A tentoni nel buio di Paolo Polvani | Aprile appeso alle nuvole con le mollette: alcune domande a Lino Angiuli e cinque poesie

    

Dopo tanti anni di militanza poetica, senti di poter tirare un consuntivo? Cosa ha rappresentato la poesia per te? E cosa ritieni di aver dato alla poesia?

Cinquant’anni e passa di dedizione alla poesia, ipso facto, significano una relazione fedele e importante, coniugale direi, fatta di scambi interattivi e costruttivi. Una relazione senza la quale non sarei la persona che sono, perché la poesia resta lo strumento maggiormente in grado di aiutare l’uomo a esercitare lo “gnoti seautòn” insieme alla pulsione creativa.

 

Secondo alcune teorie la bellezza salverà il mondo. In alternativa ci penserà la poesia. Pensi che ci sia un fondo di verità? O che sia l’ennesimo imbroglio? O solo una pia illusione da parte di chi ormai non conta niente?

Penso che non sia il caso di usare il verbo salvare, di per sé impegnativo, nel modo indicativo e nel tempo futuro (“salverà”); così si va incontro a domande che postulano risposte di tipo messianico. Ciò che conta è sviluppare umilmente un progetto umano maturo e riconoscibile senza nutrire chissà quali aspettative. L’intellettuale cade spesso in una trappola mentale, pensando che il mondo debba cambiare secondo le sue quattro idee sul mondo.

 

Dove pensi che stia andando la poesia? E dove dovrebbe andare per incontrare un pubblico più ampio? Ed è veramente auspicabile che il pubblico della poesia si moltiplichi?

E chi lo sa? Ciò che auspico è che si cominci quanto prima a valutare i poeti e la poesia all’insegna di un distinguo prioritario tra poeti che danno e poeti che chiedono. Questo è il distinguo che utilizzo anche per orientarmi nel maremagnum di versi che mi piovono addosso. Quanto all’ultima domanda, è bene considerare che a Manzoni bastavano venticinque lettori!

 

Un tuo libro recentemente ha ottenuto una bella affermazione in un concorso di poesia importante. Cosa pensi dei premi letterari?

Se ti riferisci al premio Repaci-Viareggio (vi sono stato segnalato per tre volte, assistendo alla vittoria dei soliti noti), bisogna tenere presente che a questo premio non si concorre, perché il processo selettivo è affidato interamente alla giuria. Per me i premi letterari sono un gioco di società da non prendere troppo sul serio. Nell’ambito dei riconoscimenti ricevuti in tanti anni di onorato servizio, a me piace vantare solo quattro premi cosiddetti “alla carriera”: essi mi hanno convinto che probabilmente non ho scritto invano.

 

 

Non c’è gallina e gallinaccia
che a gennaio l’uovo non faccia.

Gennaio vuol essere solo soltanto
l’usciere ufficiale dei nostri portali
la cura dell’olio per stipiti stanchi
così non gli cresca la ruggine addosso
non sbatta al maestrale la vecchia persiana
che gira a cavallo dell’ultima festa
incisa nel rosso di freschi almanacchi
venuti a trovarci con mosse bambine
affonda la vanga più giù nel terreno
là dove il miracolo tiene bottega
infine trapianta le prossime vite
nel caldo letame di voci infinite.

 

Febbraio piccolino corto e malandrino.​

Febbraio sa bene il mestiere del bianco
talmente lo sa che nemmanco s’affligge
di fronte alla fame di quel pettirosso
pezzente che cerca molliche di luce
piuttosto gli preme sbarcare il lunario
fermare il respiro nel punto più esatto
fa finta che il tempo sia solo una scusa
per cogliere a volo un bel monaco santo
di quelli che seppero farsi deserto
in cui ritrovare la bussola in corpo
tra i cristi più cristi cresciuti a pancotto
e cento demòni accampati di sotto.

 

Marzo ventoso, frutteto maestoso.

Il marzo che arriva con bizze e dispetti
da furbo monello che festa fa a scuola
e corre a giocare con palle di pezza
se tu gli dai retta e lo segui ma in fretta
riesce a portarti a due passi dal sole
inventa capriole come un saltimbanco
s’infila dovunque ci sia da tastare
pensieri in calore che pigliano il volo
è bravo a fischiare cantare zompare
nel ventre di donne che c’hanno il prurito
o quelle che scovano un dio nella rosa
che attende il suo giorno beato socchiusa.

 

Quando tuona d’aprile è buon segno per il barile.

Aprile si annuncia battendo la fiacca
appeso alle nuvole con le mollette
si sente confuso non sa cosa fare
se andare a sinistra dell’ultima storia
oppure alla destra di un nuovo sentiero
grandissimo è il dubbio che tocca i viandanti
pertanto dormire rimane il rimedio
dettato da certi vangeli passati
dormire cercando la strada migliore
che porti dovunque ci sia da sognare
purché venga in sogno la terra promessa
là dove fiorisce l’eterna melissa.

 

Maggio delle rose, gioia delle spose.

Si può dire maggio per dire ciliegia ​
creatura incarnata dal sole in persona
resistere al rosso non fa per i nostri
cunicoli colmi di sangue accaldato
perciò ci riempiamo la bocca di quelli
che sembrano i doni di quel dio alfabeta
capace di tutto nel giro di un mese
lo stesso che va sueggiù per i campi
a tingere il mondo di mille colori
parole per chiunque che intenda ascoltare
la voce degli alberi in vena di frutti
capaci di buone sorprese per tutti.

 

da Lino Angiuli, Duemilaventuno un altro anno, con illustrazioni di Vito Matera, quorumedizioni, Bari, 2020.

 

 

Lino Angiuli (1946) è nato e vive in Terra di Bari. Collaboratore di quotidiani e dei Servizi culturali Rai, ha partecipato alla fondazione di alcune riviste letterarie, tra le quali il semestrale «Incroci», che codirige. La sua produzione è storicizzata in diverse opere di carattere scientifico e didattico.
Molti i suoi lavori sul versante della valorizzazione della cultura popolare, così come molti i riconoscimenti e le traduzioni di suoi testi poetici. Tra le sue curatele: tre antologie della poesia europea e una della poesia dei paesi che si affacciano al Mediterraneo.