anni fa Umberto Eco che la rete ha dato libertà di parola agli idioti, e sicuramente è un aspetto di verità. Ma ha dato anche a tante persone la possibilità di condividere interessi, di conoscersi, di approfondire, di sviluppare insieme idee e movimenti in tutti i campi dell’agire umano.

Come nella migliore produzione cinematografica degli ultimi anni, il romanzo mette in scena la Puglia delle masserie immerse nel verde degli ulivi, una Puglia spostata verso sud, riconoscibile dalla terra rossa, dai paesi bianchi di calce, da certa mentalità padronale legata all’agricoltura, dal silenzio che si sprigiona dal paesaggio.

Strettamente legata al paesaggio emerge la sacralità della natura, dichiarata fin dall’incipit del romanzo: ”Emma guardava stupefatta la neve. Non nevica mai qui da noi, pensava. E tutto quel candore silenzioso intorno, quella immobilità, come se tutti gli esseri viventi stessero trattenendo il fiato, le comunicavano il senso di una vitalità sconosciuta e misteriosa”. È questo sentimento di forza e di mistero che affiora dal libro e prende a tratti le sembianze di una volpe che raggiunge la masseria in cerca di cibo e che instaura con Emma un rapporto non semplicemente utilitaristico, ma che si apre a una strana forma di comunicazione e di amicizia.

Altra caratteristica per alcuni versi innovativa e positiva, è l’aver messo in risalto l’amore tra donne. Sara è reduce da un amore omosessuale e si dichiara apertamente lesbica, e giocare a carte scoperte su questo fronte fa emergere le perplessità, i pregiudizi di Didina e non soltanto suoi, ed è sicuramente un ottimo spunto per rovesciare certi stereotipi che purtroppo vivono saldi nell’immaginario collettivo, e farne oggetto di dialoghi, di pensieri, di riflessioni, è sicuramente un terreno di crescita, un esempio di come la letteratura può fornire validi contributi allo svecchiamento del pensiero, al suo rinnovamento in senso progressista.

Inoltre alla base del racconto è il difficile rapporto tra madre e figlia, un rapporto che si presta alla conflittualità, e ricorda alcuni bellissimi romanzi di Irene Nemirowski. Qui viene indagato, e viene approfondito il contesto che ha favorito la contrapposizione in maniera molto efficace.

Anche l’impianto narrativo gioca una funzione importante. Le vicende sono narrate secondo un dispositivo che risulta funzionale, è come prendere per mano il lettore e condurlo lungo il suo snodarsi con mano sicura e presa forte.

E qui è necessario rivelare quale sia l’aspetto più importante del libro: la scrittura. Conosco Elvira da molti anni e so bene quanto sia puntigliosa, analitica, curiosa e appassionata lettrice, e quanto sia davvero immersa da sempre in una ricerca esistenziale e spirituale, e quanto attiva nel campo della diffusione della cultura. Ora tutte queste sue caratteristiche vitali si riverberano nella scrittura, che è appunto precisa, luminosa, capace di scendere in profondità e scandagliare gli angoli segreti dell’animo umano. I personaggi sono disegnati con nettezza e si muovono nell’azione sostenuti da descrizioni e dialoghi sempre puntuali e avvincenti.

Il libro si chiude con una bellissima prosa poetica di cui mi piace offrire un assaggio:

“Chiudo tutte le porte degli autunni e degli inverni. In promesse solenni. Vivo in questa tardiva solarità e chiedo le divine intercessioni se la mia gioia offende l’oscurità che dorme. Aspettami, vado per valli e montagne in cerca delle parole felici. Mi dici come si fa? Mi vedi? Costruisco parole lucenti, le pulisco, le lustro, le sminuzzo tra polvere e pietrisco, le smusso fino a farle fosforescenti. Scrivi lettere agli amici per spiegare che l’amore cura, e la paura si fa peso specifico di guarigione, e la memoria, come l’oceano pacifico, nasconde l’insidia nei fondali. Si rimedia alla fatica poco per volta, con una gioia minuscola per poterla nascondere, una briciola, una formicola, una spicola, una stella lontana che si spegne”.

 

 

Elvira Manco è nata ad Andria nel 1957 ed è stata operatrice culturale della Regione Puglia fino al 2020. Si è dedicata al teatro amatoriale come autrice, regista e attrice. Ha vinto numerosi premi nell’ambito del teatro, della poesia e della narrativa, scegliendo per principio di non autopubblicarsi. Ricercatrice della psiche e dello spirito, ha co-fondato il centro Psicoluoghi e l’associazione Iridea, dove progetta e realizza eventi culturali, laboratori teatrali e di crescita personale.